Dove mangiare in Italia Ristoranti di tendenza

Amistà, il ristorante che sembra un’opera d’arte: fra i migliori del Veneto

di:
Marco Colognese
|
copetina villa amista 1

Mangiare in un’opera d’arte: è questa l’esperienza offerta da Villa Amistà, grazie a sale decorate con pezzi unici di artisti internazionali e piatti-gioiello firmati dallo chef Mattia Bianchi.

Ristorante Amistà

L’hotel


Immaginate di fare il vostro ingresso lungo un viale alberato in fondo al quale campeggia elegante una villa antica. Ne varcate la soglia vi trovate di fronte a una collezione d’arte contemporanea che lascia letteralmente a bocca aperta. I primi segnali che lasciano supporre una sorpresa si trovano già nel parco tra gli enormi alberi con secoli di vita, le fontane e i bellissimi giardini all’italiana, con qualche opera colorata che si intravede nel verde.




Il corpo centrale di Villa Amistà fu realizzato nel XV secolo dall’architetto Michele Sanmicheli su quel che restava di una casa forte dei tempi romani; la struttura attuale risale invece al 1700, con il rinnovo a opera dell’architetto Ignazio Pellegrini. Ci si trova in Valpolicella a pochi minuti d’auto da Verona e l’imponente villa ospita il Byblos Art Hotel, che un grande imprenditore e collezionista come Dino Facchini ha trasformato in un cinque stelle lusso con 58 stanze, una diversa dall’altra e anch’esse con la loro dote d’arte.




La più recente ristrutturazione della villa è opera del designer Alessandro Mendini, a partire dallo spettacolare salone principale che ospita arredi di star internazionali come Giò Ponti, Eero Saarinen, Philippe Starck, Ron Arad, Gaetano Pesce e Patricia Urquiola e pezzi unici firmati da artisti del calibro di Vanessa Beecroft, Lucio Fontana, Arnaldo Pomodoro, Marina Abramovic, Damien Hirst, Sterling Ruby, Sol Lewitt, Anish Kapoor, Andy Warhol solo per citare i principali.

Sala Paolini





Parte degli Small Luxury Hotels of the World, l’albergo offre anche uno spazio dedicato alla SPA Espace by Byblos tra mosaici e affreschi. Il nuovo direttore dell’hotel è Stefano Gaiofatto, classe 1986, entusiasta di un progetto da far ripartire alla giusta velocità dopo qualche anno di stasi: “Sono arrivato da pochissimo e siamo ancora lontani dalla mia idea di servizio, stiamo mettendo in ordine tutto e vogliamo che l’ospite qui trovi un’accoglienza che lo faccia sentire a casa, a partire dal momento del check-in. I ragazzi sono tutti giovanissimi e motivati e a me piace che ciascuno possa avere la sua parte in questa esperienza, perciò bisogna fare in modo che vengano coinvolti. Il bello del Byblos è che è un piccolo paradiso davvero poco distante dalla città ed è un luogo che da questa dev’essere vissuto: stiamo cercando di abbattere i muri, far parlare le diverse realtà esterne del tessuto territoriale. Noi vogliamo accogliere tutti e fa piacere che si senta dire che qui al Byblos c’è un cambiamento in atto.”



D’altra parte, da qui passano anche personaggi come i Kiss e Johnny Depp che “era in tournée: ci hanno chiamati all’una di notte, sono arrivati alle cinque di mattina e sono ripartiti il pomeriggio successivo ma lui è rimasto molto colpito. Bisogna saper far fronte alle richieste più pazzesche”. Gaiofatto sta prevedendo nuove iniziative per far sì che questo magnifico posto si faccia conoscere come si deve a chi lo può apprezzare. Questo lungo tutto il periodo dell’apertura che copre tutto l’anno esclusi i mesi di gennaio e febbraio.


Il ristorante


Se il Byblos vale la visita soltanto anche per guardarsi attorno e riempirsi di colori e bellezza, il ristorante Amistà, dal 2020 stella Michelin grazie al bravo Mattia Bianchi che ne governa la cucina, è una tappa gastronomica da segnare tra le migliori della regione.

