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Meridiana Solare: Davide Cannavino alla prova di una Genova totale

di:
Alessandra Meldolesi
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Una cucina del cuore dove pulsa Genova: terra e mare, ricchezza e povertà, provocazione e storia innescano contrasti che stordiscono.

La Storia

La Storia di Davide Cannavino


È uno dei rolli più belli di Genova, il palazzo della Meridiana, già appartenuto ai principi Grimaldi, cui si arriva percorrendo l’infilata delle residenze nobiliari, originariamente candidate a ricevere visite ufficiali, oggi patrimonio UNESCO. Avanzano facciate arabescate talmente scenografiche, che sembra di trovarsi sul palco di un teatro, nel silenzio fra le quinte. Eppure, basta rotolare sulla prima creuza per uno schiaffo di realtà: è la platea di un’altra Genova, plebea e multietnica, formicolante di vita fra mura non meno strette di un cappotto, per cui si insinua come uno spiffero qualche canzone di De Andrè. Contrasti che stordiscono, tanto che a ogni incrocio la domanda è su cosa seguirà, se la grandeur aristocratica o il formicaio border-line, uno scorcio montano o una spiaggetta con i teli stesi al sole.

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La Meridiana segna il mezzogiorno di questa Genova in trasformazione, dalla tuta operaia al nuovo abito turistico, sempre più sartoriale. E quello di un cuoco, Davide Cannavino, nato e cresciuto su questo tratto di via Aurelia, strappato a fine novembre dal patron Andrea Campisi alla fitta ombra di un vicolo di Voltri. Per lui ci sono state due esperienze karmiche: il passaggio al Canto della Certosa di Maggiano con un genio chiamato Lopriore, maestro di materia, acidità e amari, e il lungo ruolo di secondo di Luca Collami al Baldin, prima dell’apertura della Voglia matta a soli 22 anni. Il laboratorio dove mettere a punto da chef patron semi-autodidatta una cucina originale, anticonformista e perfettamente calata nel contesto. Per gli ingredienti utilizzati (il pesce delle barche su tutti, meglio quello povero dei gamberi viola) e per quel senso permanente di sorpresa, nel mix di azzardi gustativi e richiami classici, motivi popolareschi e aristocratici, che riproduce in carta la mappa della città.

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Scriveva John Ruskin che è stato il desiderio di perfezione a sterilizzare l’arte europea, decretandone la decadenza, mentre “in tutte le creature viventi si riscontrano irregolarità e manchevolezze che non sono soltanto segno di vita, ma anche di bellezza”. Tanto che nessuna “opera nobile dell’uomo può essere buona se non è imperfetta”. E quella di Cannavino, anche nella sua nuova location, con una brigata giovane ma strutturata, attrezzature in progress e un servizio finalmente all’altezza, resta una cucina di cuore e d’impulso, diretta, nervosa. Mai paga.

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Ho conosciuto Campisi nelle vesti di cliente e di degustatore, perché il vino è una mia grande passione e condividiamo la predilezione per le bottiglie artigianali e naturali. Quando mi è arrivata la sua proposta, ho un po’ titubato, nel timore di perdere la condizione di chef patron. Ma rifiutare sarebbe stata una follia, così ho contrattato i miei spazi di autonomia, con riferimento agli acquisti, all’impostazione del menu e alla scelta dello staff. Sposando il suo progetto per 5 anni, poi si vedrà. Con la Voglia matta c’è piena continuità, in cucina e nelle forniture. Perfino il numero di coperti, sotto i 30, è lo stesso”. “Voltri era un borgo di pescatori dentro la città; qui in centro mi sento tutti i giorni un turista in vena di scoperte. Alle carenze dei miei vecchi fornitori supplisco con una spesa quotidiana; ho trovato una piccola pescheria e una bottega di prodotti selezionati. Inoltre, il melting pot mi sta influenzando, con la scoperta di nuovi sapori. Il genovese per sua natura è un navigatore, anche se uso prodotti in gran parte locali”.

I menu sono quattro: il Tradizione (5 corse a 38 euro, 55 con abbinamento) e il Fidelio a sorpresa (sempre 5 corse, a 48-70 euro); il 330 Km, come la lunghezza della costa ligure, con due piatti in più a 58-80, e Ora o mai più, che ne conta 10 a 78-120. In accompagnamento c’è la carta dei vini perlopiù italiani di Campisi, che può attingere anche dall’enoteca sottostante.

