Alta cucina

Reality di cucina e Tripadvisor: quando i clienti pensano di essere critici gastronomici ma non hanno la capacità di giudicare

di:
Alessandra Meldolesi
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clienti

Il cliente è cambiato, non necessariamente in meglio. Montato come una maionese impazzita dalle trasmissioni televisive e dalle piattaforme come Tripadvisor, ha guadagnato cultura e competenza, almeno virtualmente; ma gli addetti ai lavori sempre più spesso lamentano che abbia perso ogni remora e senso della misura.

La Notizia

Era il 1968 quando il semiologo Roland Barthes teorizzava la morte dell’autore, nel senso dell’empowerment di qualsiasi fruitore, incaricato della significazione del testo. Oggi però sembra che anche quel segno sia stato passato: insieme all’autore, come era logico, è morto anche il critico. Lo racconta la scena gastronomica, complice una crisi dell’editoria, che spinge ovunque a tagliare i compensi dei professionisti e ad arruolare gourmet e wine lovers, dilettanti e commerciali spesso invero ferratissimi. Ma a individuare il giornalismo dovrebbe essere un metodo, come accade con la scienza. Ed è il metodo con la sua deontologia, troppo spesso disattesa, la prima vittima di questa illusione, che però presenta anche altri rischi. La responsabilità ricade in ogni caso su un giornalismo che non adempie ai suoi doveri, si impelaga nei conflitti di interesse, privilegia professionalità discutibili, insomma non può più rivendicare il suo ruolo.


Chi di noi, seduto al tavolo di un ristorante, non ha assistito a scene inverosimili? Ricordo Marchesi scandalizzato perché un cliente aveva trovato il vitello della sua milanese troppo morbido. “Un burro. E questo sarebbe un difetto?” Oppure lamentele su presunti ingredienti surgelati o di provenienza indicibile, mentre il cuoco giura che no, è tutto falso; invettive su punti di cottura al decimale di sonda, su cui piantar grane senza fine. “Se credete vi rifaccio il piatto”. “No, abbiamo fretta”. Ma poi si inchiodano al tavolo col risultato di non trovarsi il secondo nel conto. Di una giovane cuoca siciliana ho sentito lamentare l’ossidazione nel piatto, quando si trattava in realtà del recupero della tecnica eoliana dell’essiccazione al sole. A volte basta chiedere per iniziare a dubitare di sé, ma meno salda è la posizione istituzionale, più facilmente cresce l’arroganza di chi non sa di non sapere. Per non parlare dei vini presunti difettati e dei sentori di tappo, dove magari il sughero non si è mai visto. Le cifre, alla fine, possono essere importanti. Delle due, capita di pensare che cuochi e personale di sala siano perfino troppo disponibili.


È pur vero che il cliente è cambiato, non necessariamente in meglio. Montato come una maionese impazzita dalle trasmissioni televisive e dalle piattaforme come Tripadvisor, ha guadagnato cultura e competenza, almeno virtualmente; ma gli addetti ai lavori sempre più spesso lamentano che abbia perso ogni remora e senso della misura. Di questo malessere si è fatta portavoce Thi Thuy Nguyen, direttrice di un hotel a Blois, il cui sfogo su Facebook, rimpallato da diverse testate, è diventato virale: oltre 6000 like e 7000 condivisioni da parte di chi ammette perfino di piangere in privato per queste violenze verbali.


Ha per oggetto gli atteggiamenti sprezzanti, fino all’ingiuria, nei confronti dei suoi collaboratori da parte di alcuni clienti, sempre più numerosi. Non bastava la peggiore crisi mai affrontata dal settore, ha scritto; ci si è messa anche l’arroganza di chi misconosce il fine dei lavoratori dell’hôtellerie, che è la soddisfazione del cliente. Sarebbe questa mancanza di rispetto uno dei motivi per cui è così difficile nel settore reperire personale. “Il piacere del turista di una volta, di partire in vacanza felice, è scomparso, visto che in testa c’è già la parte del ‘cliente mistero’. Un modo per avere il potere, di esistere almeno brevemente nella sua vita? Oppure è abituato a comandare e non sa fermarsi? Questo sfogo è un pensiero rivolto a tutti i miei collaboratori, che subiscono, ma io dico loro di continuare a credere in quello che fanno perché lo fanno bene. E per fortuna esistono ancora clienti buoni, illuminati e fedeli, per cancellare questo disordine dell’umanità”.


Troppo spesso, lamenta, si dimentica che un ragazzo può essere alle prime armi perché si sta pagando gli studi o un tecnico può vagare per i corridoi, a causa di proprie mancanze. La ragione? Starebbe nelle trasmissioni televisive, a causa delle quali “i clienti si credono dei professionisti e utilizzano quel vocabolario per criticare e giudicare tutto”. A darle manforte i commenti ricevuti da colleghi e collaboratori esasperati. “Si tratta di un mestiere affascinante, ma le condizioni di lavoro sono già difficili: gli orari, i fine settimana, i salari. Un tempo i clienti arrivavano con un grande sorriso ed eravamo felici di soddisfarli. Ma oggi bisogna smettere di dire che il cliente è re, perché ci sono troppi abusi. Il cliente deve essere educato”.

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