Dove mangiare in Italia Tradizione e ricercatezza

Da Rinaldi al Quirinale, il ristorante dei politici con lo Champagne da 60 mila euro

di:
Massimiliano Bianconcini
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rinaldi al quirinale

Segnalato da Wine Spectator per la cantina, è elegante, sobrio e appartato. È il locale dove si recherebbero oggi Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse e dove le sorprese non finiscono mai.

La Storia

Capita che passeggiando per via Nazionale, passando dall’ultima mostra di Palazzo delle Esposizioni alla prima teatrale di Gabriele Lavia al Teatro Eliseo, cercando di trovare almeno un ristorante di tendenza, un’osteria di ricerca, un bistrot gourmet alla Niko Romito o alla Cannavacciuolo, ci si imbatta nel ristorante Rinaldi al Quirinale, in via Parma. Un piccolo dehors esterno attira l’attenzione. Si scende una breve scala e ci si imbatte in un grande acquario con aragoste e leoni di mare. Gli arredi hanno un’eleganza sobria e un po’ misteriosa stile anni 90. I tavoli, con ampie tovaglie e mise en place tradizionale, sono privi di elementi in ceramica portaposate. I tovaglioli sono in stoffa. Niente allestimenti feng shui all’ultimo grido. L’atmosfera è allegra, illuminata a festa ma tradizionale, per un ristorante che ha aperto nel 2000. Venti anni sono secoli però per la velocità con cui oggi cambiano tendenze, mode e interior design. Eppure alla fine te ne innamori, perché anche il più classico dei ristoranti romani nasconde delle sorprese e Rinaldi al Quirinale, a saper cercare, ne ha di interessanti da svelare.


Inizio con il dire che è un ristorante tradizionale, classico di pesce e carne. Quindi il sentiero in qualche modo è già tracciato. Eppure, quando cominci a chiacchierare con Vincenzo Rinaldi, il figlio maggiore di papà Antonio, che si occupa della gestione della sala, capisci di essere in un luogo particolare, quasi da iniziati, alla Eyes what shot di Kubrik. Il locale infatti si estende su di un’area di 400 mq con sale e salette che sono di fatto dei privé con al massimo uno o due tavoli. E qui, vista la vicinanza al Quirinale e ai palazzi della politica, a pranzo o a cena è facile incontrare ministri, sottosegretari e senatori. Qui, insieme al dessert, capita che vengano studiate le strategie parlamentari, stipulati patti (della crostata o meno), firmate rese (politiche s’intende), decisi ddl o finanziarie. Insomma, il pranzo può essere la continuazione della politica in altre forme, per parafrasare von Clausewitz. E spesso lo è. E questa è la prima sorpresa.


Chiaro però che se anche la cucina è classica, le materie prime scelte dai titolari devono essere di grande qualità. Se si ha a che fare con capi di Stato, o aspiranti tali, i piatti possono anche rinunciare alle vette estetiche della cucina gourmet, ma devono comunque eccellere. Tanto per fare della cronaca spicciola è qui che ha mangiato Xi Jinping durante la sua recente visita in Italia, per promuovere la Via della Seta. È qui che vengono a mangiare i magnati russi. «E spesso scelgono aragoste e leoni di mare, pescati al largo delle coste della Sardegna. Ricordo che l’aragosta più grande che abbiamo avuto pesava circa 9 kg e l’ha mangiata un gruppo di magnati russi», racconta l’altro figlio Daniele, mentre accarezza un leone di mare di 4 chili e mezzo, vivo, portato al tavolo su un carrello per mostrarlo alla sala.


La pasta secca è di Gragnano. Il pesce arriva dalle aste di Formia, Gaeta, Anzio e Civitavecchia. La carne è della storica macelleria Feroci. Il pane bianco è del forno Ennio Francia di Piazza Risorgimento; altri pani sono di Roscioli. L’olio extra vergine di oliva è quello di Davide Gragneri. «Ma abbiamo anche oli particolari di altre regioni italiane, per accontentare i gusti dei nostri clienti», sottolinea Vincenzo Rinaldi. I cannoli siciliani sono di Dagnino, storica realtà romana che insieme alla pasticceria Regoli fornisce alcuni dolci, mentre altri sono fatti in casa. I fruttini gelato sono di Lancusi e il tartufo nero viene da Pizzo Calabro. Insomma, in venti anni di gestione, i proprietari hanno saputo selezionare una serie di fornitori e produttori di fascia alta, per offrire il meglio alla clientela.

