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Fusion nel mio cortile: l’evoluzione di Valentino Cassanelli al Lux Lucis

di:
Alessandra Meldolesi
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cassanelli

È un’esperienza unica quella del Lux Lucis: grazie alla cucina di Valentino Cassanelli, nanofusion del cortile di casa, e alla simbiosi col sommelier Sokol Ndreko, fra i migliori uomini di sala italiani.

La Storia

È una cucina che non smette di cambiare, quella di Valentino Cassanelli. In perpetuo movimento eppure inconfondibile nel panorama italiano; più sicura ma non addomesticata da quando le ha arriso il successo. Risalta per un’eleganza non comune fra gli chef under 40, più rigidi e impulsivi, e per l’armonia fuori e dentro il piatto grazie a una sala finalmente all’altezza, non precaria come solitamente accade. Dagli esordi il doppio di Valentino è Sokol Ndreko, sommelier di rara sensibilità all’assaggio e nei modi, parte attiva nella messa a punto dell’esperienza gastronomica.


All’ospite ricorda il gioco di sponda di un biliardo, con l’ingrediente che sibila sul piatto, rimbalza su un altrove, poi morbidamente su un altro, prima dello schiocco sul contrasto giusto. Ma il tavolo non è più quello di Nobu, dal quale Valentino si è formato prima del tandem Cracco-Baronetto.  Sempre meno globale, sempre più intimo e familiare, dai continenti si è ristretto al circondario, dai meridiani alle scarpe da trekking sotto il letto, senza scapitarci in libertà mentale e cognizione dei punti di fusione.


La passione di Valentino è del resto il viaggio, ma dall’anno scorso il filo conduttore delle sue ricerche è uno storytelling particolare: il tragitto che ha percorso dall’Emilia, dove è nato, fino a Forte dei Marmi, riprodotto su un libretto in omaggio. “Ed è una struttura destinata a durare ancora un po’. La geolocalizzazione ci aiuta a rendere comprensibile il menu, tutto quello che sta dietro un piatto e che potrebbe sfuggire a chi non è addetto ai lavori. L’idea è quella di prendere l’ospite per mano e fargli vedere da dove arrivano la spezia o l’aria che abbiamo respirato”. Finisce per prevalere sui singoli piatti, in modo di nuovo singolare. Innanzitutto perché quest’anno il percorso va dalla terra al mare, invertendo la freccia classica, e già questo è un rompicapo. E poi perché l’itinerario descritto si snoda nell’arco di due giorni di cammino, quindi si compone di due menu per portate. Sfumano l’uno nell’altro generando piatti polifunzionali e instabili, secondo una prospettiva evocativa di anamorfosi.


Lo schema cambia interamente a inizio stagione, poi subisce variazioni parziali legate alla stagionalità di determinati ingredienti. L’anno scorso lo svolgimento era dal mare alla terra, come un flash-back. Per invertirlo abbiamo dovuto puntare su dolcezze e morbidezze nella prima parte, rinunciando alle strutture più forti; freschezze e salinità nella seconda, con una maggiore speziatura”. Il nome del degustazione è On the road via Vandelli, come la strada voluta dal duca Francesco III d’Este e disegnata dall’abate, ingegnere e geografo Domenico Vandelli per collegare Modena e Massa nel XVIII secolo. Costa 170 euro, più il wine pairing (anzi “wine contrast”) a 90; di contro ai 120 del Tuffo nel territorio, di impronta versiliese, ai 95 delle 3 portate a scelta dalla carta e ai 60 del Sintesi, entry level volto ad avvicinare la clientela popolare.

I Piatti


I primi appetizer vengono serviti al tavolo: il cocomero marinato con caffè e peperoncino, la cozza alla marinara con biscotto soffiato al nero di seppia (ricavato da una spugna tenuta bassa in forno, per una testura peculiare di corteccia), il tacos di patata con coscia di anatra confit e radicchio alla liquirizia. Introducono ai registri della cucina, prima che chi ordina Via Vandelli venga chiamato allo chef’s table per un incontro ravvicinato con lo chef e il junior sous-chef Alberto Lazzoni, fresco di Nerua. Lì trova la seconda tornata di appetizer, nient’altro che miniature delle firme di ogni anno trascorso al Forte, ordinate a ritroso.  Sono il pomomary, pomodorino marinato al virgin mary, la triglia al pino marittimo e alghe, la carota al Balsamico e pepe di Sichuan, lo sgombro al caffè con mela cotogna e lumaca, il negativo di gambero con ceviche di mango e nervetto di vitello, la perla nella cozza, la panzanella in forma di infuso di pane tostato e cipolla in acqua di pomodoro, liquidità calda che predispone al pasto e immette direttamente in via Vandelli. L’abbinamento è un americano leggero passato per Modena, con il nocino al posto del vermouth (ma c’è anche del Luxardo) e un goccio di kombucha di tè nero e rosso per la lieve tannicità e acidità.

