Il brand Candiani ha sviluppato una ricerca per creare un elastomero naturale e dopo 5 anni è riuscito a produrre il primo tessuto stretch al mondo con un’anima 100% naturale, 100% biodegradabile e 100% compostabile. L’applicazione? Come fertilizzante per le colture.
DENIM COREVA: QUANDO IL JEANS È COSÌ BUONO DA COLTIVARCI I POMODORI
Confesso: di fronte alla richiesta di scrivere di un’azienda del settore moda, a proposito di un nuovo progetto capace di unire food e sostenibilità, qualche pregiudizio si era attivato. Ebbene, mi sbagliavo. E quanto è bello (e buono) sbagliare, a volte. E magari scoprire che tra il mondo della moda e quello del cibo possono esserci molte affinità, in particolare in Italia. Fuor di cliché, la moda e il cibo rendono il Belpaese quello che è agli occhi del mondo, e condannano le aziende italiane della moda e del cibo ad essere sempre, e sempre più, le migliori da ogni punto di vista, e in particolare quello del prodotto.
Essere i migliori al mondo quando si parla di prodotto, e restare tali, significa innovare, fare ricerca, non accontentarsi, consapevoli che il destino di chi sta davanti è quello di correre più veloci se non si vuole essere superati. A questo mi è venuto da pensare con Simon Giuliani, Global Marketing Director di Candiani Spa, azienda italiana che produce denim di alta gamma. A questo, prima di scoprire che da un jeans a fine vita può nascere una strepitosa salsa di pomodoro.
Chi è Candiani Denim?
Fu Luigi Candiani a fondare l’azienda, nel 1938, più o meno al centro di un triangolo ai cui vertici stanno Milano, Novara, Varese. Produceva tessuti da lavoro, perché quello era il jeans, quasi 100 anni fa. Tra gli anni ’60 e gli anni ’80 l’azienda cresce in Italia e all’estero grazie al lavoro di Primo e Gianluigi Candiani, concentrandosi sul denim e poi in particolare sul denim stretch, di cui diventa leader della produzione mondiale nella fascia premium. Oggi è Alberto, figlio di Gianluigi, a guidare l’azienda, con un focus preciso: sostenibilità come standard, non come scelta.
Qualche lettore potrebbe pensare di non trovarla una scelta troppo originale…
È un pensiero legittimo. Il settore dell’abbigliamento è uno dei settori a più alto impatto ambientale. Il denim, in particolar modo, è un prodotto che per l’utilizzo di acqua e per l’applicazione di determinati processi di produzione può risultare davvero oneroso per l’ambiente. In Candiani abbiamo la fortuna di aver affrontato il problema con largo anticipo rispetto ai tempi.
In che senso?
40 anni dopo la nascita dell’azienda, l’area geografica nella quale si trovava (e si trova tuttora) è stata convertita in Riserva Naturale Parco del Ticino. L’istituzione della Riserva ci vincolava a restrizioni e regolamentazioni che ci hanno spinto ad adeguare i processi produttivi e tuttora ci muovono verso un continuo aggiornamento della tecnologia e della strumentazione utilizzata in produzione. In sintesi, in Candiani parliamo di transizione sostenibile dal 1974.
Con quali risultati concreti?
L’elastomero è la componente base del jeans elasticizzato: se non viene prodotto secondo certi criteri, può rimanere nell’ambiente per 300 anni, per poi trasformarsi in microplastiche. Ecco, noi siamo orgogliosi che in Candiani sia nato il primo elastomero sintetico riciclato al mondo, e poi sempre qui sia nato il primo elastomero sintetico degradabile. E non ci siamo accontentati: da quel momento in poi il nostro obiettivo diventò quello di lavorare solo con materie prime naturali, e non più con fibre sintetiche.
Mi sa che ci stiamo avvicinando ad argomenti più consueti per i lettori di Reporter Gourmet.
Più o meno. Nel tempo l’impatto del polimero sull’ambiente è diminuito, ma vista la sovrapproduzione del settore fashion l’unica soluzione sostenibile doveva essere quella di utilizzare materie prime naturali, trasformarle in capi e a fine vita restituirle alla natura. Restituirle alla natura per impattare positivamente, sia chiaro.
