Alla radice dell’odierna crisi delle vocazioni nei mestieri della sala c’è secondo il primo “cameriere” di Spagna la crisi profonda di una generazione, sacrificata dalle continue emergenze e dall’egoismo dei predecessori.
La notizia
Josep Roca non è un professionista qualunque: piuttosto è il primo “cameriere” di Spagna. Perché così, letteralmente camarero, ama definirsi il direttore di sala e sommelier del Celler de Can Roca, ristorante sul tetto del mondo (in cui sembra, a detta del fratello Joan, che le brigate siano 2, con tanto di psicologa per i cuochi). Le sue parole sulla crisi delle vocazioni che attanaglia il settore non possono quindi che fare rumore e interrogare tutti coloro che amano l’alta ristorazione.“Oggigiorno essere cameriere significa molto di più che portare piatti in tavola. Offre molte possibilità di crescita e instaura rapporti con molte discipline, dalle neuroscienze all’intelligenza artificiale, dall’etica dell’informazione al settore agroalimentare, fino al turismo, tutti ambiti di quella branca della grande cultura che chiamiamo ‘gastronomia’”. In fin dei conti, confessa, l’ascolto e la gestione dell’ego sono fra i prerequisiti indispensabili per l’eccellenza, senza che la gelosia per il protagonismo dei cuochi pregiudichi la discrezione di chi è tenuto a misurare le parole.
Ma l’intervista rilasciata a Guillermo Elejabeitia del magazine “7 Canibales” è destinata a far discutere soprattutto laddove tocca temi di attualità. “Oggi non mancano solo camerieri, ma anche infermieri e medici. Se aggiungiamo gli stagionali del turismo, ci troviamo di fronte a una generazione, compresa fra i 20 e i 35 anni, emotivamente bruciata. Sono i più preparati a livello accademico, ma conoscono solo la crisi e non stiamo dando loro un buon futuro. Il pianeta manifesta sintomi di esaurimento, sanno di non poter fare impresa come i loro nonni e genitori, sono risentiti con le generazioni precedenti. È normale che esigano un prezzo giusto, la conciliazione personale e condizioni di vita che siano compatibili con l’ozio, l’unica cosa che hanno, cui non intendono rinunciare. Anziché domandarci perché i giovani non vogliano fare i camerieri, dovremmo chiederci cosa abbiamo fatto loro per ridurli così”.
Il paragone con gli infermieri, precisa Roca, non è casuale: si tratta di mestieri nobili, finalizzati alla cura, che solitamente aprono la strada ad altre forme di realizzazione. Come un portone sul mondo del lavoro. Che fare, allora? “Occorre mettere ordine nel settore dell’hôtellerie, accettare una nuova realtà. La sfida sta nella dignità del lavoro, nel rispetto della vita delle persone che collaborano alla tua attività. Bisogna cambiare paradigma. Non è più accettabile che l’hôtellerie sia così. Soprattutto perché questa generazione è diversa dalle precedenti. È molto emotiva, ha la sensazione perenne di essere stata ingannata. Bisogna darle lo spazio per crescere. La gente non vuole solo incassare di più, vuole sentirsi ascoltata, curata, rispettata e accompagnata nella sua crescita personale e professionale. Bisogna incentivare i talenti e motivare la passione, è il fuoco della conoscenza”.
Fonte: 7canibales.com
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