Ristorante Amistà




Lo chef fa il classico percorso di scuola alberghiera a Bardolino: la prima esperienza di ristorazione è a fianco al padre che aveva preso in gestione un villaggio turistico. “Poi a fine stagione mi dicono ‘parti, vai a imparare un po’ di inglese e torna con qualche idea’. Così sono andato in Inghilterra, ho fatto i primi quattro cinque mesi nel sud in un hotel. Avrei dovuto rientrare ma alla fine mi sono trasferito a Londra.”


Morale della favola, nella metropoli Bianchi ci rimane cinque anni, gran parte dei quali in un importante gruppo internazionale come Soho House al Cecconi’s. “Da lì ho avuto la possibilità di spostarmi in vari paesi europei perché loro sono un po’ ovunque: Berlino, in Francia al Festival del cinema di Cannes: partivo, andavo, ho incontrato un sacco di star di Hollywood. Mi ha fatto crescere, perché si faceva cucina italiana a 360 gradi.” Un’esperienza al Bacco con il sous chef di Bombana, il ritorno da Cecconi’s, ma non è finita perché si sposta in Australia. “Ho fatto il Rockbull a Perth, sono stato da Aria con Matt Moran e poi da Bentley a Sidney. Poi ho viaggiato sei mesi tra Indocina e Giappone, curiosandomi attorno.” Di nuovo a Verona Bianchi passa un paio d’anni al Borsari 36 del Palazzo Victoria con Carmine Calò. Ad agosto del 2018 entra qui all’Amistà come secondo di Marco Perez e quando lui se ne va è a capo della cucina.



L’ho presa in mano a febbraio del 2019 e da lì è partito il progetto che prevede un percorso di valorizzazione dei microproduttori del biodistretto della Valpolicella. Sono persone che andiamo regolarmente a conoscere e vogliamo sostenere: c’è quello che alleva lumache, un altro che ha recuperato antiche varietà come il pero misso e la mela gentile. Gente appassionata che lavora in regime biologico o biodinamico e che andrebbe a perdersi se qualcuno non desse loro il modo di sostenersi e di raccontare le loro storie. Ecco perché abbiamo dedicato a tutto questo un menu”. Bianchi è un cuoco esperto, che sa maneggiare le basi e mette a frutto le sue esperienze all’estero, da qui uno stile molto personale, in cui l’originalità va di pari passo con uno spiccato senso del gusto che si esprime in modo peculiare in ogni piatto.


I piatti


Si gioca spesso con più ingredienti, senza mai generare però confusione: una complessità gestita con sapienza, quindi, che conferma una mano interessante e piena di idee. E tante, tante variazioni di sapori, come con le seppioline di nassa al nero con miso e brodetto di laguna, ispirate alla tradizione veneziana: il brodetto è una salsa composta da pesci di laguna con aggiunta di pomodoro, concentrata e addolcita, mentre la salsa al nero viene estratta dalla sacca ed emulsionata con patata arrosto ben cotta e scalogno: a una purea di fagiolini di stagione conditi con aceto di miele biologico della Lessinia si aggiunge il miso di soia autoprodotto che esalta e insieme armonizza il piatto, tra note salmastre e piacevolmente acide con quel sottofondo (che troveremo ricorrente) legato alle esperienze di Bianchi con la cucina asiatica.


Notevoli gli gnocchi di fioreta con scampi, foie gras e lamponi, esempio di come sulla carta un piatto possa apparire azzardato e in bocca risulti perfettamente bilanciato (ed eccellente). Lo gnocco si ottiene dall’affioramento della ricotta e viene impastato con farina di riso, tuorlo d’uovo e buccia di limone. Viene glassato con una salsa di torcione di foie gras e sopra si appoggia lo scampo crudo. Il ripieno consiste invece in una purea di lamponi cotti a pressione. A completare, fiori e olio di borragine dell’orto botanico del Byblos.


Convince anche il dentice in crosta con scarola, maruzzelle (conchiglie di laguna) e salsa al beurre blanc: il pesce (il gibboso del mar Mediterraneo) viene avvolto in una foglia di fico e cucinato in crosta di alga nori e aneto; la crosta che si crea viene incisa e aperta in sala davanti all’ospite. Viene servito con scarola di Bassano scottata e condita con colatura di sarde prodotta dallo chef, frutti del cappero canditi, cipolline in saor e pinoli. Il beurre blanc in accompagnamento è condito con olio al prezzemolo e maruzzelle.


