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Storia della colomba moderna da Dino Villani a Iginio Massari: ”non è certo un dolce minore rispetto al panettone”

di:
Alessandra Meldolesi
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Freschezza, delicatezza, microstagionalità: sono gli atout della colomba, dolce minore del panettone solo nei consumi. Ce lo spiega Iginio Massari, decano dei pasticcieri italiani.

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Quante cose ha cambiato nelle nostre vite, Dino Villani? Figura eclettica, un po’ artista, pittore e incisore, un po’ pionieristico creativo del marketing. Senza di lui, probabilmente, non ci sarebbe Miss Italia, concorso che prese le mosse da una sua manifestazione, “5000 lire per un sorriso”, ideata nel 1939 e finita sotto le bombe della seconda guerra mondiale. Né gli innamorati festeggerebbero San Valentino e i nerd frequenterebbero la SDA Bocconi School of Management. C’era lui, con Orio Vergani, quando la gola trovò il suo riscatto nella fondazione dell’Accademia Italiana della Cucina. Soprattutto la Pasqua di tutti noi sarebbe diversa: in tavola mancherebbe la colomba.


Le leggende fioriscono sul ramoscello in mezzo al becco: tirano in ballo il re longobardo Alboino, che durante l’assedio di Pavia, nel VI secolo, ricevette in dono quale segno di pace un dolce a forma di volatile dai cittadini, che scongiurarono in questo modo il saccheggio. Oppure il santo abate irlandese San Colombano, che nel VII secolo, invitato dalla regina longobarda Teodolinda a pranzo, sempre a Pavia, avrebbe tramutato la selvaggina in dessert benedicendola, al fine di rispettare la quaresima senza oltraggiare gli ospiti. E ancora la battaglia di Legnano, nel 1176, durante la quale due colombi si sarebbero posati sull’insegna della Lega Lombarda, ispirando una ricetta celebrativa. Si può dubitare, tuttavia, che Villani ne fosse a conoscenza, salvo la probabilità che avesse scorto qua o là un dolce di tal guisa. Sta di fatto che negli anni ’30, trovandosi a promuovere l’azienda dolciaria Motta, di cui ideò il logo, ebbe un’illuminazione: sfruttare i macchinari per la produzione del panettone, anche per onorare le festività pasquali. Era nata la colomba, antesignana di ogni destagionalizzazione, oggi tutelata da un disciplinare.


I natali sembrano quindi lombardi, anche se i veneti rivendicano la discendenza dalla focaccia veronese. Oggi tuttavia la colomba accomuna tutta Italia. E ce n’è voglia più che mai, quale auspicio di serenità in un momento cupo. “Le tecniche e l’impasto sono esattamente gli stessi del panettone, a base di lievito naturale. Ma all’interno, salvo variazioni personali, di solito vanno solo i cubetti di arancia candita, l’uvetta se si vuole risparmiare”, spiega Iginio Massari, decano dei pasticcieri italiani e grande lievitista. “I consumi non sono gli stessi del dolce natalizio: se il panettone vende 100, la colomba fa 40. Anche perché la produzione è più complessa per ragioni di forma. Negli stessi spazi se ne possono infornare la metà, visto che un panettone da 1 chilo cuoce in verticale in uno spazio di 20 cm, una colomba in orizzontale ne richiede 40. Significa che la masticazione è diversa: bisogna stare molto attenti ai tempi, perché si asciuga facilmente e tende a colorarsi di più. Occupando uno spazio maggiore e avendo una superficie esposta più ampia, il tasso di difficoltà aumenta. Poi c’è la glassa, che per le stesse ragioni di estensione tende a bagnarsi. Oggi esistono tecniche per mantenerla almeno 20 giorni quasi uguale, ma porta fragilità.


E in generale si tratta di un prodotto particolarmente delicato per ragioni di conservazione, in quanto arriva quando comincia il caldo e se non si usano additivi dura meno degli altri. Ma la sua bontà ridiede proprio nella freschezza. I difetti sono quelli di sempre: problemi di competenze e di capacità, competenze nella preparazione degli impasti, della glassa, nella cottura e capacità di selezionare le materie prime. Perché c’è burro e burro, candito e candito. La mia la adoro, non è certo un dolce minore rispetto al panettone”.

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