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Omar Ngom: ieri lavapiatti, oggi top chef a Dakar. “Vi racconto la mia favola”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina omar ngom

Dopo aver speso vent’anni nella ristorazione italiana, Omar Ngom a causa del covid è rientrato a Dakar, dove guida il più prestigioso ristorante italiano del Senegal.

La storia di Omar Ngom

La storia


Omar Ngom è un figlio d’arte: è stato a fianco di sua mamma Selè, quando era poco più di un bambino, che ha iniziato a scoprire la cucina, prima in una bancarella di street food, poi in un vero e proprio ristorante consacrato alle specialità senegalesi nella zona più elegante del centro di Dakar. La aiutava ad andare al mercato per fare gli acquisti e buttava l’occhio, quando metteva sul fuoco i suoi intingoli. Lunghe cotture alla maniera tradizionale, da accompagnare con il riso al vapore.


Poi è successo che è mancato il mio babbo. Io non vedevo tanto futuro qua, pensavo che l’eldorado fosse in Italia, come tutti gli africani, anche se non sapevo cosa sarei diventato. Sono partito nel 2001 e mi sono fermato in Portogallo, in Svizzera e in Francia, dove però non mi sono trovato bene. Invece a Torino mi sono innamorato dell’Italia: ho incontrato gente aperta che mi ha accolto con calore. E a Siena mia cugina mi ha aiutato a entrare in un ristorante come lavapiatti, il mio primo lavoro nella ristorazione”.


“Spesso davo una mano in cucina, così la titolate dell’Hotel Palace Due Ponti, Paola Fioravanti, ha notato che avevo tanta voglia e ha pensato che meritassi di essere aiutato. ‘Ti farò fare corsi di cucina a Siena’, mi ha promesso. E ho frequentato tante master class, un giorno la pizza, un altro la pasta fresca oppure il taglio della carne. Devo ringraziare in particolare Andrea Guerrini e Giancarlo Budini, che mi hanno insegnato tanto. Entrato a 21 anni, a 28 gestivo tutto, con una proposta di cucina tipica. In seguito, mi sono spostato all’Isola d’Elba e a Pienza, dove lo chef Matteo Antoniello di Posta Marcucci mi ha trasmesso l’amore per la cura del piatto in un locale elegantissimo”.



La cucina de Il Pappagallo


Amo la cucina toscana tradizionale con i suoi piatti sostanziosi, che oggi vengono ammodernati o rivisitati. Anche se prediligo le ricette meno battute, come la tegamata, la ribollita, i pici, i malfatti… Sono convinto che la cucina italiana sia una delle migliori al mondo nella sua semplicità, con tanti trucchi che alla fine la rendono difficile”. A un certo punto, tuttavia, il covid si è messo di traverso: Omar lavorava presso il rifugio Salei, in Alto Adige, ma in seguito alle chiusure, nell’incertezza, si è licenziato ed è tornato a Dakar. Qui l’ha subito ricontattato una signora americana di origine etiope, Yodit Eklund, che da anni avanzava proposte di lavoro.



Innamorata dell’Italia, al punto da sposarsi a Venezia, cercava uno chef per il Pappagallo, lussuoso ristorante italiano dell’hotel Sekubi, ubicato in quella che era stata l’Ambasciata degli Stati Uniti. Una struttura coloniale tirata a lucido, che parla italiano dai marmi alle stoviglie Richard Ginori.




Quando mi ha chiesto un appuntamento, le ho risposto: Proviamo! Non sapevo se sarei tornato in Italia, né quando. E devo dire che il ristorante sta avendo un successo incredibile, che mi rende orgoglioso. Ci sono tanti imprenditori da tutta Europa, politici, diplomatici… Ieri parlavo al tavolo con il rappresentante della Banca Mondiale. Mi ha detto: ‘Per me la cucina italiana è la migliore’”.


Tutt’intorno Dakar sta vivendo un momento magico grazie alla scoperta dei giacimenti di petrolio prossimi all’estrazione. Il paese è sempre stato ricco, dal gas agli zirconi, ma ora richiama da tutto il mondo uomini d’affari desiderosi di investire, che da qualche parte dovranno pur mangiare. Tanto che i ristoranti di lusso, italiani e non, si stanno moltiplicando, anche se nel resto del paese la povertà alligna. Dakar vive nella sua bolla dorata.




Il Pappagallo continua a proporvi la sua cucina italiana, incardinata sulle paste fresche, fatte rigorosamente a mano, che sul continente nessun italiano si aspetterebbe di trovare, siano gli gnudi cacio e pepe o i ravioli di aragosta con bisque di crostacei. La costa su cui si affaccia la capitale è pescosissima e da lì arrivano prodotti pregiati, come i gamberi rossi, di pezzatura maggiore di quelli di Mazara. Ma i salumi e i formaggi sono italiani, con l’eccezione della ricotta fatta in casa; il manzo è chianina di Firenze, le paste secche e i pelati sono meridionali, fra i vini spiccano Barolo e Chianti, oltre ai francesi. Di senegalese restano gli ortaggi freschi, con l’erbario dedicato ai fiori commestibili e al basilico per il pesto sul tetto.



Qualche contaminazione comincia comunque a insinuarsi, anche grazie alla cooperazione italiana, che ha finanziato progetti per riportare i giovani nei campi e favorire un’alimentazione sana, chiedendo agli chef di suggerire nuovi utilizzi. Omar ha partecipato con entusiasmo, studiando vegetali come il gombo, che può essere servito come le zucchine, bollito, in vellutata, croccante; il fagiolo niebe e il fonio, cereale senza glutine la cui farina, utile anche nella preparazione della pasta, comincia a essere esportata. Ne ha tratto un piatto di cui va orgoglioso, gli gnocchi di fonio; mentre dall’aubergine amère, così scontrosa che in Senegal nessuno vuole mangiarla, ha ricavato un carpaccio ingentilito dalla salamoia con sale e zucchero, che ha lasciato i clienti locali di stucco. “Mi manca l’Italia, ma è un’esperienza che mi sta aiutando a valorizzare le mie origini”, sintetizza.



Accanto a un 90% di stranieri, infatti, arrivano anche ospiti senegalesi, abituati a mangiare pietanze piccanti e speziate. “Ma io voglio restare sul gusto italiano e se mi chiedono il ketchup, dico che non c’è”. Molti sono musulmani, come gran parte dei 15 cuochi senegalesi e Omar stesso, che tocca e traffica di tutto, senza mangiare né assaggiare per ragioni religiose i piatti di maiale e i salumi. “Prima tanti ragazzi qui non davano valore alla cucina: per loro era un’occupazione prettamente femminile. Ora iniziano a capire che è un mestiere grazie al quale si può guadagnare molto bene. Ma nel paese ancora mancano valide scuole di cucina: il mio sogno è aprirne una, dove invitare chef italiani a tenere lezione”.


Indirizzo


Il Pappagallo- Hotel Sekubi

33 Rue Berenger Feraud, Dakar, Senegal

Tel+221 33 842 22 02

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