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Mandorle, cannella e mosto cotto: ecco i dolci sardi di Natale
Torrone, mostaccioli, pan’e saba, gâteau di mandorle, sanguinaccio dolce, biancomangiare, biscottini con miele, frutta secca, uvetta, ma anche canestrelli e le antiche “fantine”, biscotti a forma di bambina, caratteristici delle cosiddette isole “genovesi” di Carloforte e Calasetta:
i dolci tradizionali sardi consumati nelle festività natalizie sono molti e variano da zona a zona. Fotografia di Sabrina Tola
Forse è
su pan’e saba a costituire il minimo comune denominatore che unisce le pratiche alimentari festive dell’Isola, con quel suo caratteristico profumo di mosto cotto e cannella, il sapore della frutta secca (noci o nocciole o mandorle, secondo il paese), della buccia di agrumi e dell’uva passa nel ricco impasto.
Fotografia di Roberto Murgia
Ogni paese, anzi ogni famiglia ha la propria ricetta e i propri segreti produttivi. Chi confeziona il pan di sapa alto, a guisa di un grande lievitato, con lievito madre, come il noto
fattu e cottu del Campidano, chi lo realizza basso, calorico e ponderoso, ricco di pregiata frutta secca; in entrambi i casi è la sapa (sa saba, in sardo), mosto d’uva cotto, a conferire un colore caramello intenso e un sapore unico al dolce. Un prodotto, la sapa, che lega tra loro diverse regioni italiane, dove è tradizionale, e che mette in connessione la cultura contadina odierna con la cucina romana di 2000 anni fa, da cui deriva.
Particolare il pan di sapa prodotto a Meana Sardo (Nu), con una forma che ricorda la pigna, con mandorle sarde intere confitte nella pasta, riccamente decorata.
Fotografia di Roberto Murgia
È forse il
torrone il prodotto natalizio per eccellenza, visto che compare già in un documento sardo del 7 dicembre 1614, conservato all’Archivio di Stato di Cagliari. In questa fonte manoscritta, in catalano, l’apotecario (speziale e droghiere) Battista Sollai di Villanova (quartiere di Cagliari) si accorda con un certo Pietro Sanna Satta originario di Sassari per un dato quantitativo di torrone bianco, di torrone nero (
torrons blancs y negres) e di ostie (
neules) da produrre sino alla Vigilia di Natale (in sardo “
Pasca de Nadale”). Nel contratto gli promette anche rinforzi nel caso mancassero braccia per produrre tutti gli impasti (
cuytura) necessari alle necessità dello speziale.
Fotografia di Emiko Davies
Può essere che il torrone bianco citato fosse quello classico, fatto con zucchero (o miele), mandorle (o noci, o nocciole) e albumi d’uovo, e quello scuro confezionato con zucchero e mandorle, il croccante, oggi chiamato popolarmente gatò, dal francese gâteau. Di sicuro in quanto speziale Sollai aveva la possibilità di procurarsi buone quantità di zucchero, allora prodotto raro e costoso.
Un capitolo a parte, tra i prodotti dolciari del Natale sardo, merita il
sanguinaccio dolce, una leccornia che veniva preparata in occasione dell’uccisione del maiale domestico; come dice il detto popolare, del maiale non si butta via nulla, e anche il sangue, insaporito con spezie, zucchero, arricchito di pabassa (uva passa) veniva cotto e confezionato a guisa di salsiccia, da mangiare a fette.
Fotografia di Roberto Murgia
Infine
i mostaccioli, soprattutto di Oristano, buoni per tutte le occasioni, un tempo preparati in occasione delle più importanti festività, dalla caratteristica forma a losanga che è matrice comune dei mostaccioli anche dello stivale, e costituisce un’antica icona della fertilità femminile, dell’origine del mondo.
Lodati in un documento anonimo della prima metà del Settecento, relativi al convento di Santa Lucia in Cagliari, ancora oggi
i mostaccioli di Oristano subiscono un processo di lievitazione lungo settimane, che li rende un miracolo di digeribilità, leggerezza e morbidezza, senza grassi. Da accompagnare con un buon vino Vernaccia di Oristano Doc, per un brindisi all’antica.
La fotografia di copertina è di Roberto Murgia