Nessuno sa quando partirà la fase 2 per la ristorazione italiana. Tuttavia è già possibile guardare a quanto è successo in Cina, dopo la riapertura in Hubei. Ecco come la vedono i più grandi cuochi d'Italia.
La Notizia
Nessuno sa quando partirà la fase 2 per la ristorazione italiana. Tuttavia è già possibile guardare a quanto è successo in Cina, dopo la riapertura in Hubei: c’è chi parla di revenge spending, con l’acceleratore calcato sul pedale del lusso; altri invece scrivono di una falsa ripartenza, fatta di ristoranti vuoti e di un secondo virus chiamato “paura”. “I cinesi non riescono più a uscire di casa”, scrive Filippo Santelli su La Repubblica, descrivendo un plotone di disciplinati lavoratori in mascherina con la schiscetta in borsa per la pausa pranzo. Perché “un conto è obbligare i cittadini a stare a casa, un altro convincerli a uscire. Il loro sogno, per ora, si ferma sulla porta”.Massimiliano Alajmo
“Vorrei darti una risposta ma in questo momento mancano i dati, i tempi, le risposte necessarie per ripartire più forti di prima”.
Enrico Bartolini
“È una domanda che mi rivolgono spesso. Nessuno può sapere quando potremo ricominciare, in questo momento. Quando avverrà, saremo concentrati nel riprendere in mano la qualità, le ambizioni e la condivisione avute fino al 23 febbraio. Gli eventuali problemi di distanziamento e dispositivi mi sembrano tutto sommato risolvibili”.
Chicco Cerea
Non si è mai fermato: ha attivato immediatamente un fortunato servizio di delivery, ma la mattina e la sera, visto che si trova sul tragitto, passa per l’ospedale da campo allestito presso la fiera di Bergamo, di cui cura la mensa per il personale. La simbiosi con la città in un momento così drammatico è totale. “Ma per il futuro non riesco a essere ottimista. La gente è rimasta scottata, avrà magari voglia di rifarsi ma ne passerà di tempo prima che possa tornare ad allestire un banchetto da 300 persone a buffet. Per come la vedo io, il problema principale è la paura. I protocolli da seguire ci sono già. In pratica dovremo dimezzare i coperti, mantenendo lo stesso numero di dipendenti. Quindi bisognerà lavorare a turnazione. Non sarà facile”.
Enrico Crippa
“Stiamo lavorando e pensando a quello che sarà. Al momento non c’è nulla di definito se non diverse idee e pensieri. Ma sono mere ipotesi, nulla di definitivo”.
Riccardo Monco
“Che dire? Stiamo cercando di prepararci, anche se è difficile capire come si sposterà la ristorazione. A Firenze dovremo cercare di lavorare il più possibile con gli italiani, quando sarà possibile prendere un treno o viaggiare in macchina. Per il resto dovremo aspettare che il mondo possa prendere un aereo e venire in Italia. Gli stellati, si sa, lavorano tanto con i turisti. Nel frattempo cercheremo di accontentare un po’ tutti e di capire dove andrà il mercato, quali esigenze ci saranno, se le persone vorranno tornare velocemente alla normalità o cose diverse. Sicuramente cercheremo di non snaturarci e di restare noi stessi. Questo farà la differenza. Le trattorie rimarranno trattorie, i ristoranti resteranno ristoranti. La voglia di ripartire è tanta, come spero quella di tornare a cena come prima. I progetti non mancano, vedremo cosa ci lasceranno fare”.
Norbert Niederkofler
“Una cosa è certa: il concetto di cucina non cambierà. Sarà sempre ‘Cook the mountain’, perché resto convinto che ciascuno in Italia debba ricordarsi delle sue origini, dalla Sicilia alle Alpi. È la natura stessa a portarci in questa direzione. Dal 2008 andiamo costruendo una filiera di quasi 50 produttori che lavorano con noi, senza intermediari né grossisti. Ogni giorno ci confrontiamo con i contadini e i produttori e attualmente stiamo cercando di dar loro una mano a raggiungere il cliente finale. Perché non abbiamo mai voluto l’esclusiva, nella consapevolezza che potesse comunque accadere un incidente. Qui la natura è ancora indietro, le prime verdure cominceranno ad arrivare fra due o tre settimane. Potremmo anche venderle già preparate, chissà, è un’ipotesi. Per quanto riguarda le norme per la ripartenza, problemi di spazio non ne ho, ma per capire in che direzione andare dobbiamo ancora aspettare, perché ancora non sappiamo tante cose. Penso che il problema maggiore riguarderà la manodopera, perché facendo meno coperti calerà il personale. I turni potrebbero essere una soluzione, ma in Italia non c’è l’abitudine di mangiare lontano dagli orari consueti”.
Mauro Uliassi
Ha bruscamente interrotto il lavoro al nuovo Lab 2020 il 7 marzo, quando già c’erano in campo belle intuizioni. “Lavoravamo da una decina di giorni, avevamo appena cambiato frigoriferi e impianti, quindi in pratica non avevo mai staccato. Poi in zero secondi abbiamo stoppato tutto. Nessuno si sarebbe mai aspettato uno tsunami del genere. E devo dire che lì per lì avere azzerato quanto era in agenda per i successivi tre mesi, dai lavori con le aziende alla riapertura, sotto la pressione dei clienti e delle guide, mi ha dato un certo sollievo. Ma il Lab non è un’attività che possa proseguire così, a parte qualche idea estemporanea: si svolge sul campo con i macchinari di cucina. E anche prima un’inquietudine si era già infilata sotto pelle, togliendoci un po’ di serenità, perché il mondo era sospeso. Riguardo al futuro, quello che si dice e che si legge adesso potrebbe cambiare tra 15 giorni, domani, una settimana. Ho provato a fare qualche ipotesi, ma ciascuna può prendere mille diramazioni secondo quelle che saranno le decisioni del governo. Per esempio il problema degli ambienti chiusi e dell’aria condizionata potrebbe penalizzare un certo tipo di locali. Avevamo previsto di assumere 35 persone, invece partiremo in 15, al massimo 20. E a noi lo spazio non manca, né in sala né in cucina, né fuori. Ma non sappiamo quanti coperti potremo fare, né se ci sarà la gente e neppure se avrà la facoltà di spostarsi. Facevamo 35 coperti all’interno e 50 all’esterno, se domani dovessero essere 30 sarebbe possibilissimo fare turnazione. Ma le soluzioni si vedranno con la realtà sottomano. Allora cercheremo di capire come far venire la gente e cosa desidererà. Nell’attesa cerco semplicemente di vivere il mio quotidiano al meglio”.