Il Ristorante

Del locale abbiamo detto, ma prima ancora di entrare in altri interessanti dettagli c’è da fare una premessa. La famiglia Rinaldi ha iniziato a dedicarsi alla ristorazione fin dagli anni Ottanta con L’Angoletto al Pantheon, un locale aperto da papà Antonio e sempre dedicato alla cucina di pesce tradizionale. Dopo circa venti anni, in cerca di un luogo più ampio, la famiglia si è spostata in questa traversa di via Nazionale, anonima e appartata, ravvivata appunto dal solo e unico ristorante. Pesce e carne qui sono di casa con una certa predilezione per i crudi di mare. Il menù è esclusivamente alla carta e non ci sono degustazioni.


Non c’è uno chef executive. Il responsabile è Luca Isidi. Il più vecchio è un cinese Chen Hai Duan, uno di famiglia, così come del resto tutto lo staff. «Devono essere sempre gli stessi per far sentire a casa e a proprio agio la clientela. È necessario far trovare sempre le stesse persone. Siamo aperti tutti i giorni a pranzo e a cena, anche durante le festività, e non abbiamo menù fissi. Da noi si mangia alla carta, anche se possiamo inserire alcuni piatti della tradizione, natalizia o pasquale ad esempio. C’è comunque una rotazione legata alla stagionalità dei prodotti», dice Vincenzo Rinaldi.


Ma ancora una volta l’apparenza inganna, perché Vincenzo Rinaldi ci svela che il pezzo forte del ristorante è la cantina, segnalata dal Wine Spectator, una delle più autorevoli riviste internazionali in fatto di vini. I Rinaldi infatti possono vantare 22 mila bottiglie con 3500 diverse referenze e con vini di altissima qualità. È un po’ come entrare in gioielleria. Solo loro posseggono un Cristal numerato da 60 mila euro. «Il Cristal è una bottiglia particolare placcata in oro 24 karati da 3 litri, creata da uno scultore francese, e la sua particolarità è che sono solo 400 bottiglie prodotte in tutto il mondo. 200 destinate alla vendita e l’unica in Italia si trova qui da noi». Ma ci sono bottiglie per tutti i gusti e per tutti i portafogli, dai grandi romanée francesi da 35 mila euro a bottiglie ai piccoli produttori italiani da 26 euro. Ed ecco qui un’altra sorpresa. Qualcosa che a prima vista non si sarebbe mai detto.


Il deus ex machina della cantina è Vincenzo che acquista le bottiglie più pregiate alle aste. «Abbiamo la fila di produttori che vogliono entrare nella nostra cantina perché dà prestigio esserci. Io però preferisco scegliere personalmente, conoscere i produttori, muovermi e assaggiare i vini. Le grandi maison devono comunque esserci. Ci sono verticali di vini importanti in cantina. Mi piace comunque allargare il campo, trovare piccoli produttori, anche perché alcuni clienti amano seguire le mode e le tendenze. La rotazione di 22 mila bottiglie non è facile e deve essere bravo il nostro sommelier Fabio Filippini a fare la vendita. Alla mescita apriamo anche 20 bottiglie differenti a sera. Alcuni clienti vengono qui solo per aprire bottiglie particolari e poi ci abbinano un piatto».


Infine c’è l’attenzione alla pasta fresca fatta in casa, la grande passione di Daniele Rinaldi che la prepara personalmente ogni due giorni in quantità tale che possa bastare al ristorante. «Da noi non esiste il congelatore e la pasta deve quindi essere sempre fresca. Amo le varietà regionali e mi sono appassionato a prodotti tipici che potrebbero scomparire». Daniele infatti è alla continua ricerca di nuove varietà di pasta da introdurre. In queste settimane si sta concentrando sui Fusilli di Filitto, 100% di semola, conosciuta solo nel Cilento. Anche gli Agnolotti del Plin, piemontesi, il cui ripieno di coniglio è molto sapido «che noi condiamo con burro e salvia, una ricetta tradizionale molto elegante da presentare», sono di recente introduzione nel menù su idea di Daniele.


A breve invece saranno inserite in menù le lorighittas, una pasta intrecciata in modo tale da sembrare due anelli incatenati, tipica di Morgogiori, un paesino dell’interno della Sardegna. Sono però ancora in una fase di studio: «Ho preso contatto e a breve andrò in Sardegna per una sessione di studio perché voglio imparare a farla. Mi sembra giusto dare il nostro contributo nel salvaguardare il grande patrimonio delle paste italiane. Sulle farine poi sono molto esigente. Faccio arrivare una senatore cappelli dalla Calabria, la produce un giovane ragazzo Stefano Caccavari che ha salvato l’ultimo mulino a pietra della sua regione con il quale macina i grani che coltiva».

Indirizzo

Rinaldi al Quirinale

Via Parma 11/A - Roma

Mail info@rinaldialquirinale.it

Tel. +39 06 47825171

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