Conta fra i piatti senza tempo, l’Uovo in raviolo di Nino Bergese, leggendario cuoco di casate nobiliari e altoborghesi, che raccolse le due stelle Michelin alla Santa di Genova.
La Storia e la ricetta
Conta fra i piatti senza tempo, l’Uovo in raviolo di Nino Bergese, leggendario cuoco di casate nobiliari e altoborghesi, che raccolse le due stelle alla Santa di Genova, quando gli sconvolgimenti sociali del secondo dopoguerra lo costrinsero a mettersi in proprio, come era successo a tanti dopo la rivoluzione francese. Da freelance ante litteram, fu poi lui a impostare le cucine del San Domenico di Imola, affidate dal patron Gianluigi Morini alle mani di un giovanissimo Valentino Marcattilii. Ed era proprio la cucina borghese, appresa al fianco di Giovanni Bastone, cuoco di casa Agnelli, e lungamente praticata qua e là, il concetto di un ristorante rivoluzionario, che oggi vanta la massima longevità fra le stelle. Re dei cuochi e cuoco dei re, come già era stato soprannominato Escoffier, Bergese non disdegnava i piatti italiani e popolari, quali la cima e gli spaghetti, accanto alle icone internazionali: li passava ai raggi x della sua tecnica professionale, schiumando, sgrassando, alleggerendo senza posa. Inizialmente arruolato per trasmettere all’allievo una quindicina di ricette per la modica cifra di 100mila lire, lo chef ormai anziano fece tappa a Imola per tre lunghi anni, dal ’74 al ’77, mettendo a punto capolavori visionari.A celebrarlo ogni giorno resta l’Uovo in raviolo, che lo stesso Henri Gault definì “uno splendido e gustoso quadro vivente”. La base è una classica e popolare pasta ripiena, che viene sottoposta a un procedimento di inversione e scomposizione, con il tuorlo che si fa salsa nel centro e qualche possibile reminiscenza di tunisino brik à l’oeuf.
“La ricetta è rimasta la stessa, come forma e contenuto, fino alla cottura, che eseguiamo nel forno a vapore solo per i gruppi”, conclude Massimiliano Mascia, giovane chef dal curriculum prestigioso, che affianca lo zio Valentino. “Cambiano alcune dosi del condimento, alleggerito nell’apporto di burro e Parmigiano. Perché negli anni ’70 si mangiava in maniera diversa. E ogni anno ne faremo almeno 12mila, fra eventi e ristorante. Poi c’è il tartufo, immancabile, che secondo la stagione può essere bianco o nero, sempre crudo ma scaldato dal burro nocciola. La sua morte nel bicchiere è un Breg di Gravner, per l’incontro organolettico e il contrasto culturale; oppure il Codronchio Monticino Rosso e la Vitalba Tre Monti”.
Uovo in Raviolo
Ingredienti per 4 persone
200 g di farina 00
7 uova
40 g di spinaci
200 g di ricotta di pecora
100 g di Parmigiano Reggiano 24 mesi grattugiato
Olio extravergine di oliva
Noce moscata
Sale e pepe
Per condire
200 g di burro di malga
100 di Parmigiano Reggiano 24 mesi grattugiato
50 g di tartufo bianco
Procedimento
Impastare la farina con 2 uova e un pizzico di sale, coprire con un canovaccio e fare riposare mezz’ora.
Nel frattempo mondare gli spinaci, scartando i gambi, lavarli e farli appassire in padella con olio e sale. Fare raffreddare e frullare con 50 g di ricotta. Amalgamare a mano il resto della ricotta, il Parmigiano, un tuorlo d’uovo, una grattata di noce moscata, sale e pepe. Inserire in un sac-à-poche.
Stendere una sfoglia molto sottile e ricavare 8 dischetti del diametro di 12 cm. Formare su 4 di essi un pozzetto di ripieno alto almeno 3 cm, sgusciare nel centro un tuorlo d’uovo, condire con sale e pepe. Ricoprire con gli altri dischetti e saldare i bordi, previamente spennellati con l’albume rimasto.
Lessare i ravioli uno alla volta per 2 minuti e prelevarli delicatamente con una ramina, adagiandoli sui piatti.
A parte scaldare il burro fino a colorazione nocciola. Cospargere i ravioli con il Parmigiano e affettarvi il tartufo, poi irrorare di burro.