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Ferran Adrià: “elBulli? Non mi manca: lavoravo in tensione 16 ore su 24"

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina ferran adria pressione el bulli

Alla vigilia dell’inaugurazione di elBulli 1846, museo del leggendario ristorante, Ferran Adrià racconta la cucina di ieri e di domani. “Se fossi rimasto aperto, saremmo andati in burnout e avremmo iniziato a sbagliare. L’ho evitato, ho anticipato il fallimento e chiuso i battenti; quella pressione non mi manca”.

L'intervista

Mancano ormai poche settimane all’apertura di elBulli 1846, museo gastronomico che celebrerà il sancta sanctorum dell’avanguardia mondiale sulla Costa Brava, chiuso nel 2011. Fra le due date ben otto anni di ritardi, dovuti ad autorizzazioni mancanti, proteste degli ambientalisti e chiusure pandemiche. “Vogliamo raccontarvi cosa ha fatto elBulli, rendere onore alla sua importanza nel passato e nel presente”, illustra Ferran Adrià (secondo cui chi si improvvisa ristoratore chiude in meno di 5 anni: leggete qui).

@Gianluca Battista



Quel ristorante ha segnato un cambio di paradigma nella gastronomia occidentale. Abbiamo tutto: uno spazio di 3000 metri quadrati, dove sarà possibile vedere le sale com’erano. Le persone che conoscevano il ristorante si emozioneranno. Non ci sarà niente da mangiare. È importante tenere in vita l’eredità di ciò che è stato. I giovani chef di oggi, sui trent’anni, non hanno vissuto il boom della creatività in Spagna. Pensano che le cose siano sempre andate così, ma negli anni ’90 non facevamo parte dell’élite gastronomica come adesso”.

@Juan Herrero



Quello che abbiamo fatto è incredibile. Abbiamo aperto le porte della creatività ad altri paesi nel mondo. Prima era impensabili che l’America Latina, la Svezia, la Croazia o la Corea del sud diventassero patria di chef così creativi e identitari. Questa è stata la cosa più importante. Abbiamo detto: prima pensa, poi cucina. La buona cucina creativa accade quando le persone mettono in discussione ciò che stanno facendo e riflettono approfonditamente sui modi. È vero per i piatti come per i prodotti spagnoli e il turismo di qualità”.

Piatto di Ferran Adrià



Quasi 2000 persone hanno collaborato a tutto questo. Lo rendeva possibile il fatto che chiudessimo sei mesi l’anno. La nostra missione era fare avanzare i confini dell’esperienza gastronomica. Questo apriva sentieri che alcuni potevano seguire, altri no. Ma nel 2008 era evidente che avessimo raggiunto il nostro limite. Potevamo progredire ancora un poco ogni anno, ma sapevamo di non poter andare molto oltre, dopo aver servito un menu di 44 assaggi. Sviluppare tecniche e ricette che potessero aprire nuove strade non era più così facile. Quindi abbiamo scelto di passare oltre, ed è stata una buona decisione tanto per elBulli quanto per me, che lavoravo 16 ore al giorno, sotto le pressioni che ci infliggevamo. Uno dei successi di elBulli era l’automotivazione, nessuno ci imponeva di cambiare menu ogni anno, cosa che allora non si usava. Ed è una pressione che non mi manca”.

@Xavier Cervera



Siamo sempre stati molto scientifici, avevamo un processo mentale ordinatissimo, ci ponevamo costantemente domande sul perché delle cose. Ed è il modo in cui abbiamo fatto ciò che abbiamo fatto, altrimenti sarebbe stato impossibile creare più di duecento ricette l’anno. Se elBulli fosse rimasto aperto, però, avrei toccato il fondo. A quel livello di creatività, saremmo andati in burnout e avremmo iniziato a sbagliare. L’ho evitato, ho anticipato il fallimento e chiuso il ristorante, ma chissà. In ogni caso sarebbe stato un momento difficile, perché mancare la nostra missione sarebbe stato frustrante. Poi avrei sempre potuto servire i nostri signature a chi non li aveva provati”.

@Matteo Lloyd



Se mi offrissero oggi di aprire un ristorante senza limiti, non sarebbe come elBulli, perché è un’altra epoca. Oggi i social media e internet sono meravigliosi per certi versi, ma hanno anche inconvenienti. Mostrare in anticipo ciò che mangerai significa perdere la magia. Non ci sono più sorprese. Chi veniva a elBulli non sapeva cosa avrebbe trovato. È un problema per le sorprese creative, che sono essenziali in ristoranti come questi. La gente lotta per smarcarsi e quelli che ci riescono dovrebbero essere premiati. Io ho tratto profitto dalla mia conoscenza della nouvelle cuisine e dagli altri chef creativi. Oggi usiamo tecniche e concetti sviluppati negli ultimi sessant’anni, oltre a quanto è stato creato in cinque millenni. Non abbiamo inventato l’olio di oliva o la farina”.


Un ristorante di alta fascia, che costa molto è più difficile da gestire di un posto da 40 euro. È una questione di forniture e di domanda. Oggi si pagano tutti, anche gli stagisti, che finiscono sul conto. Ammesso che il mercato regga…Per prevedere il futuro, bisogna guardare in Francia. A Parigi ci sono menu da 400 e 500 euro. Ma il prossimo epicentro della cucina mondiale sarà la Cina, che ha la tradizione più completa e più complessa. Sta già accadendo”.

Foto di copertina: @Folhapress

Fonte: El Pais

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