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Andoni Luis Aduriz: la vita prima del Mugaritz. “A scuola ero un fallimento”

di:
Massimiliano Bianconcini
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“Ho visto molte persone piangere di gioia al Mugaritz. E pensare che a scuola, da ragazzo, ero un fallimento”. Andoni Luis Aduriz svela dettagli inediti sulla sua biografia. E riflette su un presente luminoso che ha anche i suoi lati bui.

L'intervista

Il ristorante Mugaritz (due stelle Michelin e numero 21 al mondo) da 25 stagioni scommette su un'esperienza che al suo apparire ha infranto i codici tradizionali della cucina mondiale, per via della creatività e del lavoro di Andoni Luis Aduriz, oggi uno degli chef più influenti al mondo (ecco i suoi ultimi piatti in anteprima). Ma la cosa più irreale è che Aduriz, per la maggior parte, cucina senza usare le mani. Divulgatore, filosofo e, perché no, anche scienziato e poeta, ha sempre giocato ai margini del piatto, facendo saltare i codici dei ristoranti tradizionali con piatti zeppi di errori di “ortografia”.

Crediti Michelle Chaplow



Lo chef ha portato il Mugaritz nella Top 10 del mondo da quindici anni ed oggi è al numero 21 nella classifica dei 50 migliori ristoranti del pianeta. Da poco ha lanciato un nuovo progetto aprendo Muka, un locale che ruota attorno al fuoco e alla brace, al Kursaal Conference Center di San Sebastián. Ma per lui, all'inizio, la cucina più che vocazione era "obbedienza" materna.

Crediti EFE



Ero uno studente così pessimo che fui bocciato persino in ginnastica. Per mia madre, che all'età di 8 anni è stata costretta a lasciare la scuola per andare a pulire una azienda di sidro, vedere che suo figlio non approfittava degli studi è stato un duro colpo”, ricorda lo chef. “Però aveva già capito che puntavo ad altro”. Come dice la più aggiornata critica gastronomica spagnola, puntava a creare un ecosistema con un linguaggio del tutto personale, mosso dalla creatività e dall'anticonformismo e che sembra presentarsi come "un errore di sistema", che genera aspettativa ed entusiasmo ad ogni nuova stagione. A questo chef, capace di comunicare una visione critica e multidisciplinare della gastronomia, ha riservato una approfondita e inedita intervista il magazine El Mundo.

È alla continua ricerca da più di 20 anni. In questa stagione, in cui esplora le ragioni del gusto, qual è il piatto forte del menù?

Non lo so. In totale il nuovo menù è composto da 23-25 assaggi, quindi è riduttivo sceglierne solo alcuni. Una volta al mese, di solito, mangio al Mugaritz per vivere l'esperienza come fa il commensale. Quel giorno non “suono”, vado con il pubblico ad ascoltare come suona la band. Capisco che a volte la gente sia disorientata, ma vi dico anche che è uno spettacolo. Non riesco a separare quello che facciamo in cucina dalla coreografia che avviene in sala. Quest'anno abbiamo recuperato un modo bellissimo di fare le cose, quasi come un gioco... La sala è una coperta che ti avvolge tutto il tempo.

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Cerchi complici, non clienti. Cosa succede quando la complicità non nasce?

Che tutti noi ne soffriamo. Ma sarebbe sleale fare qualcosa di convenzionale, perché diremmo alla gente che siamo caduti dal bordo nel piatto. Il nostro modo di impegnarci è continuare ad essere noi stessi e avviare un ipotetico confronto con persone che forse non sanno nemmeno dove si sono recate a mangiare. Non si va ad un concerto alla cieca, in genere prima lo si sceglie in base ai propri gusti. Perché in gastronomia non succede questo? Noi cuochi dovremmo spiegare la nostra proposta, eviteremmo così che qualcuno si spaventi, perché, come dice un mio amico di Orl “Andoni, tu lavori in un tempio del piacere, dove la gente va a divertirsi”. Non mi alzo pensando a quanti tavoli renderò felici, ma a dare il meglio che conosco con l'obiettivo di renderla una grande esperienza.

Face to face- crediti Lopez De Zubiria



È capitato che gli ospiti fossero scontenti?

Succede più spesso di quanto si pensi, non solo a noi. Il problema con il Mugaritz è che questo non è un sito di certezze, ma di ricerche. Vuoi vedere cosa stiamo cercando? Allora vieni. Ma se lo fai solo perché ti hanno detto che siamo stati tra i primi 10 al mondo per 14 anni, probabilmente non sarai pienamente soddisfatto. Per me è quasi doloroso, non mi piace deludere. Non sono pronto a deludere. Da qui nasce la frase “apri bocca e mente", una richiesta che abbiamo fatto sin dall’inizio. Chiediamo alle persone di essere pronte a fare quest’esperienza senza pregiudizi. Forse dovremmo iniziare a chiedere di aprire anche le orecchie. Se c'è un uomo che vuole solo scoprire ciò che già sa, questo non è il posto adatto a lui.

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E che locale è questo?

Qui non ci sono primi piatti, pesce, carne, dolci... Non li etichettiamo così. Già questa è una sfida. Il Mugaritz è una storia a parte. Vive e cresce nella sua bolla, evolvendo costantemente.

Un anno l'intera sala da pranzo ha cominciato ad applaudire per un piatto che abbiamo servito nel mortaio. Non importava in quale fase del menu si trovasse ciascun tavolo: servivamo tutti contemporaneamente. Ogni commensale ha cominciato a schiacciare alcuni semi nel mortaio e nel frattempo si rendeva conto che la stessa cosa stava succedendo in tutta la stanza, che c'era lo stesso suono, lo stesso odore... Una comunione. Tutti stavano condividendo uno spazio e un tempo. Ho visto molte persone piangere al Mugaritz, siamo riusciti anche a fare questo.

Salume vegano con pomodori secchi lattofermentati, frutta secca



Quanto pesano determinate etichette?

Non so se le etichette oggi siano un complimento o una condanna. Ci chiedono, siete all'avanguardia? Non lo so, non etichettarmi come avanguardia. Sei arte? Non lo so. Né mi mette in una situazione diversa o mi semplifica le cose. Mugaritz è sempre stato obbligato a spiegarsi, anche a giustificarsi.

Così quel cattivo studente oggi scrive libri ed è uno studioso che non smette mai di approfondire il rapporto tra gastronomia e altre discipline. Ha anche scritto insieme al filosofo Daniel Innerarity, “Cucinare, mangiare, vivere insieme” (Ed. Destino, 2012)

Le parti peggiori sono scritte da me (scherza). Tornando al cibo, passo gran parte della mia vita a cucinare senza usare le mani, perché alla fine le cipolle le può sbucciare anche il robt da cucina. Quel che conta è produrre idee. Raccogliere una sfida è molto più difficile che caramellare una cipolla.

So già che non siamo il miglior ristorante del mondo, ma avendo appesa fuori un’insegna, in qualche modo ci salviamo.

Crediti Jon URBE- FOKU



Fonte: elmundo.es

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