Doppio raviolo di cipolla e parmigiano reggiano con coniglio in salsa cacciatora e besciamella croccante


Ed è già strepitoso il benvenuto: un tortellino sincretistico di classica pasta all’uovo ripieno di Parmigiano Gennari 90 mesi, servito asciutto nella mano, come un plin al tovagliolo, in realtà spruzzato di acqua di Forte (sorta di acqua di mare con infusione di alghe, corteccia di pino marittimo, cipresso per un mix di note iodate, resinose e balsamiche che solleva una brezza di Toscana), più un sospetto di polline per l’amaro balsamico, l’effetto assorbente e il simbolismo della contaminazione, cappero per la sapidità mediterranea e oro in ossequio alla tradizione. La fusion nel cortile di casa, al posto degli esotismi il libero gioco fra sponde familiari. Da Nobu a Cracco, a Cassanelli.

Arrivano a questo punto anche i pani: i cracker che citano il pane Marocca di Casola, con farina di castagne e mais trentolino autoctono, lardo di Colonnata, peperoncino, aglio ed erbe mediterranee; i grissini appena profumati di scorza di limone al Parmigiano; la tigella con una parte di farina di ceci; il pane al burro e latte di montagna e quello al lievito madre e grani antichi.


L’antipasto della prima parte del menu è Radici, in senso letterale e figurato: in equilibrio grasso/amaro, si compone di una purea terrosa di pastinaca, ramolaccio e affini trattati come ossa di un jus di carne (cioè rosolati al burro, poi bagnati col ghiaccio, prima di far ridurre e filtrare) e addizionati di malli di noci in liaison con il cocktail precedente. La grassezza viene dalle “polpette” di mortadella grattugiata nella fetta di manzo cruda, più brodo di soffritto per l’aggancio alla memoria (ma al Roner) e amarene per l’acidità. In abbinamento Sokol ha scelto il pinot nero biodinamico Meinklang per il “sorso leggero e aromatico, quasi una passeggiata nella foresta d’autunno. La temperatura di servizio è di 13 gradi, per esaltare l’acidità, in modo che il palato resti fresco e profumato”. L’inizio è rosso, ma tutta la sequenza sarà controintuitiva e virtuosistica, come il menu.


Anima contadina è un risotto dai rimandi classici (il sugo d’arrosto di Bergese) e dagli svolgimenti campestri: cotto con brodo di vitello al fieno, viene mantecato con burro acido di cervello e servito con jus di vitello, estratto di grano fresco falciato a inizio stagione, esaltatore dalle note verdi, e cuore di vitello tenuto sotto sale, asciugato come un salume e leggermente affumicato al fieno. Il vitello in tutti i suoi organi vitali, fra dolcezza e masticazione: come camminare in un pascolo. Sokol in questo caso opta per un piccolo birrificio di Massa, La Blanche, per il rimando al grano, l’aromaticità e l’acidità, sempre a basso tenore di alcol a inizio pasto.


Na ormai è Notte sulla vetta, secondo composto di anatra sottoposta a dry aging per 3 settimane sull’osso (le cosce sotto forma di prosciuttino vanno sul borlengo di contorno), marinata al mango per esaltare la dolcezza e grigliata sulla pelle. Viene servita con jus di prosciutto bazzone della Garfagnana in bilanciamento sapido, germogli di abete amarognoli e aciduli, per una nota classica di arancia sull’anatra, e polvere acidula di mango acerbo, rara spezia indiana. “Sposa Loup Garou 2017 di Stefano Legnani, la cui sosta sulle fecce fini sprigiona note di mango ed eucalipto, giustamente tannico sulla succulenza”.


L’anamorfosi è al centro, come il teschio di Hans Holbein. Visto che la pagnottella garfagnina di farro affumicato e patate è servita con burro di Normandia alle acciughe, montato al Pacojet, ed estratto di amarena. Un po’ predessert, fra dolce e salato, un po’ colazione dopo la prima nottata, un po’ incipit del secondo menu.

Porta al sottobosco: un chawanmushi ispirato all’uovo al pomodoro toscano con tartufo estivo cotto al Porto e acidulato allo yuzu al cuore, grattugiato in cima; ma prima sul cucchiaino ci sono pomodorino confit, lampascione e lumaca. Per associazione con lo zabaione (a proposito di anamorfosi) Sokol ha sfoderato un Marsala De Bartoli 1987, che riprende elegantemente le note terragne. Ma dopo l’uovo l’acqua va cambiata e ne risulta il più neutro degli intermezzi. A risciacquare, piuttosto che pulire, è una Veen ottenuta dallo scioglimento dei ghiacciai finlandesi, che porta leggerezza grazie al residuo bassissimo a fronte del procedere del pasto. Mai così solenne.