Un’altra bella sorpresa, per intensità e originalità gustativa, è il tempeh di fagiolo Zolfino con polline e finferli. Racconta Bianchi: “Il fagiolo del cento viene inoculato con l’enzima, aspergillus Ryzophus, e richiama le mie esperienze asiatiche: in questo caso ho voluto valorizzare un prodotto unico nel suo genere, con sapore minerale e di umami inconfondibile. La salsa viene ottenuta dal ristretto dell’acqua di cottura con aggiunta del garum di polline, sempre di nostra produzione ma in questo caso ottenuto da un koji d’orzo e non di riso. Lo accompagniamo con finferli scottati ed olio al prezzemolo”. Buonissimo anche il capriolo in rosso, marinato nella sua stessa colatura ottenuta dagli scarti.


La carne dell’ungulato viene battuta a coltello e servito con rapa rossa di Chioggia pickle condita con salsa nage. La grande croccantezza arriva dalla noce pecan caramellata; a finire il piatto il fondo di cottura servito caldo e il gelato allo yogurt acido in un riuscito gioco di temperature. Golosissimo anche quello che lo chef ha interpretato come un ricordo di crudo e melone: è il panzerotto ripieno di sopressa mantecato con una salsa al pepe verde e servito con mosto d’uva fermentato; in accompagnamento, un intenso brodo di melone estratto in Ocoo mediante shock termico e finire un olio di melissa.


Altro colpo da maestro l’anatra à la Royale, elegante, di bella complessità e giocata su toni decisi che spaziano dal sapido al dolce, dall’aspro all’amaro con note umami.


Il petto del volatile, cucinato tradizionalmente, viene servito rosa e “la coscia è marinata con spezie e odori asiatici per diffondere un gusto di umami racchiuso in un raviolo cotto a vapore, glassato in seguito con un tamari di funghi secchi shitake”. Il foie gras, scottato, è condito con una brunoise di pesche della Valpolicella e nocciole caramellate e ultimato con una salsa delle stesse pesche messe in infusione con zucchero di canna caramellato e aceto: “Un piatto che rappresenta a trecentosessanta gradi le mie esperienze.” Ispirata a “una grigliata estiva in compagnia” ecco la rib di Grigio Alpina al barbecue con mou e tarassaco: il manzo grass fed della Lessinia, una volta cotto in modo tradizionale viene porzionato e glassato con mou all’aglio e peperoncino; la parte croccante arriva da un crumble di riso venere soffiato cui si aggiungono pistacchi e sommacco.



Alla base del piatto il tarassaco, erba spontanea dei Monti Lessini spadellata con colatura di sarde, dà un leggero tocco di amaro. “Il tutto è accompagnato dalla mia salsa barbecue, una ricetta che mi porto nel cuore e creata dopo mille prove per avere questo risultato.” Dopo un fresco pre-dessert con il bon bon con un ripieno liquido di tre differenti tipologie di limone arriva l’unico collegamento tra piatto e arte, la fake Campbell’s soup.


Per avere un ricordo dell’esperienza vissuta in questa villa che contiene più di 160 opere d’arte, i dessert hanno la stessa come fil rouge. In questo caso ispirata a Andy Warhol. la Tomato soup è diventata una zuppa di fragole e rabarbaro, servita con una spuma al formaggio di capra, olio alla verbena e pepe di timut per un sapore agrumato e deciso.” Se aggiungiamo che il servizio è affidato al giovane ma già navigato Giuseppe Grasso, con una solida esperienza dai Santini a Canneto sull’Oglio, il cerchio si chiude attorno a una delle tavole più interessanti del panorama veneto.


Indirizzo


Byblos Art Hotel- Ristorante Amistà

Via Cedrare, 78, 37029 Corrubbio VR

Telefono: 045 685 5583

Sito web

 

 

Ultime notizie

mostra tutto

Rispettiamo la tua Privacy.
Utilizziamo cookie per assicurarti un’esperienza accurata ed in linea con le tue preferenze.
Con il tuo consenso, utilizziamo cookie tecnici e di terze parti che ci permettono di poter elaborare alcuni dati, come quali pagine vengono visitate sul nostro sito.
Per scoprire in modo approfondito come utilizziamo questi dati, leggi l’informativa completa.
Cliccando sul pulsante ‘Accetta’ acconsenti all’utilizzo dei cookie, oppure configura le diverse tipologie.

Configura cookies Rifiuta
Accetta