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Terrazza Gallia: l’affondo dei fratelli Lebano

di:
Alessandra Meldolesi
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terrazza gallia ristorante

Due fratelli per tre fratelli: prosegue al Gallia la partnership fra i Lebano e i Cerea, per portare in tavola tutta la giovinezza del Mediterraneo.

La Storia

Va di moda la Terrazza Gallia. Per il lusso a portata di viaggiatore, affacciata com’è sul piazzale della stazione. Per il prestigio dei fratelli Cerea, di cui può vantare la “consulenza”. Soprattutto per l’impronta giovane e mediterranea che i fratelli Antonio e Vincenzo Lebano hanno saputo conferire alla cucina. Tanto che la cena è quasi sempre in sold out e la terrazza gremita, su una piazza ipercompetitiva come quella milanese.



I fratelli Cerea ci hanno scelto quattro anni fa, all’apertura dopo la ristrutturazione, sulla scorta di esperienze pregresse”, racconta Antonio. “Avevo trascorso a Brusaporto quasi 3 anni, inframezzati dal lavoro con Iside De Cesare e Antonino Cannavacciuolo, soprattutto in pasticceria. Ma anche mio fratello Vincenzo era passato da Vittorio, oltre che da Riccardo Agostini, Gennaro Esposito, al San Pietro di Positano e in Svizzera. È successo che ho espresso a Bobo l’auspicio di riprendere la collaborazione e dopo appena tre giorni mi ha chiamato per un primo sopralluogo con Chicco e Francesco…


Ma loro non la definiscono una consulenza, piuttosto una collaborazione. Fin dagli esordi hanno voluto che improntassimo la carta a modo nostro. Siamo partiti con qualche loro classico, ma oggi ci incontriamo quasi solo al momento di cambiare stagionalmente i menu, che poi vengono sottoposti al general manager. Un iter complesso. Chicco ci dà suggerimenti validissimi, soprattutto su presentazione e servizio, ma nel tempo ci siamo sempre più sintonizzati”. Tutt’oggi in carta non mancano i paccheri alla Vittorio e la cotoletta a orecchia d’elefante, secondo le ricette di Brusaporto. E tanti fornitori si fermano qui prima di dirigersi verso Bergamo: le carni di Loreto come il pesce di Orobica o Morenpesca. I pomodori sono quelli di zio Peppino, che produce il classico piennolo, scortati da non poca casearia; poi ci sono i vegetali siciliani, come la cipolla di Giarratana, affumicata ai rami d’ulivo per un risotto autunnale, la pesca di Leonforte e la mandorla gemella di Avola.


Oggi Vincenzo (il quale durante l’alberghiero ha contagiato Antonio guardando le videocassette della federazione) segue la banchettistica con mansioni anche manageriali, mentre il fratello cura tutta la ristorazione del settimo piano: il gourmet come il bar, con la sua dozzina di piatti veloci, dallo spaghetto al pomodoro alla zucchina trombetta alla plancha con chutney di mango e spuma di ricotta mustia. Ma da seguire oltre al breakfast e al servizio in camera c’è anche una mensa per duecento persone.

I Piatti

I degustazione sono due: Mediterraneo di solo pesce a 100 euro e Oltre il mare a 80, più il tartufo bianco in stagione. Snocciolano una cucina più inquieta del passato nell’esplorazione del vegetale e del registro amaro; piatti rassicuranti, dal franco gusto del sud, alternati ad affondi contemporanei, coerenti con l’anagrafe degli chef. In accompagnamento la carta dei vini mette in cantina 900 referenze sempre più italiane, con qualche incursione barbarica negli abbinamenti.


Si comincia con gli appetizer versione finger, presentati su ceramiche acquistate al mercato di Tokyo: il lattughino con pepe, mandorla e limone; il cocomero allo yuzu con yogurt e caviale di aringa; l’hot dog di tartare di tonno con ketchup di soia e chia; il bignè di fontina e rosmarino con maionese al wasabi, stile sfizi fritti. Per benvenuto il tortellino ottenuto modellando una lamella fine di melone al giusto punto di maturazione, farcito di ricotta di bufala con polvere di prosciutto e zuppetta di pomodoro.