Tra i rovi della Garfagnana, profumo di mare è una noce di capasanta spadellata all’unilaterale con carbonara del suo corallo, completa di guanciale e pecorino, emulsione di ricci a spingere il marino, aglio nero ed erbe amare per riportare a terra e sgrassare un’opulenza quasi classica. Sokol cerca qui la complessità di un alsaziano: il Métiss 2017 di Bott-Geyl, uvaggio di pinot gris, bianco e nero con aggiunta di gewürztraminer. Frutta e iodio, ma anche dolcezza sull’amaro e la stessa ricchezza del piatto.


Segue la canocchia in due servizi di Versilia campestre: leggermente marinata all’ortica con pelle di galletto allo spiedo soffiata per il crunch su un cucchiaino in marmo, che cita le cave e mantiene la temperatura fredda; poi quale farcia cruda di bottoni verdi con estratto di ortica, brodo di cicale a glassare, una punta di limone salato e creste di gallo cotte nel brodo di cicale. La fronteggia un Pouilly Fuissé di Domaine Ferret 2017, sintonizzato sulla grassezza e la burrosità, “mentre il latto vegetale dello chardonnay lavora sull’aspetto dolce della pasta alle ortiche e la grande freschezza e mineralità esaltano il gusto sapido nel finale di bocca”.


Finalmente siamo al mare. Bagnasciuga al tramonto è un secondo di pesce complesso e articolato, che esplicita ancora una volta il concetto di fusion nel cortile di casa: il suo Mediterraneo è reale e apparente, nel gioco abbagliante di riflessi che configurano quasi una fata morgana. Quindi la crema di spaghetto alle arselle con il suo soffritto, l’ombrina marinata in una soluzione di miso di ceci, riduzione di Marsala e pomodoro, dove l’umami torna a casa, melanzane cotte nel latte di cocco, chips di bucce di melanzana frullate e stese per migliorare la testura, schiuma di aceto rosso, basilico rosso e shiso rosso per l’effetto aceto sull’ostrica, acqua delle arselle a crudo e arselle a crudo per spingere la mineralità. Con gli elementi alloctoni che nelle parole di Valentino fungono da incontri sulla strada: “momenti di scambio, esperienze, eventi”. Sokol abbina una Vitovska di Kante selezione 2007, per ritrovare la complessità e la mineralità del piatto, su toni rocciosi e leggermente affumicati.


Il predessert , studiato con il pastry chef Pietro Rossetti, è Deep ramen, passerella fra salato e dolce, qui e altrove. Si compone di estratto di anguria infusionato alle teste di scampi grigliate, che ne esaltano la mineralità bilanciando la dolcezza; all’interno una pasta gommosa di farina di mandorle e Vinsanto, memore delle alcolicità giapponesi. L’epitome di una sera d’estate in Toscana, dalla grigliata alla frutta defaticante.


Chiude il girotondo Modena-Forte dei Marmi, dessert che racchiude il pasto in una ciambella di cremoso alla ricotta di capra con un ingrediente per ciascuna delle ricette precedenti, dal nocino in riduzione al fieno per la glassatura, dal caramello di limone salato all’estratto di cocomero, dalle erbe di campo al biscotto di pomodoro, al gelato di latte di cocco e pinoli. “Un dessert poco zuccherino, per il quale ho scelto un vino dolce non dolce, monumento dell’enologia italiana: il Verduzzo Ronchi di Cialla 2015, il cui finale amarognolo riprende le note di miele e polline, chiudendo con la spinta finale della mandorla”.

Cremoso alla torta di riso, fragola, rabarbaro e sorbetto alla mela verde



Ma c’è ancora la frutta servita nei gusci: le chips di ananas e quinoa, il doppio cioccolato alla mela verde, la perla di passion fruit al lemongrass, l’anguria marinata iniziale in versione dolce, la gelatina di ciliegia, l’infuso di carruba, radice di liquirizia e semi di finocchio con ghiacciolo di arancia bruciata e argento, che quando si mescola forma un cielo stellato per la chiusura “onirica” del pasto.

Foto dei piatti di Lido Vannucchi

Indirizzo

Ristorante Lux Lucis (presso Hotel Principe Forte dei Marmi)

Viale Amm. Morin n 67 – 55042 Forte dei Marmi (LU)

Tel. +39 0584 783636

Mail luxlucis@principefortedeimarmi.com

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