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Il primo ristorante di cucina scandinava a Roma: Aede e i piatti “vichinghi” di Fabrizio Cervellieri

di:
Francesca Feresin
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Copertina Aede

Un format che porta a Roma il meglio della cucina nordeuropea, fra sapori barbarici e allestimenti minimali. Benvenuti da Aede.

Aede

Il ristorante


Il tempo è un ingrediente. Al di là del sale e del pepe, dell’olio che frigge e del burro che nappa e intenerisce le carni, c’è il tempo di modificare le consistenze, unire i sapori e creare nuove consistenze. Il tempo c’è in ogni ricetta, basta cercarlo. E a farlo, con studio e rispetto, nella Roma più centrale ed in fermento enogastronomico, è Aede, una neonata realtà ristorativa che guarda alla cucina del Nord Europa per raccontare una nuova forma di tempo.


Più precisamente l’insegna di Via Federico Cesi 22 recita æde, con il grafema tipico dell’alfabeto danese, parola che sta per mangiare, nella sua accezione più succulenta e animalesca, che coglie l’attimo senza indugiare. Un paradosso, in quanto sono proprio la fermentazione, il dry aging, le frollature e le cotture lente il fulcro e il motore del ristorante.


A optare per questo approccio sono Tommaso Falconi e Fabrizio Cervellieri, rispettivamente in sala e in cucina, che insieme agli altri due soci, hanno deciso di puntare tutto su preparazioni complesse, calde e vichinghe, omaggio alle temperature estreme, che, d’altra parte, non soverchiano mai il gusto primordiale della materia prima.



La filosofia è condizionata in modo naturale e spontaneo dalla stagione e dall’offerta del mercato, base essenziale, ed unica, per la creazione di piatti minimalisti, sviluppati attorno a tre o quattro elementi, ricercati negli angoli del territorio laziale. C’è l’Orto di Clapi per le verdure, Fauno per erbe selvatiche e microgreen, a cui si aggiungono carne e pescato italiano con alcune piccole deviazioni. Una linea improntata su un concetto autentico di tradizione territoriale, che però muove controcorrente rispetto a quello che si era sempre fatto e pensato nella Capitale.


Nei pochi metri quadrati di fornelli, che affacciano di sbieco sulla piccola sala si muove Fabrizio, giovane chef nato in Abruzzo da genitori friulani. Lui, per niente mediterraneo, con lo spirito vichingo di un guerriero orgoglioso, prepara piatti specchio della sua storia fatta di 15 anni di vita nelle fredde cucine tra Friuli, Londra, Berlino e Copenaghen. Giocando con libertà, senza annoiarsi e seguendo l’istinto, Fabrizio e la sua brigata tirano fuori una carta essenziale, basata su 13 piatti che cambiano mensilmente e non sono relegati alle classiche e statiche categorie di antipasti, primi e secondi.


Il menu è un foglio con un elenco sparso di creazioni, definite esclusivamente dal nome dei loro componenti principali, che vanno dal pesce di fiume ai molluschi passando per carne, latticello e soprattutto vegetali. Quest’ultimi, ribadisce Cervellieri, non devono essere un semplice contorno o abbellimento, ma i veri protagonisti di una portata.


Il tutto si muove all’interno di una cornice quanto più calda e intima possibile, di appena diciotto coperti, che il legno nelle sue variazioni cromatiche, i libri di ricette scandinave, le lampade in ceramica e gli stessi piatti e scodelle artigianali della bottega trasteverina Pots, contribuiscono a rendere confortevole ed informale. Non esiste sedersi, ordinare un piatto e andar via. Da Aede comanda il degustazione. Si può scegliere tra quattro percorsi a 3, 4, 8 o 13 portate, rispettivamente a 30, 40, 89 e 129 euro, a cui si può aggiungere il pairing con 4 o 6 calici, a 26 e 34 euro. E mentre i due percorsi più lunghi sono scelti dallo chef e obbligatori per tutti i componenti del tavolo, i primi due sono democraticamente decisi dal cliente.


A pranzo, invece, l’offerta cambia due volte a settimana, e ruota attorno a piatti più semplici, sempre nordici ma contaminati da paste italiane. A non mancare mai è lo Smørrebrød, un pane ai semi preparato appositamente dal vicino forno Colapicchioni, e condito con pesce, carne o verdure accuratamente lavorate. La cantina è coerente con la cucina e conta una cinquantina di referenze che tendono al naturale del territorio italiano, con alcuni accenni all’estero. Tutto è in fase di fermento: si pensa di aggiungere in scaffale qualche kombucha aromatizzata.  


I piatti


Spalmare una dose abbondante di burro montato e aromatizzato alla cipolla borettana e sale Maldon è il primo gesto da compiere una volta seduti a tavola. Da qui è tutto in discesa verso sapori barbarici, puri e primordiali, fatti di pochi elementi. Si può iniziare con lo sgombro, dal gusto equilibrato tra ferro e dolce grazie alla laccatura con una simil melassa di cipolla borettana e aceto balsamico invecchiato 25 anni.


La carne viene poi appena bruciata al cannello, così da acquisire una pelle croccante ed un interno umido e succoso. In abbinamento a dare acidità ci sono i cetrioli sott’aceto che, in cerchi, nascondono il pesce azzurro assieme ad una crème fraîche fatta in casa e appena affumicata.


Si segue il filone vegetariano con edamame, porro, prosciutto crudo di Cinta Senese e panna acida alla menta. Un piatto apparentemente semplice che nasconde una complessità di fondo immensa per l’equilibrio dei gusti e delle consistenze. Essenziale il prosciutto che spezza le dolcezze degli altri elementi e dà spessore al vegetale. Arriva sullo stesso stile la lattuga fermentata, 3 latti e pistacchio. La verdura viene cotta sottovuoto e poi lasciata fermentare 48 ore. Intorno a lei viene lasciata cadere una riduzione di panna e ricotta scorzonera ai 3 latti, di capra, mucca e pecora. La granella di pistacchio conferisce colore senza alterare i sapori.


Si aumentano i toni scandinavi con la testina cotta lentamente, sfilacciata, panata e fritta. Morbida, saporita, viene smorzata nei suoi spigoli dai crauti all’aceto e dalle mele in agrodolce mentre la riduzione di fondo di vitello ne amplifica i tratti intrinseci.


L’ultima portata salata è piaciona e nasconde tecnica nell’esecuzione. Si tratta di una pancia di maiale cotta lentamente 24 ore e abbinata ad un mix acido e stimolante di yogurt, finocchi e ribes. Morsi iodati e tremendamente succulenti che sintetizzano l’ecosistema locale in un incontro tra la ricchezza della campagna e l’essenza selvatica delle foreste.



Risolatte, rape rosse e mirtilli è il traguardo finale. Un dolce poco dolce, atipico per Roma e per gran parte dell’Italia dove la cremosità lattica del riso viene efficacemente compensata dall’acidità del coulis di mirtilli e aceto balsamico invecchiato.


Indirizzo


Ristorante Aede

Via Federico Cesi 22, 00193 Roma

Tel: 06 8897 4793

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