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Cucina®: Alléno, Alajmo e Cassi fanno il punto sulla proprietà intellettuale in cucina

di:
Alessandra Meldolesi
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“Ecco il 30!” dicevano affacciandosi alla finestra quando una volta al mese arrivava il venditore ambulante a mostrare la propria merce dalla bottega

La Notizia

Cucina, arte e Marchesi


Una cosa è ormai acclarata: nonostante gli annosi dibattiti, che videro a suo tempo protagonista Gualtiero Marchesi, la cucina può essere oggetto di proprietà intellettuale come qualsiasi altra attività umana. Non mancano infatti gli esempi di brevetti e di marchi: nel 2002 fu lo stesso Marchesi a registrare il suo Riso oro e zafferanomarchio distintivo di design” e a fare successivamente valere i suoi diritti nei confronti di un discepolo intemperante; dallo scorso mese di febbraio chi lo ordina al Ristorante Gualtiero Marchesi in Piazza alla Scala riceve addirittura un certificato di autenticità numerato da parte della Fondazione Marchesi.

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Gualtiero marchesi<
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A riconoscere il diritto d’autore con riferimento alle ricette originali è stata invece la sentenza 9763 del 10/07/2013 emessa dal Tribunale di Milano nell’ambito della controversia fra un gastronomo e una food writer, che ne aveva copiato le ricette pubblicate online. Esistono poi i brevetti, anche qui non senza precedenti: si tratta perlopiù di tecniche e procedimenti, più che di ricette. Per esempio, la sponge cake al microonde. E i marchi registrati.

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Nei ruggenti anni 0 della cucina spagnoleggiante, quando l’innovazione era all’ordine del giorno, l’atteggiamento tuttavia è stato quello del massimo fair play: Ferran Adrià non ha mai fatto ricorso a questi mezzi, incoraggiando anzi la diffusione delle tecniche attraverso i prodotti da lui immessi sul mercato. A suo dire basterebbe pubblicare libri per fissare le genealogie creative, ma la regola dovrebbe restare quella della massima condivisione del sapere.

Yannick alleno<
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La pensa diversamente Yannick Alléno, chef del momento a Parigi, che ha finalmente concluso con successo il processo di registrazione dell’Estrazione® attraverso crioconcentrazione, ideata nel 2013 con Bruno Goussault, direttore scientifico del Centre de Recherche et d’Études pour l’Alimentation (CREA). “Può svolgersi sia a caldo che a freddo”, spiega lo chef adjoint del Pavillon Ledoyen Martino Ruggieri. “Per esempio, ogni verdura ha un preciso tempo di cottura sottovuoto con diverse percentuali di acqua a temperature comprese fra 60 e 83 °C. In questo modo rilascia il suo succo, che viene abbattuto, ridotto in una specie di granita e centrifugato, cosicché il ghiaccio si separa dal liquido. Quando il primo è bianco, l’estratto è pronto. Si tratta a questo punto di una crioconcentrazione 1, che ripetendo il procedimento può raggiungere i gradi 2, 3, 4… In questo modo aumentano la densità, gli zuccheri e anche la mineralità. Si può procedere nello stesso modo con il pesce, che fornisce un fumetto moderno dalle sembianze di latte, ma non con la carne, la cui gelatina trattiene i succhi. Il procedimento a freddo prevede invece l’utilizzo di un comune estrattore, ma gli step successivi non cambiamo. Si possono così comporre anche jus composé, calibrando con precisione i liquidi da miscelare”.

Il principio, secondo Davide Cassi, docente di fisica e decano della molecolare, è lo stesso della produzione degli Eiswein. La tecnica della crioconcentrazione, aggiunge, non è nuova nell’industria, con la centrifuga quale mezzo per separare i cristalli di ghiaccio. Sono anzi numerose le apparecchiature in commercio. “Alléno avrà registrato qualche dettaglio, ma la tecnica non è sua. Io stesso ho brevettato la conservazione a caldo, per tutelare i prodotti dell’azienda sponsor, la Exever”.

Controbatte Alléno che “il procedimento di Estrazione® è stato depositato unicamente a fini industriali, per impedire innanzitutto all’industria di appropriarsene. Il nostro fine non è impedirne l’uso, al contrario. È del resto ampiamente illustrato nel libro Sauces, réflexions d’un cuisinier e può essere ripreso liberamente da tutti i cuochi del mondo”.

Massimiliano alajmo<
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Fra gli italiani è stato Massimiliano Alajmo a varcare la soglia dell’ufficio brevetti per la pizza al vapore. “È stato fatto perché rappresenta il frutto di una ricerca piuttosto lunga, e mia moglie tra l’altro ha insistito affinché brevettassimo. Si tratta di una procedura di lavorazione, perché a differenza del deposito di un marchio occorrono fasi ben precise, una cosa abbastanza complessa. Adesso stiamo brevettando altre lavorazioni sulla pizza, già presentate a Identità Golose: la 100 pezze e il mascalzone”.

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