Oggi accomodarsi da Jiro costa quasi 15 euro al minuto ai pochi fortunati che vengono accettati, motivo per cui Michelin ha escluso il locale dalla guida giapponese nel 2019. Eppure la storia inizia con un sapore diverso ai tempi della grande depressione.
Chef
Joël Robuchon lo contava nella rosa dei suoi posti preferiti in assoluto. “Mi ha insegnato che il sushi è un’arte”, diceva quando ancora quel minuscolo bancone, nel sottopassaggio della metropolitana di Ginza, non era assurto a hotspot della gastronomia mondiale. All’interno lui, gracile e canuto, ormai quasi centenario, continua a performare gesti esatti, smussati dall’instancabile ripetizione: è il custode di un sapere che lo possiede e sul quale non intende imporre i suoi sigilli, che dalla disciplina fluisce in una mitragliata di bocconcini espressi.Oggi accomodarsi da Jiro costa circa 300 euro, qualcosa come 15 euro al minuto, se si contano le pause tra una portata e l'altra, ai pochi fortunati che vengono accettati (motivo per cui, non senza clamore, la Michelin ha escluso il locale dalla guida giapponese nel 2019), eppure la storia inizia con un sapore diverso. Jiro aveva appena 7 anni nel 1932, quando il padre alcolizzato se ne andò di casa. E già due anni dopo la povertà del focolare era tale, che gli fu chiesto di andarsi a cercare un lavoro. Il primo posto che trovò fu in un locale di sushi della sua città natale, Tenriu, e da allora il suo orizzonte è rimasto invariato. In Giappone erano i tempi della grande depressione e si lottava per sopravvivere. Chi voleva mantenere un posto di lavoro, anche sottopagato, doveva adoperarsi senza posa, rinunciando a opporsi a qualsiasi sopruso o violenza fisica. Come i calci che gli sferrava il titolare, senza che lui battesse ciglio.
L’apprendistato si svolge a Tokyo, un giorno dopo l’altro, senza nessuna variazione. Ma ci vogliono ben 17 anni perché Jiro diventi un maestro di sushi. Nel 1965 poi arriva il suo ristorante, Sukiyabashi Jiro, dove tuttora officia quotidianamente, chiudendo solo per i funerali e le feste nazionali.
Il segreto di Jiro non è un segreto, ma una ricerca costante dell’assoluto. “Devi dedicare la tua vita a padroneggiare un’abilità”, dice. “Questa è la chiave del successo. Tutto quello che voglio è fare un sushi sempre migliore”. Tanto che a dispetto del successo non si dice soddisfatto. “Io continuerò a salire, cercando di raggiungere la vetta, anche se nessuno sa quale essa sia”, dice con sapienza tutta orientale. È lo spirito dello shokunin, artigiano che incarna la ricerca della perfezione attraverso la ripetizione, qualunque sia la sua disciplina.
A occuparsi delle forniture del ristorante è il figlio Yoshikazu, che si è fermato con lui da Sukiyabashi, contrariamente al fratello Takashi, il cui sushi può essere assaggiato in un altro ristorante stellato. Ogni mattina pedala fino al mercato del pesce e incontra le persone di fiducia, da sempre specializzate nel procacciare un singolo ingrediente, si tratti degli scampi o del polpo, che prima dell’uso viene massaggiato mezz’ora.
Ma non è meno importante il riso, che Eric Ripert ha giudicato il migliore mai assaggiato nella vita, “come una nuvola”, sapientemente cotto e condito (un apprendista decennale riferisce che va pizzicato “come la guancia di un bambino”), sventagliato e mantenuto alla temperatura corporea, perché ogni ingrediente ha un punto delizioso, che sta al maestro centrare. Cosicché il consumo, non appena il boccone viene posto di fronte al commensale, deve essere immediato. Per accompagnare, la scelta è fra tè (consigliato), sakè e carta dei vini.
La fama mondiale è arrivata con le tre stelle datate 2007, entrate nel guinness per l’età mai così avanzata del premiato, e il bellissimo documentario di David Gelb, Jiro e l’arte del sushi, datato 2011. Ma il brivido dell’impermanenza e la fragilità della perfezione non sono solo nel tremito di quelle mani macchiate. Il sushi come lo conosciamo, ammonisce Jiro, potrebbe avere gli anni contati a causa dell’overfishing. “Tempo fa ho detto ai miei ragazzi che gli ingredienti del sushi sarebbero cambiati in fretta. E ora questo trend sta pian piano diventando realtà. Non riesco a immaginare che il sushi del futuro possa essere preparato con la stessa materia di cui disponiamo oggi”, dice sconsolato.
La differenza, per gli happy few, c’è tutta. Vedi la testimonianza di Alberto Cauzzi, che qui si è seduto due volte: “Jiro Ono viene definito uno shokunin: è difficile tradurre in italiano un termine così lontano dalla nostra cultura. La traduzione in ‘artigiano’ infatti non gli renderebbe giustizia: è molto di più. Se dovessimo provare a definirlo potremmo dire che è un condensato di competenze tecniche, coscienza e forte senso sociale”. Lo shokunin ha l’obbligo sociale di lavorare al meglio per il benessere generale della popolazione. Obbligo che è sia spirituale che materiale. Una cosa enorme, ma è fondamentale averne chiarezza prima di mettere piede qui dentro.
“Dovete innamorarvi del vostro lavoro”: così dice Jiro nel famoso documentario di David Gelb. E lui è follemente innamorato del suo lavoro, che ripete in maniera continuativa e metodica da oltre 70 anni. Ciò che stupisce maggiormente è la sintesi di un prodotto come il sushi. Così tanto diffuso e modaiolo in occidente, ma mai compreso nella sua vera essenza se non si è passati da qui. Niente di più semplice, apparentemente, dell’accoppiamento di riso e pesce in un vortice armonioso che porta alla fusione di questi due elementi.
Il riso: molti tendono a cuocerlo troppo. In quello di Jiro si sente l’aceto ed è servito rigorosamente a temperatura corporea. È cotto ad altissima pressione, il che lo rende soffice e vaporoso, ma allo stesso tempo ogni chicco mantiene la sua forma. È una rivelazione, un riso straordinario.
Il pesce: niente che sia meno di eccellente. La fornitura giornaliera al mercato di Tokyo è maniacale. Si narra che un giorno, per scegliere un bonito (tonnetto locale simile alla nostra palamita) per il servizio del giorno, Jiro abbia aperto le viscere di 15 bonito prima di scegliere i 3 che si sarebbe portato a casa per i suoi clienti.
L’armonia: la perfetta unione tra i due elementi si rispecchia nel gusto, unico ed emozionante.
Il wasabi, modulato in quantità a seconda del pezzo: uno schiaffo iniziale che lascia il campo al gusto di questa incredibile radice, che in Giappone tocca vertici qualitativi assoluti.
Una spennellata di salsa di soia. E subito in bocca in pochi secondi, perché la perfezione è fugace.
Il menu (19 portate fisse) si sviluppa come un’onda, in un crescendo di sapori. Solo sushi preparato dal Maestro davanti ai vostri occhi: 30 minuti per i 300 euro meglio spesi della vostra vita. Una composizione che rende terra e cielo più vicini, continui shock neurosensoriali che non si dimenticheranno facilmente.
Chissà se avremo ancora la possibilità di gustare il sushi preparato da questo monumento della gastronomia mondiale. Chissà se lo troveremo ancora lì, a perfezionare il suo riso, il suo pesce, il suo sushi. A costruire il suo destino partendo da se stesso, giorno dopo giorno.