Da questa premessa in Candiani abbiamo sviluppato una ricerca per creare un elastomero naturale e dopo 5 anni abbiamo prodotto il primo tessuto stretch al mondo con un’anima 100% naturale, 100% biodegradabile e 100% compostabile: era il 2020. Abbiamo brevettato quella tecnologia e l’abbiamo chiamata COREVA.
Qualcuno, di nuovo, potrebbe obiettare che spesso questo genere di progetti sono più legati al marketing che alla produzione vera e propria…
In Candiani, semplicemente, no. Il tessuto COREVA ha caratteristiche estetiche e di durabilità assolutamente comparabili al tessuto tradizionale. In più ci siamo imposti di farlo testare e certificare da enti super partes: Innovhub, in Italia, in primis, e poi dal Rodale Institute California Organic Center, secondo la legislazione più stringente al mondo, che è quella americana. Lavoriamo con alcuni tra i brand fashion più importanti e Candiani da sempre è conosciuto per la qualità e la ricerca applicata ai suoi prodotti. Non ci saremmo permessi nessuna possibilità di errore, anche se ci stavamo muovendo in campo completamente nuovo per il settore.
E siamo finalmente alla domanda più importante di tutte: ma quindi i jeans prodotti con il tessuto COREVA si possono mangiare?
Naturalmente non siamo partiti con un progetto che avesse l’obiettivo di creare jeans edibili, ci mancherebbe. Quello che abbiamo scoperto però è che a fine vita di un tessuto COREVA una parte può essere semplicemente riciclata, mentre la parte di scarto, quella che di norma risultava inutilizzabile, con COREVA può essere utilizzata come compost. Ne abbiamo testato il valore di fertilizzante naturale sulle piante di cotone, sempre con il Rodale Institute California Organic Center. Le analisi svolte al termine del ciclo di coltivazione confermano la capacità del tessuto di favorire la crescita della pianta. Per noi l’utilizzo dello scarto del riciclo come fertilizzante naturale per il cotone rappresentava la chiusura di un cerchio produttivo, ma siccome qui non siamo bravi ad accontentarci…
I pomodori!
Esatto. Hai presente Quintosapore? È un progetto agricolo innovativo, situato in Umbria, integrato verticalmente, certificato biologico, che sulla qualità ha idee simili alle nostre.
È insieme a loro che abbiamo deciso di utilizzare il materiale di scarto da riciclo di COREVA come compost per le piante di pomodori, analizzando minuziosamente ogni passaggio.
Il laboratorio Ars Chimica ha condotto dei test comparando il suolo con e senza COREVA e ricercando cambiamenti nella salute del suolo. I risultati hanno testimoniato che non c’è stata alcuna modifica nella composizione chimica del suolo e che addirittura COREVA potrebbe aver contribuito a mantenere l’umidità nel suolo.
Che fine hanno fatto quei pomodori?
La miglior fine possibile, mi verrebbe da dire: ne abbiamo fatto una salsa di pomodoro, e ci abbiamo condito la pasta prima a Los Angeles e poi a Milano, durante due eventi.
Il progetto con Quintosapore lo abbiamo presentato durante i Green Carpet Fashion Awards a Los Angeles, nella settimana degli Oscar 2024, in marzo. Madrina dell’evento Amber Valletta, che per l’occasione indossava un abito denim in COREVA e che ha avuto il piacere di raccontare agli ospiti come avevamo coltivato i pomodori che stavano gustando insieme alla pasta. Stessa cosa, in formato più ridotto e fine dining, abbiamo ripetuto ad un evento stampa a Milano, insieme allo chef Eugenio Roncoroni.
Posso solo immaginare l’effetto sul pubblico americano di un triangolo “Italia – Moda – Pasta al pomodoro”.
Sì, in entrambi i casi chi ha assaggiato i piatti con la salsa al pomodoro COREVA era molto soddisfatto. Per noi veicolare il valore dei risultati raggiunti con COREVA, in termini di impatto ambientale, era ed è assolutamente fondamentale.
Spesso per le aziende gli investimenti e gli sviluppi dedicati alla sostenibilità sono difficili da trasmettere e da rendere intellegibili a tutti gli stakeholder che sono coinvolti nella nostra attività, a cominciare dai consumatori finali. Inutile sottolineare quanto, come in questo caso, il cibo possa essere un veicolo potente ed efficace per portare avanti messaggi. Ancora di più se quel messaggio lo puoi sentire direttamente nel palato, mi verrebbe da aggiungere.