Quella di Antonio Guida è una cucina straordinariamente coerente nel suo substrato classico, dove la solidità implica equilibrio e armonia, anche nelle prove più temerarie.
Ristorante Seta
La storia
Maturo, preciso, generoso, a tratti sorprendente. Il momento non è facile, eppure Antonio Guida sembra toccare il cielo con la punta di una toque, che gli è impossibile sfilare. Di fatto il suo Seta, ubicato all’interno di una struttura alberghiera, il Mandarin di Milano, e dotato di dehors nella corte interna, si è fermato solo due mesi lo scorso anno. E la fluidità del pasto scorre più placida che mai entro le golene di uno stile, al quale davvero non si può rimproverare più nulla.
L’affluente principale arriva da Parigi, per la precisione da quel pazzo visionario di Pierre Gagnaire, presso il quale Guida si è fermato prima di passare all’Enoteca Pinchiorri e al Don Alfonso. “E abbiamo ancora un bellissimo rapporto. Per me è stato il luogo della svolta, perché è uno chef molto dinamico, che cambia i piatti quasi ogni giorno, sempre alla ricerca della perfezione, sempre fuori dagli schemi. Potevano essere piccole modifiche, a volte toglieva, a volte aggiungeva, a volte invece cambiava proprio tutto. Accadeva anche durante il servizio e allora era difficile per noi della brigata, con la sala piena di gente in attesa. Ma neppure a me la cucina statica piace”.
Ormai sono 6 anni che dopo i successi del Pellicano, officia al Seta di Milano con il secondo Federico dell’Omarino. “E ogni giorno è una scoperta e una sfida. Il bello di questa città e di questa location è poter alzare continuamente l’asticella”. Nulla ormai sembra mancare per portarla all’ultimo livello, né in sala né in cucina. “Le differenze con il Pellicano sono tante”, prosegue Guida. “Tanto per cominciare, questo non è un posto stagionale. Tanti ragazzi mi hanno seguito, ma di signature ne ho tenuti solo un paio. Qui la proposta è più bilanciata fra pesce e carne”.
Il ristorante
I menu sono tre. Ci sono i piatti storici della casa, riuniti nella Via del Seta. Poi c’è l’Autunno alle porte, che presto verrà rimpiazzato dal percorso dedicato alla selvaggina, feticcio dello chef, autore di una monumentale lepre à la royale; con l’alternativa di Qui ed Ora, dedicato alle ultime creazioni, in cui si sfoga l’anima più inquieta e gagnairiana dello chef.
Entrambi cambiano spesso, per motivare la squadra e perché di fatto il ristorante lavora molto con la clientela cittadina, che torna di frequente. Un piatto può durare anche un mese, selvaggina compresa. Ma da tutti i degustazione è possibile pescare qualche portata per ritagliarsi un pasto alla carta. “Perché la nostra regola è la flessibilità”. La carta dei vini è ampia e varia; seducente il carrello dei formaggi.
C’è infine lo Chef Table, formula originariamente non prevista, ideale per chi ama l’esperienza in medias res (230 euro). “In cucina avanzava dello spazio, che utilizzavamo per le riunioni, ma io sentivo che mancava qualcosa. Così 4 anni fa abbiamo aggiunto uno chef table che è diverso da altri, nel senso che non è ovattato, non è lo schizzo di un architetto. È proprio una postazione in mezzo al via vai, da cui vivere il servizio e la sua tensione.
Ci sono stati clienti che volevano alzarsi per dare una mano o mantecare il risotto, magari vedendo scorrere un piatto chiedevano un’aggiunta, un assaggio o solo un’informazione. A loro cerchiamo di offrire qualcosa di unico, un menu speciale che è un mix degli altri 3, con qualche sorpresa. E i piatti li serviamo noi cuochi. Il rapporto che si crea è tale, che difficilmente l’ospite la volta successiva vuole ritornare in sala”. Cosicché va prenotato almeno un paio di mesi prima, tre per il fine settimana.
Il mix è possibile perché quella di Guida è una cucina straordinariamente coerente nel suo substrato classico, dove la solidità è equilibrio e armonia, anche nelle prove più temerarie. Di fatto spazia fra i capisaldi del grande repertorio, le interiezioni dialettali, introdotte come fattore di disturbo contro la prevedibilità, e le contaminazioni asiatiche, frutto delle esperienze compiute ai tempi del Pellicano durante il fermo invernale, favorite dal nuovo contesto.
