Dopo due anni di lontananza dai riflettori, Gianni, Fulvia e Federico D’Amato, protagonisti della straordinaria avventura del bistellato Rigoletto di Reggiolo, duramente colpito dal sisma del 2012, preparano il ritorno alla ristorazione gastronomica.
La Storia
La storia di Caffè Arti e Mestieri
Dall’orchestra si alzano gli ultimi accordi, nello scalpiccio del pubblico che si accomoda sulle poltroncine della prima fila. Mentre lungo qualche corridoio le mani spalmano l’ultima mano di trucco e chiudono il bottone finale del costume. L’intervallo sta per finire. Manca pochissimo perché il sipario si alzi di nuovo. In scena però non tornerà il Rigoletto, ma un nuovo, vecchio protagonista della nostra ristorazione: Gianni D’Amato. Tenorile, generoso, incontenibile. Con la compagnia d’arte della moglie Fulvia e del figlio Federico, passato dalla sala alla cucina, complice uno stage da Davide Oldani.
Erano due anni che i gourmet piangevano i battenti chiusi del Rigoletto di Reggiolo: ristorante leggendario sulla scena emiliana, arrivato a staccare due stelle Michelin. Opulento come il suo autore, autodidatta totale, a tratti esagerato nell’assemblare sul piatto gli ingredienti più sontuosi, senza delineare gerarchie fra eccellenze: foie gras, caviale, gamberi rossi stretti in un corpo a corpo senza vincitori né vinti. Irrimediabilmente padano nell’abbondanza di una cuccagna gastronomica, morbida come un sogno e dolce come un’utopia.
Fino al brusco risveglio scattato insieme ai sismografi quel maledetto maggio del 2012. Inagibile la bella villa di Reggiolo, forzatamente chiusi il ristorante e le sue camere, incalcolabili i danni. “Dallo stato abbiamo avuto appena 2500 euro a testa, volevamo addirittura rifiutarli per protesta”, racconta Fulvia. Sono seguiti 3 mesi di stop totale, per poi cucinare qua e là, ospiti di altre location, e intraprendere l’avventura del Caffè Arti e Mestieri, locale di proprietà della famiglia Maramotti, la stessa di Max Mara, in pieno downtown di Reggio Emilia. Alla fine del vialetto un’oasi verde firmata dall’architetto Pietro Porcinai, che ha circondato di frasche e canneti i due piani adibiti al servizio. Dietro la soglia i tavoli per i pranzi di lavoro veloci; salite le scale le mise en place del ristorante, aperto con lo stesso menu a pranzo e a cena.
L’elaborazione del lutto però è durata due anni e mezzo. In carta non trovavano posto i cavalli di battaglia della casa madre, nello sforzo di tenere separate due fasi così diverse di vita e carriera. “Abbiamo preferito restare nell’ombra, lontano dall’attenzione della stampa e delle guide. Perché la vivevamo come una fase transitoria, da non confondere con il nostro recente passato”. Una sorta di temporary grandeur, dopo le esperienze “pop up”, destinata a durare ancora un po’. Il cuoco tuttavia se perde i muri, non necessariamente abiura il vizio. Cosicché quando la Michelin ha ritirato per chiusura le due stelle al Rigoletto, l’elaborazione del lutto si è in qualche misura completata e il coraggio dell’opulenza è scattato.
I Piatti
Oggi al Caffè Arti e Mestieri è possibile assaporare alcuni signature dish di D’Amato, raccolti in un menu degustazione che comprende anche portate gastronomiche di nuovo conio. Accanto ai menu degustazione dedicati al territorio e al pesce ligure (D’Amato, originario della Lunigiana, padroneggia anche il purismo, secondo le stagioni), oltre alla ristorazione veloce del piano terra.Nei piatti tutto il voltaggio della resilienza. Gianni D’Amato, del resto, ha sempre scazzottato in cucina: un boxeur avvezzo a scatenare i joule dei contrasti, insospettabilmente agile nell’abbozzare le finte dei suoi ganci. Si comincia con due nostalgie del Rigoletto: la crema di tartufo con gelato di carota e zenzero e tartufo di mare fritto, cha fa incontrare a profondità ctonie la terra e il mare innescando un gioco semantico; seguita
dai calamaretti farciti con cipolle borettane su crema di patate al nero e tartufo nero, scontro di titani senza protagonisti o comprimari.
Per poi passare alle novità. Innanzitutto i pomodori verdi fritti alla fermata del cotechino, piatto composto di bonbon fritto di animella, midollo nell’osso e cotechino, sgrassato secondo prammatica dall’acidità ben controllata degli ortaggi acerbi, proposti in varie forme (gelato, salsa, scaloppa), in un incontro di primizie e tardizie. Poi Non è una capasanta, sulla falsariga dell’icona del Rigoletto con raviolo di mortadella al sedano nero (a sua volta una reminescenza di Pierangelini). Dove il mollusco è sostituito da un dischetto di sedano rapa arrostito e glassato al sugo di maialino: trompe-l’oeil in piena regola, anzi trampantojo date le matrici spagnole del genere, che in questo caso valorizza la carnosità dell’ortaggio.
E ancora lo scampo crudo cosparso di polvere di nocciola con cappelletti farciti classicamente di zucca, altro piatto a trabocchetto, giacché lo specchio arancione non è dolce e vegetale, come ci si attenderebbe, ma sapido e marino grazie alle teste dei crostacei. Una ricetta concettualmente consapevole, nell’accostamento fra la mineralità dell’ortaggio e quella della salsa, a contrastare la dolcezza; mentre la polpa cruda, delicata e acquosa, allenta la tensione.
Lo gnocco croccante su salsa di riso allo zafferano e tartufo nero ricrea una sensazione di riso al salto sparigliando le testure; mentre il maialino arrostito con indivia brasata, senape, limone e liquirizia elabora suggestioni nordiche pienamente contemporanee, nella sinergia fra grassezza e amaro. Piatti a tinte forti, piatti ad alto volume: per ultimo acuto il dessert Red, composto di barbabietola e frutti rossi, a riprendere i cromatismi ipersaturi del pasto con la vivacità acida che gli conviene.
La carta dei vini passa in rassegna una selezione di bottiglie prelevate direttamente dalla cantina del Rigoletto, spesso prestigiose, con un buon affondo in verticale.
Indirizzo
Caffè Arti e MestieriVia Emilia San Pietro, 16 – 42121 Reggio Emilia