Chef

Claudia Santiz: come una chef-indigena 35enne sta innovando il Messico

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina clara santiz

Se oggi la cucina tradizionale del Chiapas, rivista in chiave contemporanea, è oggetto di revival, il merito va soprattutto a una donna, Claudia Albertina Ruiz Santiz, allieva di Enrique Olivera, che ha rivelato al mondo giacimenti gastronomici inesplorati.

La storia

I lineamenti e i vestiti variopinti, indossati con orgoglio, non lasciano adito a dubbi sull’origine di Claudia Albertina Ruiz Santiz, trentacinquenne appartenente all’etnia tsotsil, che discende direttamente dai maya e popola il Chiapas, uno degli stati più poveri del Messico. Come tanti altri indigeni, è cresciuta in una famiglia modesta, fra San Juan Chamula e San Cristobal de las Casas. Il padre aveva un piccolo negozio di alimentari, mentre la madre lavorava in campagna e non accettava di mangiare che le sue stesse verdure.È sempre stata una persona molto esigente. Siccome nel mio caso andare a scuola era un lusso, mi chiedeva di prendere i voti più alti. L’ideale erano i dieci, i nove non la rendevano felice e gli otto erano una disgrazia”.


Avrebbero voluto vederla insegnante, i suoi, mentre ancora si usavano i matrimoni combinati alle bambine; ma lei era piuttosto attratta da altri studi, il turismo e segnatamente la gastronomia, che aveva bazzicato in casa dietro ai fornelli. Eccola quindi iscriversi alla facoltà pubblica di scienze e arti del Chiapas, prima con l’aiuto di una borsa di studio, poi, dopo la bocciatura in francese, lavorando dieci ore al giorno nelle cucine di una catena alberghiera. Una quotidianità impossibile, costellata di dubbi e paure di non farcela.


Nel 2010, al momento di laurearsi, il regalo più bello è stata la telefonata di Enrique Olvera, celebre chef del ristorante Pujol, quinto ai 50 Best, che desiderava incontrarla. Aveva infatti scorso la sua tesi, un ricettario incentrato sulla sostenibilità, scritto in spagnolo e tsotsil, e la voleva assolutamente in squadra. “Per me è stato da non credere, che senza averlo minimamente cercato, improvvisamente mi si aprisse una porta, che poi ne avrebbe aperte delle altre. Ho chiuso tutto in fretta e in un mese ero davanti all’ingresso per il mio primo giorno di lavoro”.


Dopo qualche esitazione, la prima postazione è in pasticceria. “Volevo divorare tutto lo scibile racchiuso in quello spazio, dove la squadra creava meraviglie. Ogni giorno arrivavo presto e uscivo tardissimo. Volevo sempre fare lo straordinario e sostituire chi mancava. Il lavoro era il mio sfogo”. Un anno intenso, seguito da un paio di esperienze; poi, nel 2016, l’apertura di un ristorante tutto suo, dapprincipio non senza difficoltà: Casa Santiz a San Cristobal de las Casas. Il riconoscimento è dovuto venire da fuori, perché mi prendessero sul serio. Visto che sono indigena, donna, piccola e che vengo dal sud. Ma non mi sono mai data per vinta e mi sono sempre ripetuta una frase che è il mio mantra: parli il mio lavoro, non la mia bocca”.


In questo conservatorio alacre dell’identità dei luoghi, va in tavola un mix di antropologia e creatività contemporanea, che spazia dalle antiche bevande cerimoniali di cacao e annatto ai quelites, vegetali spontanei tra cui spicca il chipilin. Azzardo che non è sfuggito a Slow Food e poi ai 50 Best, che hanno premiato Claudia Albertina con un quinto posto nella speciale classifica dei 50 Next, coloro che secondo la critica scriveranno la gastronomia del futuro, essendosi distinti per sostenibilità e attaccamento alle radici. Personalmente non ambivo a ranking, volevo solo proporre una cucina impegnata, che suscitasse interesse per tutto ciò che orgogliosamente facciamo nel mio stato. Ho sofferto per tutta la vita di discriminazioni e perfino di razzismo. Ma anziché tacere, lavoro di più per sensibilizzare al problema. Tutto quello che per fortuna mi è successo di recente, mi sprona a proclamare che come indigene e come donne siamo capaci di tutto, che non ci fermeranno né uccideranno mai i nostri sogni”.

Fonte: milenio.com

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