A legare il tutto è una straordinaria vocazione da saucier. “Di fatto la salsa funziona da trait-d’union fra gli elementi sul piatto. Quella di saucier è la postazione che ho ricoperto più a lungo e che ho amato di più, anche da Gagnaire. Sebbene per un italiano possa sembrare complicato e tutto appaia nuovo, con tecniche diverse”. Quelle che Guida predilige sono classiche: tanta padella, zero sottovuoto o tecnologie da NASA. A fare la differenza è una mano che parla.
I piatti
Quale che sia il percorso scelto, l’andamento del menu è peculiare, con acidità decrescenti. “Perché il palato all’inizio è più aperto e la gente meglio disposta al gioco”. Lampeggia, per esempio, nel primo signature: Ostriche con patate, friggitello e salsa allo Champagne. Dove il mollusco poché, carnoso e succulento, è servito con patate mantecate alla salsa ravigote, peperoni friggitelli in funzione di disturbo e una salsa a base di riduzione di Champagne. Praticamente un total white, filigranato dalla cialda viola di patata vitelotte.
Un altro classico è il risotto eseguito alla perfezione, cremoso, legato, al dente. “Sono partito dall’idea di un cagnone rivisitato, quale omaggio alla città, con la crema di erbe, soprattutto bieta e spinaci, tutt’intorno per la dolcezza e la polvere di lamponi in superficie per l’acidità. Poi la ricetta si è evoluta, per esempio ho sostituito il Maccagno con il Castelmagno”. Resta centrale la salvia, il cui tono muschiato sposa quello silvestre dei frutti, non senza una reminiscenza involontaria e vintage di risotto alle fragole. Colori, tecniche classiche, contrasti in equilibrio.
E poi il petto di pollo Ficatum, che, come tutti i secondi di Guida, torna a orbitare sulla materia, con l’unica missione di esaltarla. Marinato al lime, viene cotto in padella piano piano, avvolto nella cialda delle sue interiora, più polvere di capperi e fondo acidulo al limone e uvetta in contrasto; per garniture un cipollotto grigliato amarognolo e la barbabietola marinata al Campari.
Piatti sontuosi, generosi, impeccabili. Che però non tolgono la scena e la forchetta alle prove del momento e agli azzardi estemporanei. Dal menu stagionale, per esempio, arriva il morone ligure, pesce grasso che viene cotto al vapore. “Ho cercato di dare forza alla salsa con tanta curcuma e curry; sopra con un velo di ‘nduja e una fettina di mela verde, che pulisce la bocca alla fine, porta croccante oltre a sgrassare con la salivazione, la succosità, l’acidità”. Dove a brillare è il confronto fra culture e speziature.
C’è posto anche per l’amatissimo quinto quarto. Un’animella di cuore di Varvara croccantata in padella al burro con poca cannella, salsa al cardamomo nero, crema di carota e passion fruit per l’acidità.
Soprattutto un appagante rognone cucinato confit nel suo grasso, servito con un mix rinfrescante di verdure verdi, bernese, salsa di fondo di cottura alla senape e rafano, per il ricorrente raddoppio delle sensazioni, in questo caso il piccante.
Ma il piatto del giorno, tratto da Qui ed Ora, è lo Scampo in tempura verde, nuvola di pastella super friabile al sifone colorata con gli spinaci. Si presenta come un equilibrio di cristalli, con la cialda di barbabietola iodata e quella di alghe miste per il gioco moltiplicatorio delle consistenze. Sotto poi si scoprono il pompelmo marinato alla soia, la salsa ponzu, le cozze al lime dall’acidità tagliente, fra il ceviche e la ‘mpepata. Un piatto gagnairiano, anarchico, precario eppure bilanciato nei contrasti estremi, dove Guida sposa, come ama, pesce povero e ricco.
Conchiglie con succo di pomodoro arrosto, melanzane, aglio nero e tandori- Crediti Rossana Brancato
Il menu vegetariano non c’è più, ma ne resta qualche traccia. Vedi le conchiglie mantecate con succo di pomodoro arrosto super ridotto, per un tripudio di umami di nuovo raddoppiato dall’aglio nero, più crema di melanzane arrosto, tè di melanzane, pane croccante alle spezie. Praticamente il giro attorno al mondo di una Norma. “Per un cuoco creare un piatto interamente vegetale è una sfida, ma preferisco non avere etichette”.
Per dessert una classica base nocciola con riduzione di Porto rosso, sorbetto di melagrana e mirtilli firmata da Marco Pinna.
Foto di copertina: Crediti Tyson Sadlo
Indirizzo
Ristorante Seta- Mandarin Hotel Milano
Via Andegari 9 – 20121 Milano
Tel. +39 02 8731 8888
Sito web