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Il lusso che nessuno conosce a due passi da Bologna: l’esclusivo Palazzo di Varignana e la cucina di Francesco Manograsso

di:
Alessandra Meldolesi
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Francesco Manograsso copertina

Palazzo di Varignana, un resort esclusivo a due passi da Bologna. Una superficie totale di 230 ettari dove non manca proprio nulla, compresa la cucina dello chef Francesco Manograsso.

La Storia

A due passi da Bologna. Nessuno lo direbbe, eppure è così. Il paesaggio sono i colli, preservati a vista d’occhio da una tenuta di 230 ettari. Morbidi al punto da fare innamorare una clientela internazionale, che si accomoda sui lettini della Spa: i passaggi sotterranei coperti, la piscina riscaldata che sbuca all’esterno, non manca proprio nulla, a scapito di zone ben più blasonate.


Il complesso è stato inaugurato nel 2013 da Carlo Gherardi, desideroso di riportare a casa i frutti di una fortunata carriera nel Fintech. È stato così che ha proceduto al restauro del settecentesco palazzo Bargellini Bentivoglio, riconvertito edifici rurali, inglobato la villa che fu dei titolari del brand Mandarina Duck. Ne è risultato un resort esclusivo, al punto che fuori dai recinti non se ne è mai parlato un granché, nonostante sia cresciuto via via, con attività e produzioni agricole sempre più numerose e centrate. L’extravergine, per esempio, realizzato in tandem con la premiatissima Pennita. Prossimamente la cantina e il frantoio, con i filari di sangiovese e merlot. Soprattutto l’orto, cui attendono due contadini e un agronomo, il frutteto, il mandorleto, il noccioleto e un appezzamento consacrato allo zafferano.


A beneficiarne è prima di tutto lo chef Francesco Manograsso. Calabrese di Amendolara, classe 1986, Francesco è cresciuto nel piccolo albergo dei genitori, dove papà Giuseppe, maresciallo della guardia di finanza in pensione, si era improvvisato ai fornelli. “Ed era un posto semplice, ma rinomato in zona per la cucina di pesce e la freschezza delle materie prime. Poteva essere una linguina con gli scampi, però parlavano. E i pescatori quando mamma Melina entrava tremavano, perché era capace di infilare le mani nelle casse e uscirne con il meglio. Dopo l’alberghiero ho cominciato a viaggiare, perché volevo crescere. Dove c’era lavoro mi buttavo, fosse un hotel 5 stelle o una trattoria, una pizzeria o uno stellato. L’idea era quella di tornare un giorno a casa, al mare, ma girando ho realizzato quanto fosse chiuso quel mercato. Ed è stato così che mi sono fermato a Bologna. Al Bitone ho imparato a stare in una cucina, il ritmo, la gerarchia, la tensione. Poi è arrivato Vincenzo Cammerucci, una manna dal cielo.  Prima ho conosciuto suo fratello, poi è diventato il mio maestro: ci sentiamo ogni giorno, tutte le volte che ho un dubbio. Mi ha insegnato metodi e concetti di una cucina vera e propria, l’essenziale, la tecnica, la cottura perfetta, la semplicità. E ancora stage con Baumgartner e Giacomello”.


Con l’eccezione della trattoria, condotta da un’azdora amica dei titolari, segue dal 2014 tutto il comparto food di Varignana, dalle colazioni al servizio in camera, passando per il ristorante Aurevo e la banchettistica, che ha una cucina propria. Fino all’anno scorso c’era anche un fine dining, Il Palazzo, che dovrebbe riaprire in data da definire. “Mi reputo uno chef fortunato”, dice. “Perché in casa ho sempre mangiato bene, come sapori e come prodotti. Oggi mi ritrovo in una situazione privilegiata: basta che mi guardi intorno e il menu è pronto. Al momento di cambiarlo mi butto in mezzo all’orto, studio cosa offre il periodo e nasce tutto. Difficile trovare nei nostri piatti un pomodoro in inverno o i soliti germogli, preferisco le erbe aromatiche e i fiori che crescono qui. È un modo per tenere il cervello sempre in movimento, anche sotto il profilo tecnico. Per esempio l’impiego della gamma dei nostri extravergine ha catalizzato la mia creatività, riportandomi al Mediterraneo”. Dove non arriva l’azienda agricola, provvedono fornitori come la macelleria Zivieri, Lem Carni e Qualimed per il pesce.

