Tra il dire e il fare c’è di mezzo il cucinare. A San Sebastian Gastronomika Albert Adrià rivendica l’adesione sincera al mantra della stagionalità e della sostenibilità (leggi formaggi vegani), mentre scioglie il nuovo Enigma attraverso un paio di piatti.
La notizia
Prossimità, stagionalità, sostenibilità: è il mantra della cucina contemporanea. Ma le cose stanno davvero così? Se lo è chiesto sul palco di San Sebastian Gastronomika Albert Adrià (tornato in carreggiata dopo aver pensato più volte di ritirarsi), che a differenza del più celebre fratello preferisce lavorare sui prodotti del momento quando si tratta di creare un piatto. “È qualcosa che molti dicono ma pochi fanno, perché richiede un grande sforzo”.Lui di sicuro non si risparmia, visto che aggiunge: “Cucino undici ore al giorno, sto vivendo la mia seconda giovinezza”. Ma neppure durante la pausa pandemica si è mai fermato, continuando a sperimentare. Per esempio, formaggi vegani a base di latte di soia, fra cui burrate, stracciatella e scamorza, o sferificazioni di nuovo conio.
Adrià junior ha fatto chiarezza anche sul nuovo Enigma, che dati i cambiamenti tumultuosi rispetto alla formula originale, a suo giudizio avrebbe dovuto cambiare nome. Si tratta dell’unico ristorante che attualmente porti avanti da solo, poi ci sono Cakes & Bubbles a Londra e Little Spain a New York, con José Andrés. I suoi numeri sono 700 metri quadrati, 45 dipendenti, 50 commensali per 5 servizi a settimana, 15-20 elaborazioni per cliente, che equivalgono a 800-1000 al giorno, in assenza di carta. “L’idea è creare un linguaggio, perché a 52 anni, dopo tutto quello che abbiamo passato, voglio divertirmi e fare felice il cliente”. Una specie di via di mezzo fra Tickets e il vecchio Enigma.
Fra i piatti presentati il sashimi di melone, ottenuto attraverso la tecnica dell’“impregnazione”, mediante la quale si occupano i vuoti della materia in alternativa all’osmosi, e servito con wasabi di Montseny. Poi ci sono i pacchettini di calamaro, incisi alla giapponese in modo da ottenere fazzoletti e farciti di grasso di prosciutto e 3 grammi di caviale, perché sul food cost non si sgarra. Sembra facile, eppure non lo è.
“Altrimenti lo farebbero tutti. Ma il difficile non è realizzare un piatto, piuttosto sapere quando è finito. Ho bisogno di una base sulla quale costruire un linguaggio, uno stile, qualcosa che non si realizza in un giorno”. La chiave, dice, è la tecnica invisibile. “Mi piace proporre una cucina priva di punti di riferimento, creare discrepanze e che l’inizio del pasto sia una dichiarazione di intenzioni”.
Fonte: La Razon