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I Piatti

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Si comincia con gli appetizer: il pomodorino tipo bloody Mary macerato in aceto di mele e Tabasco; il panino al vapore e fritto con prescinseua; le deliziose teste di pesce in cassetta alla frutta secca, sul modello del tradizionale insaccato ligure ai pinoli, legate dalla gelatina naturale, piatto di recupero delicatissimo; il macaron tipo toast ripieno di stoccafisso mantecato all’olio ligure; il taco di pane con astice, maionese di cuore di bue e olive taggiasche; le chips di riso nature e al curry con cenere vegetale.

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La seppia cruda è servita in una marinara cotta dal sole e non dal fuoco: l’estate svitata fuori da un vasetto. Quindi i pomodori secchi anche in crema, la maionese di pomodoro, il cappero essiccato in polvere sparso come una spezia.

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Ma è strepitoso soprattutto il fegato di mostella, pesce dimenticato di questi mari, spurgato in acqua e ghiaccio per eliminare il gusto sanguigno, rassodato in sale e zucchero, poi leggermente affumicato con rami di ulivo. Soave e pastoso, quasi nocciolato e affatto amaro, viene servito con una miscellanea di verdure liguri spadellate all’extravergine, che stringono la tenaglia dei gusti primari: il ravanello selvatico; la radice di Chiavari, un tubero amaro; il costetto ligure, della famiglia dei radicchi, anche in salsa; più caviale di cavolfiore alle lime, lamelle di cetriolo e semi di pomodoro verde. “Ed è lo stesso trattamento che applichiamo ad altri fegati, mentre le uova finiscono in una bottarga mista. Ma si tratta di un piatto spot: c’è o non c’è, dipende dal prodotto”. Vira verso il comfort la panissa liquida con lumachine di mare ed estrazione di alloro, signature dish di Voltri, che declina in chiave di contrasto di consistenze lo schema di Pierangelini.

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Ma Cannavino ama anche il classico: la Francia è vicina e la triglia, cotta delicatamente alla mugnaia, viene servita con una guarnizione di purè alla Robuchon, ricchissimo di burro, e una spolverata di sommacco (a proposito di melting-pot) che rovescia il gallicismo in un tripudio acido-tannico, agrumato, mediterraneo.

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All’intermezzo di zucca cotta un giorno sottovuoto a 50 °C con limone e aceto di fichi, per la testura carnosa, condita con riduzione dello stesso aceto, per resettare il palato, segue un altro piatto comfort: il risotto mantecato al fondo bruno di vitello, omaggio a Nino Bergese, che un tempo nella vicina Santa aveva guadagnato le prime due stelle d’Italia. “Se il pesce con i carciofi o con i funghi è entrato nelle nostre abitudini, è a lui che lo dobbiamo. Ma il mio non è un timballo gratinato, piuttosto un risotto alla parmigiana classico con il fondo bruno servito a parte”.

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Arriva da Voltri anche il fegatino di coniglio appena scottato con i rognoncini poché, il cavolo nero in estrazione e saltato, la purea di barbabietola, sul filo del ferro: dove la chiave di volta è la temperatura di servizio tiepida, che esalta la materia.

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Il piccione è cotto intero sull’osso, prima in padella, poi in forno. Il petto è scalcato e servito con spinacini e fondo; le ali e le coscette sono servite fritte, come un pollo pop, soprattutto a lato è sparpagliato un contorno di “friandises” salate che segnano lo scivolo verso il dessert: la prugna ripiena di fegatino e foie gras, a mo’ di citazione; la frolla di Parmigiano con piccola panna cotta al fegato di piccione; i dadi di zucca con carpaccio.

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Il predessert, ottimo, è il gelato alla nocciola con spuma di wasabi, sul modello delle arachidi piccanti giapponesi. Chiude il dessert di cremoso alla salvia con gelatina di limone e gin ai capperi, più cappero cucuncio candito, per una botta di sapidità a fine pasto che pulisce e allunga.

Crediti fotografici: Francesco Zoppi

Indirizzo

Ristorante Meridiana

Salita San Francesco n 2 - 16124 Genova

Tel. 391 168 7643

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