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Massimo Bottura è lo chef più influente d’Europa: la valorizzazione del territorio vale 200 milioni di euro

di:
Massimiliano Bianconcini
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Fra gli chef più influenti e ricchi d’Europa ci sono 3 italiani. Al primo c’è posto Massimo Bottura. Il predominio gastronomico fa bene anche al turismo e all’agrifood del Paese, confermando la sua importanza strategica.

La notizia

Massimo Bottura, Massimiliano Alajmo, Antonino Cannavacciuolo, Heinz Beck, Anne-Sophie Pic. Cos’hanno in comune queste cinque persone? Anche un profano, intuitivamente, oggi risponderebbe che sono tutti chef stellati. Segno questo che ormai la cucina è al centro dei media e delle attenzioni del grande pubblico. Qualcuno più addentro alle cronache gastronomiche potrebbe invece aggiungere che in comune hanno il fatto di essere i 5 chef più ricchi d’Europa.


Nel senso che guadagnano quanto o più di un Ceo di una grande industria o di una banca di caratura internazionale. Fra l’altro, per tre quinti sono italiani; anche se un certo Heinz Beck, tedesco di nascita, da decenni esercita nel nostro Paese e le tre stelle Michelin le conserva per l’impegno al ristorante La Pergola di Roma.


La classifica è stata stilata dagli analisti finanziari di Money.co.uk e vede il netto predominio, in termini di rendite finanziarie, della ristorazione italiana di fascia alta in Europa. Massimo Bottura è così al primo posto con ben 200.720.870 di euro netti. Più indietro risultano essere Heinz Beck (16.233.495), Massimiliano Alajmo (15.457.407), Antonino Cannavacciuolo (5.381.566), Anne Sophie Pic (4.264.460).

Infografica dal sito money.co.uk



Dunque, a tanto si può arrivare vendendo piatti di alta cucina? Non proprio. Infatti, non sono i prezzi dei menù degustazione la maggiore voce in entrata dei bilanci societari degli chef stellati. Sono invece le partecipazioni a programmi televisivi, le sponsorizzazioni, gli endorsement per le campagne pubblicitarie, le linee di prodotto, le attività social e tutte le altre azioni extracurriculari, ossia al di fuori del proprio atelier (leggi cucina), che gli chef più famosi conducono; come, ad esempio, le consulenze per l’avviamento di nuovi locali in giro per il mondo. Tutto questo non sarebbe possibile, naturalmente, senza le loro capacità di creare esperienze gastronomiche uniche e raffinate, e dei loro team affiatati e altamente preparati che permettono un forte sviluppo di chef oramai diventati veri e propri brand capaci di rilasciare autorevolezza al pari dei marchi a cui vengono associati.


La rivoluzione, l’innovazione e le tendenze del gusto in cucina passano per le loro mani e il fatto che i migliori siano italiani, o comunque operino in Italia, ha ricadute positive per il nostro Paese e per le nostre economie. Intanto, l’Italia è vista come un luogo dove fare esperienze culinarie uniche giova al turismo organizzato, sempre più intimamente legato ai sapori, alle materie prime e alle ricette. In secondo luogo, ne giovano anche le produzioni agricole e con esse l’export.


La riproducibilità dell’opera d’arte è un fatto intrinseco della contemporaneità ma, diversamente da altre riproduzioni, quella gastronomica deve avvalersi degli stessi ingredienti, altrimenti il piatto si snatura. I 50 miliardi dell’export italiano nel 2019, si devono alle grandi abilità artigianali delle nostre aziende, così come al valore dei nostri chef che incarnano e veicolano la grande e secolare tradizione culinaria italiana. 

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Nonostante questi dati di rilevanza europea, il comparto continua a non essere considerato al pari di altri italiani riconosciuti in tutto il mondo, tanto da essere stato probabilmente il più penalizzato e il meno supportato durante il periodo della pandemia, generando chiusure e licenziamenti. Perdite di posti di lavoro che con molta probabilità avranno ripercussioni pesanti anche nei mesi a venire per tutto il comparto ristorativo.


Accade oggi in gastronomia quello che è accaduto nel Trecento per la letteratura; tra il Quattrocento e il Cinquecento per le arti figurative; tra gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta del Novecento per la moda. Tutto il mondo guarda al Bel Paese per imitarne le innovazioni. Sia chiaro, siamo primi o tra i primi anche in altri campi: nel lusso, nella cosmetica, nella produzione di materia prima seconda, in tecnologia; qui però il focus è la ristorazione ed è indubbio che il “Gran Tour” contemporaneo di chi oggi compie il proprio viaggio di formazione in Italia metta l’esperienza enogastronomica tra i primissimi posti. Questo crea indotto economico per i territori, che si giovano e si avvalgono dell’immagine dei nostri chef per attrarre appunto turismo qualificato. Non solo internazionale, perché il turista italiano, appassionato di esperienze al pari del cugino francese o tedesco, ama provare le varietà regionali, alimentando un circolo virtuoso che di fatto aiuta produttori e produzioni. Ma diversamente dai nostri “cugini” europei il sostegno e la considerazione per il comparto ristorativo sono palesemente inferiori.

Villa Crespi



Questo lungo discorso, insomma, per arrivare a dire che, se anche questa notizia ci porta a leggere con sorpresa i dati di fatturazione di un cuoco, questi vanno poi visti come parte di un sistema più complesso a segno positivo. Come diceva Keynes, i costi elevati che impone il lusso, per l’acquisto di prodotti che in fondo potrebbero avere valori di mercato più modesti, aiutano a redistribuire la ricchezza, spalmandola per tutta la filiera. Per questo non va demonizzato. Semmai favorito. Soprattutto in questo momento in cui l’economia legata al mondo della ristorazione sta uscendo da una crisi da Covid che l’ha fortemente penalizzata.

Fonte: money.co.uk

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