Chef

Himanshu Saini: "Perché nessuno chef indiano ha 3 stelle Michelin?”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina himanshu saini

Lo sviluppo tumultuoso della cucina indiana non ha ancora rotto il tabù delle tre stelle. A chiedersi il motivo è Himanshu Saini, astro nascente del paese, stellato a Dubai.

L'opinione

Sul cammino oggi accidentato della globalizzazione, non da ieri il fine dining è sbarcato in India, paese in sviluppo tumultuoso, con un vasto mercato potenziale. Tuttavia, c’è ancora molto da fare. A ricordarcelo è Himanshu Saini, chef trentacinquenne di TrèsInd a Mumbai e TrèsInd Studio a Dubai. Quest’ultimo recentemente ha conquistato la stella, primo indiano dell’emirato, e si è piazzato quarto ai 50 Best per il Medio Oriente e il Nord Africa, dove Saini era già diciottesimo. Successi eclatanti, che non valgono a dissipare le sue perplessità.


Si chiede ad esempio perché, nonostante la guida rossa sia da tempo presente nel paese, nessun ristorante indiano, neppure all’estero, sia mai stato premiato con le tre stelle e come mai non sia stata riconosciuta la caratura dei suoi maestri, Vineet Bhatia e Manish Mehrotra. Quest’ultimo, in particolare, è stato il suo guru per personalità e valori, nonostante il passaggio al fianco di chef come Ana Ros e Jorge Vallejo, che hanno ampliato i suoi orizzonti. Ma la sua prima maestra, racconta, è stata la madre, cuoca semiprofessionista di fatto, quando si trattava di sfamare tre volte al giorno cinquanta persone.


E l’amaro in bocca non si dilegua. Dopo avere scoperto il riconoscimento, in realtà mi sono sentito triste. Perché c’è solo un ristorante indiano con la stella a Dubai? Perché nel mondo ne esistono solo quindici? Così ho scritto a Michelin per chiedere come avrei potuto migliorarmi. Sono ambizioso. Voglio competere per le due stelle. Sono curioso di capire perché non ci sono tristellati indiani. Forse Michelin segue criteri di giudizio che i ristoranti indiani non soddisfano? Mi sono sentito triste perché il cibo indiano non riceve abbastanza attenzioni. Ora sta cambiando lentamente, ci sono così tanti giovani chef nel paese che fanno cose incredibili, alcuni sperimentano fino in Australia e Nuova Zelanda e di recente Thevar a Singapore ha conquistato la stella. Sono le occasioni in cui ti senti orgoglioso”.


Per lui è arrivato il momento di una cucina “new classic”, imperniata sulla rilettura di principi identitari, alla maniera di Massimo Bottura, inconfondibile con la sua tartelletta al limone o le sue stagionature di Parmigiano, per Saini autentici punti di riferimento. Vedi il suo Khichdi, unico piatto che realmente accomuni il paese, diventato immediatamente virale sui social: ben 28 ingredienti, tanti quanti gli stati indiani, accomodati su uno specchio scanalato, che ha ispirato la ricetta (ma all’inizio erano 70 e ora lo sfondo è una mappa, perché ogni signature deve avere i puntini di sospensione). Praticamente una lezione di geografia. Oppure il finto riso di funghi pleurotus, tagliati come chicchi e cotti a mo’ di cereale. Non senza qualche sospetto di déjà-vu. Sarà per questo che Michelin tiene le sue riserve?


Fonte: cntraveller.in

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