I Piatti

In attesa che riapra Il Palazzo, Aurevo alterna piatti rassicuranti e quotidiani a proposte più ambiziose, che aspettano il giusto contesto e qualche investimento in cantina. Si mangia alla carta, ma ci sono anche menu sartoriali da 55 o 65 euro.


Il calamaro ripieno nasce dall’intento di proporre una ribollita con il pesce, anzi dentro il pesce. Quindi la farcia di verdure invernali battute, broccolo, verza, cavolo nero, cavolfiore, cime di rapa; per rilevare l’ittico la maionese iodata alle ostriche che riequilibra l’amaro e una foglia di cavolo nero essiccato. Al posto dei fagioli le lenticchie soffiate croccanti.


Manograsso ama chiaroscurare i piatti con la dolcezza della frutta, perlopiù propria, che porta dolcezza e acidità. Ma nel carpaccio di daino Zivieri interviene un altro prodotto selezionato dalla casa, il tè Don Carlo, con i suoi profumi di caffè e frutti di bosco, utili in marinatura con sale e zucchero. Più radicchio tardivo, castagne e un gel di mandarino calabrese per la freschezza.


Non mancano ovviamente le portate interamente vegetariane, per esempio il “tegamino” di cardo, reminiscenza del classico gratin alla besciamella eseguito in tanti posti alla mano. Quindi l’ortaggio lessato in un bianco e spadellato al burro con il caciocavallo silano, per un twist meridionale, dentro lo stampo foderato di verza su un letto di crema di zucca. Per finire con una grattata di tartufo.


Sono sontuosi i tortelli ripieni di lepre in salmì, saltati all’olio da cultival ghiacciola e impiattati con il loro sugo, confettura di melagrana della casa e tartufo nero.


Il pesce del giorno in questo periodo è una via di mezzo fra una zuppa di pesce e una zuppa di verdure, impreziosita dallo zafferano della casa. Può trattarsi di una cernia, arrostita sulla pelle e finita confit.


“Il brasato è buono, piace, non può mancare. Ma volevo qualcosa che fosse diverso dal solito. Quindi ho optato per le guance di maialino di mora romagnola, cotte con il Sangiovese di Palazzo di Varignana, e ho giocato con gli abbinamenti: la ‘nduja e le carote gialle in crema”.


Per dessert arrivano il Mont Blanc con la salsa di cachi della casa o la torta di riso destrutturata, con la crema all’amaretto tipo bavarese, il gelato al latte di riso e il crumble di amaretti.

Ma c’è anche un’altra proposta, messa a punto con la nutrizionista Annamaria Acquaviva: il menu benessere, complementare alla spa, con ricette per pranzo e cena che compongono un ciclo settimanale, volto al dimagrimento e al detox. Esclusi carboidrati e latticini, comprende piatti semplici, ma non penitenziali, che puntano sul gusto giocando con qualche contrasto.


Vedi il baccalà, cotto a bassa temperatura e mantecato all’olio etichetta verde, il più delicato. Perché ogni piatto ha il suo, che si tratti di un giro a crudo, una spolverata o altre testurizzazioni, per contrasto o per concordanza. Completano il piatto broccoli in crema e in cimette, uova di salmone per la sapidità e l’umami, cialde di ceci neri per il crunch.


Fra le altre proposte, il millefoglie di zucca, cime di rapa e rapa rossa acida; il riso nero saltato con broccoli romani e calamari; l’insalata giardino d’inverno con finocchi e arance; la crema di zucca con cavolo nero saltato; il salmone scozzese Loch Fyne con crema di cavolfiore allo zafferano e insalatina di cavolfiori variegati; il vitello arrosto con radicchio in agrodolce e purea di mela; dessert di frutta o zuccheri alternativi.

Indirizzo

Via Ca' Masino, 611A, 40024 Castel San Pietro Terme BO

Tel. +39 051 1993 8300

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