“Mio fratello è un amante del pomodoro e ogni anno gli dedichiamo un piatto. Quest’anno ho pensato a una frisella a modo nostro”. Quindi cubi di impasto da frisella croccante su una base di marmellata di pomodoro giallo al limone e sopra un carosello di bocconi cotti e crudi: la composta di pomodori ramati con peperone e zafferano, i datterini gialli e rossi interi confit, il Pachino infornato, i pomodori crudi secondo il mercato, verdi o neri, la crema di aglio nero, un filo di extravergine Muraglia, foglie di capperi sott’olio e semi di pomodoro verde a mo’ di passion fruit. Un antipasto goloso, fresco e divertente, che rende ergonomico un hit estivo dalla consumazione problematica su tavole eleganti.


Buono il carpaccio di baccalà, presente anche in forma di maionese delle lische e pelle soffiata. A contrastarlo sono le albicocche anch’esse variate: crude, in salsa dolce e salata più estratto e foglie di dragoncello (reminiscenza di Iside De Cesare) e una punta di bernese in liaison per l’acidità. Dove il pensiero corre alle ricette regionali alla frutta secca, con l’orologio di cotture ed essiccazioni a ritroso. Nel bicchiere il sommelier Paolo Porfidio mesce un Riesling trocken Nik Weis 2017 di St.Urbans-Hof, per la concordanza del fruttato sapido e il contrasto acido.

iso di semola Gentile allo zafferano, cipollotto agli agrumi, manzo marinato alle erbe



Sfodera note amare ed empireumatiche sorprendenti il risotto cotto al fumetto e mantecato con crema di scarola e olio all’aglio e peperoncino, guarnito di totanetti tostati in padella effetto griglia, gocce di provola affumicata, scarola cruda e cubetti di limone candito.


Ma il signature dei Lebano non poteva che essere uno spaghettone: per la precisione il Masciarelli classicamente saltato all’aglio, olio e peperoncino, guarnito con caviale asetra in ricordo di Marchesi, sopra uno schizzo di salsa di teste di gamberi rossi grigliate e una spolverata di bucce di cipolla carbonizzate a spingere il fumé. Nobiltà e anche miseria, quella del pane atturrato insinuato dal sous-chef siciliano Francesco Guarino. “Utilizziamo le code per una terrina, ma ci piacciono soprattutto le teste. Quelle dei gamberi rossi, in particolare, contengono un enzima chiamato astaxantina che alle alte temperature preserva la colorazione vermiglia del corallo, contrariamente ai gamberi viola che ingrigiscono. Dopo alcuni minuti sui carboni le schiacciamo al mortaio e le passiamo allo chinois, senza aggiungere nulla”. L’equilibrio, puristico, è fra sapidità e dolce-amaro, con un ricordo prepotente di grigliata di pesce che accattiva e una contemporaneizzazione stimolante del concetto bisque. L’abbinamento riprende il bandolo pauperista con il Lambrusco metodo ancestrale di Ermete Medici per ripulire le grassezze.


All’intermezzo di sorbetto di mais al Balsamico, chiamato a spezzare dopo un primo ingombrante, segue la rassicurante ricciola ligure scottata, cotta in guazzetto per salvaguardare la succulenza e passata sulla brace con un filo d’olio, per l’effetto fumé. Viene servita su una base di pomodoro giallo con salsa di aceto di Jerez e zucchero di canna, provola, taralli, erbe e fiori. Nel bicchiere un Saint-Romain 2017 di Alain Gras.

Mousse al cocco e ananas, avocado, banana e fregola sarda Soffiata



È defaticante il predessert di meringa bruciata sul piatto, appena un velo di dolcezza amarotica sotto la granita grossolana di centrifugato di cetriolo e lo yogurt all’eucalipto, balsamico a fine pasto.

Spumoso allo yougurt di capra, pesca di Leonforte e gelato alle Mandorle



Ma il finale è italianamente per la frutta: la tatin di pesca caramellata, senza pasta sfoglia, con il gelato di mandorla grezza per il nocciolo e i minicannoli di meringa con spuma di yogurt di capra regina di Alessandria (senza zucchero) per rinfrescare, erba limoncina e sorbetto di pesca bianca. E qui tintinnano gli shaker dei bartender Manuel Graziosi e Christian Bindi.

Indirizzo

Terrazza Gallia c/o Excelsior Gallia Hotel

Piazza Duca d’Aosta, 9 – Milano

Tel. +39 02.67853514

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