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Casa Roots: le radici nel cielo di Floriano Pellegrino e Isabella Potì

di:
Alessandra Meldolesi
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roots bros

Floriano Pellegrino e Isabella Potì hanno aperto il 15 maggio a Scorrano Roots, la trattoria in cui il punto di partenza sono le ricette tipiche.

La Notizia

È un cerchio che si chiude: dall’agriturismo di mamma Caterina a Roots, la trattoria che Floriano Pellegrino e Isabella Potì hanno aperto il 15 maggio a Scorrano, paese nell’entroterra salentino dove affondano le loro radici. È in quell’agro che la famiglia Pellegrino possedeva 21 ettari di terra, parte dei quali tuttora riforniscono Bros’, e zio Pippi conduce una masseria chiamava La Nivera, ovvero la ghiacciaia, perché il Salento è anche terra di gelati. Lui però oggi alleva mucche e produce latte. Lo stesso che finirà nel frigo di Roots. “Sono stato da mio zio e gli ho chiesto a quanto lo vendesse: un euro e mezzo. Gli ho detto che gliene avrei dati 5 e di comprare altre mucche. Ma facciamo lo stesso dappertutto: lasciamo il resto, paghiamo extra. Perché vogliamo risollevare il territorio. Guardandoci attorno abbiamo visto tristezza e povertà, ma bisogna rendere conveniente la qualità ai produttori. Per questo abbiamo prezzi da ristorante e non da trattoria”.


La sede di Roots non è meno nuova della mentalità: si tratta di un rudere ristrutturato dai due. “Ed è bellissimo, con il fuoco sempre acceso, d’inverso e d’estate”. Il fuoco della tradizione. A differenza di Bros’, che secondo la tabella di marcia viaggia spedito verso il completo fine dining, questa è una trattoria. “Perché siamo innamorati della Francia: io ho lavorato alla Grenouillère, Isa al Mirazur. Ed è potente come abbiano saputo nobilitare l’istituzione bistrot: tutto fucking top. Non c’è niente da fare: noi non emaniamo un tale fascino. Ed è su questo che abbiamo voluto lavorare”.


Il cordone ombelicale con la tradizione è rappresentato da mamma Caterina, assiduamente presente fin dalla spesa del mattino. “Perché vogliamo essere global, ma local. Lo chef è giapponese, Yuta Bise, con esperienze alla Ciau del Tornavento e da Sposito; quindi avevamo bisogno di qualcuno che lo affiancasse. Ed è lei la nostra ‘mentora’: assaggia le polpette, il carciofo, la minestra di fave, la ricotta. Insomma fa lo chef dei check, come Isabella a Lecce. A differenza di Bros’, dove il processo creativo è legato al gusto, non a tecniche o ingredienti specifici, qui il punto di partenza sono le ricette tipiche. E abbiamo scoperto cose pazzesche, perché cambiano da un paese all’altro, per gelosie o campanilismi. Ma adesso è un patrimonio sterminato, che continuiamo ad esplorare insieme al professor Massimo Vaglio, con il quale stiamo approfondendo anche il folklore e le festività contadine. È di santa domenica che sono pronti i primi fioroni. Non è bellissimo?


Cosa cambia rispetto alla cucina di casa o a un’altra trattoria? Che io sono l’evoluzione di ciò che ha fatto mia mamma: sono uscito di casa a 18 anni e rientrato dopo altri 7, spesi nei migliori ristoranti del mondo. Mentre lei ha sempre fatto una cucina casalinga. Quindi le tecniche e i prodotti non sono gli stessi. Come a Lecce abbiamo scelto la brace, in modo ancor più radicale. Niente gas assolutamente, tranne che per cuocere la pasta, e tanto forno a legna. Molte cose da queste parti si sono sempre riscaldate, anche nell’agriturismo di mia madre. Noi vogliamo prepararle à la minute, compresa la focaccia di patate. Quindi non possiamo fare 100 coperti, ma al massimo 50 e il prezzo sale. La pasta nel forno a legna, il pollo intero sono cose che adoro”.


Io, Isabella e Diego, il nostro sous-chef, saremo presenti a rotazione nei giorni di chiusura, martedì e mercoledì. A Lecce stavamo spingendo così tanto, che abbiamo sentito la terra mancarci sotto i piedi. Avevamo bisogno di un ubi consistam, di toccare quello che stavamo studiando e vedere le cose fatte, in modo da prendere spunto. I lampascioni sott’olio, la conserva di pomodoro fatta al sole… E non vedo l’ora che sia ottobre per la caccia. Quando ero bambino facevamo il pane una volta alla settimana, tanto era buono, anche perché accendere il fuoco costava. Cose che mi porto dentro”.


Il menu? Cambia ogni giorno, secondo il mercato. Ci sono 7 antipasti conviviali in mezzo al tavolo, fra verdure fresche e lesse, un po’ come in Giappone; un primo, come i minchiareddi di grosso al pomodoro, e un secondo, per esempio le braciole. Ma io cucino il pezzo di carne intero, poi Yuta lo taglia à la minute. Per dolci granite di limone e amarena, pitta di ricotta, frutta fresca e cocomero. Tutto portato in tavola dai cuochi. E si beve solo territorio salentino e pugliese: una quindicina di etichette selezionate dal nostro sommelier Juan, birra e gassosa”.

Indirizzo

Roots

Prov. Scorrano-Supersano, LE, Italy

Mail info@rootstrattoria.it

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