Chef

Lucas Canga: “Instagram? È la rovina degli chef: vedo piatti tutti uguali”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina luca canga

Astro nascente della gastronomia argentina, il ventottenne Lucas Canga invita i coetanei a schivare i cliché: “Credo che premi e social ci deconcentrino dal nostro lavoro. Vedo troppi piatti che si somigliano, dove abusiamo di erbe e di umami cinese. Rispetto molto le leggende over 40, credo siano migliori di noi”.

L'opinione

Il 2022 è stato un anno magico per Lucas Canga, chef ventottenne assurto fra i protagonisti della scena gastronomica argentina dopo un decennio speso ai massimi livelli. Socio con Tomas Couriel e Matias Senia di Piedra Pasillo, considerata dalla critica la migliore apertura dell’anno, della cocktaileria El Fondo e di Mad Pasta con altri due colleghi, Clara Corso e Felix Babini, sfama in tutto trecento ospiti al giorno. “Se me l’avessero detto un anno fa, non ci avrei creduto”.


A dispetto di tatuaggi e orecchini, arriva dalla vecchia scuola: i suoi maestri sono state due vecchie conoscenze dei gourmet argentini come Martin Lukesch e Alejandro Faraud di Alo’s, che ha lasciato nel settembre 2021. “Ho sentito che il ciclo si era chiuso. Sono quindi entrato da Sacro, un ristorante di cucina vegana molto elaborata, dove mi sono fermato solo otto mesi, che però sono risultati utilissimi: per la prima volta ho diretto una squadra molto grande, composta di 23 persone in cucina e 25 in sala. Nello stesso tempo ho fatto diversi pop-up in ristoranti amici e lì ho conosciuto Tomas e Matias, titolari del bar Mauer. Mi hanno raccontato che erano alle prese con un nuovo progetto e mi hanno invitato a unirmi. Abbiamo tenuto diverse riunioni, assimilato e così iniziato a creare il concetto di Piedra”.

Piedra Pasillo- lo staff



È poi arrivata Mad Pasta, concept dedicato alle paste alternative, nato in piena pandemia come delivery, che ha poi spiccato il volo. “Ho sempre lavorato 15 o 16 ore al giorno, durante il lockdown ne facevo 8 e mi sentivo morire. Con Felix e Calu ci conoscevamo molto bene da Alo’s, sapevamo il nostro sguardo assassino. Faraud ci ha lasciato usare la cucina di sera e abbiamo concepito questa proposta fresca, giovanile, con molta estetica e un po’ di tecnica. Significa dare un giro di vite alla pasta, che di solito è pura tradizione. Possono essere tortellini di melanzana con menta e limone oppure gnocchi di zucca allo zafferano, piatti semplici e gustosi che non si trovano facilmente. Più qualche ricetta classica come una cacio e pepe da manuale. Già abbiamo 130 ospiti al giorno”.

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A differenza di tanti chef del suo paese, Canga non ha mai sentito l’esigenza di compiere esperienze all’estero, se non da cliente, in Scandinavia e in Francia. “Forse sono ingenuo, ma ho qualcosa di nazionalista. Vivo per la gastronomia, ho una vocazione chiarissima, non ne ho mai dubitato. Quando ne parlo, mi emoziono profondamente. La mia scuola è stata abbastanza dura, esigente, senza se e senza ma: si lavorava e basta. Questo ha avuto aspetti positivi e negativi. Personalmente mi ha educato. Oggi sono un po’ questo: in pieno servizio, non cerco opinioni: c’è una testa e la si segue. Ma in altri momenti mi piace ascoltare, prestare attenzione ad altre idee. È importante affinché tutti miglioriamo, io, il ristorante e anche i ragazzi che lavorano con noi”.


Cerco sempre di fare qualcosa di diverso. Non invento nulla, ma mi sforzo di non ripetere e non copiare. Credo che ci sia qualcosa in tutti questi premi, in quello che comportano, nei social, nelle foto su Instagram e nelle relazioni pubbliche, che ci deconcentra dal nostro lavoro e ci porta ad assumerci meno rischi. Vedo piatti che si somigliano, dove abusiamo di erbe, andiamo a riempire il carrello di umami nel quartiere cinese.


Lo capisco, so che funziona, ma ci sono altre ricerche possibili. Bisogna restare in cucina e nel servizio, è il nostro posto. Tutto il resto alla fine è pura vanagloria mentale. Voglio superare i cuochi che ammiro e ci riuscirò sgobbando. Ho fatto undici anni nella gastronomia, me ne mancano almeno dieci per iniziare ad apprezzarmi. A quel punto noi giovani sapremo cosa abbiamo fatto veramente. Rispetto molto le leggende over 40, credo siano migliori di noi. Dobbiamo continuare a lavorare”.

Fonte: Siete Canibales

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