Chef

3 stelle Michelin a sorpresa: chi è Alexandre Mazzia, l’ultimo tristellato di Francia che arriva dal Congo

di:
Alessandra Meldolesi
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Nostalgica e riflessiva, la cucina di Alexandre Mazzia è la narrazione implacabile di un mal d’Africa, sublimato in profumi e sapori contemporanei.

La Storia e i piatti

La sorpresa è stata grande, in questo anno sciagurato, quando il quarantaquattrenne Alexandre Mazzia è stato cooptato nel club esclusivo dei tristellati francesi, pochi mesi dopo essere stato proclamato “cuoco dell’anno 2019” da Gault & Millau. Lui che dalla Francia è nato lontano, figlio di un commerciante di legna tropicale e una contabile, in quel di Ponte-Noire, Congo, dove ha vissuto fino a quindici anni respirando l’aria selvatica dell’oceano Atlantico. A cavallo di un tronco levigato dalle correnti e spiaggiato dalle maree, con la madre ogni sera assisteva allo spegnersi del sole nell’acqua, respirando profumi speziati e torrefatti di pesce grigliato, che oggi lanciano un’esca nostalgica dalla sua cucina fine dining.


La folgorazione risale a un pasto in tenera età, compiuto con i genitori da Joël Robuchon a Parigi. Ma la prima occupazione di Mazzia, rientrando in Francia, è nella divisa da pallacanestro a Marsiglia, dall’alto dei suoi 195 cm. Alla maturità scientifica segue inizialmente una scuola di medicina militare, finché la vocazione non prende il sopravvento e si inscrive al Licée des Métiers Santos Dumont di Saint-Cloud. Poi la formazione con Pierre Hermé da Fauchon, nel laboratorio sperimentale di Martin Berasategui, anello di congiunzione fra Francia e Spagna, al fianco di mostri sacri come Michel Bras e Alain Passard. Prima del ritorno in Spagna, dove nel 2004 lavora al tristellato di Santi Santamaria.


Il suo primo ristorante da patron è Hom Art ad Avignone; poi nel 2010 si trasferisce a Marsiglia, presso il Ventre dell’Architetto nella Cité Radieuse di Le Corbusier. Qui la sua cucina inizia a prendere forma: ha sembianze molto avanzate, con una mitragliata di microassaggi che sparano spezie. Appena un anno dopo è Jeune Talent per Gault & Millau e utilizza il premio incassato per il progetto della vita: AM par Alexandre Mazzia apre nel giugno 2014, lo chef è proclamato immediatamente “Grand de Demain” dalla guida francese, ottiene la prima stella, è “Créateur de l’Année” per Omnivore e “Gault & Millau d’or”. Merito di un anno speso in cene a quattro mani, da lui comparate a un grande laboratorio di ricerca, da cui estrarre molti piatti poi sottoposti a selezione.


Ma Mazzia non si ferma: nel 2017 esplora la bistronomia alla Pointe Noire (bar à mets) di Aix-en-Provence e apre un ristorante galleggiante chiamato Mess sul battello Razzle. Senza distrarre la mira dal canestro che conta: con la determinazione dello sportivo, incassa nel 2019 la seconda stella e nel 2021, come anticipato, la terza. Né mancare un servizio del ristorante: se lui non è presente, chiude. La cucina? Lucidamente mediterranea nell’esaltazione dei migliori prodotti di Marsiglia; speziata, piccante, torrefatta, affumicata con un sospetto di mal d’Africa. I sapori sono multipli, i colori sgargianti, le associazioni inedite, senza paventare l’audacia. I menu sono viaggi composti di tanti piccoli bocconi salati e dolci, di numero compreso fra 10 e 25, che si succedono, fuori dalla consueta partizione in antipasti, piatti e dessert. Niente di scritto, pura improvvisazione secondo il sentimento dello chef.


Di fatto la sorpresa è continua, nessun piatto ne ricorda un altro, la ricerca avanza in terreni insospettabili, come la riverberazione nei succhi ispirata all’impressionista Sisley. Fra i signature la spiazzante tartelletta cioccolato e anguilla affumicata, la tartina vegetale, il gelato di fragola all’harissa, strumento di regolazione dei piatti che gli consente di infilare l’Africa in tasca, “come un portafortuna”. “Cucina speziata, cucina asiatica, cucina minerale… queste definizioni sono sciocchezze, mi sono liberato di tutto questo per raccontare cosa sono e dove sono nato, senza cercare di dare sempre un senso a quel che faccio”, rivendica.


“Ho voglia di andare alla fine della mia storia. Ma non sono un provocatore, me ne vergognerei. Sono uno che si pone cinquecentomila domande al minuto… Bisogna sapere che si va in guerra, facendo 24 coperti a pranzo e a cena. È una vera battaglia contro se stessi, la propria concentrazione, il proprio sangue freddo, la propria precisione. Bisogna acuire incessantemente lo sguardo, avere la mano leggera, essere esatti, aprire il proprio palato, essere buoni osservatori. Tutti i giorni, in ogni istante, devo prendermi cura del mio ristorante. Mio padre un giorno mi ha detto: ‘Avrai la vita che costruirai’. E io non lo dimenticherò mai”.

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