È un raro ibrido naturale fra cedro e limone che in cucina si usa già dal Settecento ed, oltre a ispirare dolci squisiti, vanta le proprietà di un autentico superfood. Tutti i segreti della pompìa.
È nata la collaborazione tra Reporter Gourmet e BMW Italia per una serie di contenuti incentrati sulla sostenibilità ambientale: vi racconteremo l’approccio green di chef, produttori, viticoltori e artigiani che stanno rivoluzionando il mondo del food nel rispetto del territorio. Pronti a partire con noi per questo viaggio gourmet? Allacciate le cinture.
Il prodotto
Di origini arcaiche e misteriose, questo agrume sardo è unico al mondo, viene lavorato in modo originalissimo, ed è così diventato un mito culinario: è la pompìa.
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Classificata un tempo dai naturalisti come Citrus Monstruosa, a causa della grandezza del frutto - può arrivare a pesare oltre mezzo kg - e per buccia spessa e bitorzoluta, oggi grazie a nuove ricerche botaniche è stata riclassificata e si sa che è un ibrido naturale tra cedro e limone.
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Non è commestibile cruda, dato che ha pochissima polpa e per di più acidula, una buccia rugosa e un’albedo molto spessa. Viene perciò consumata esclusivamente cotta, dopo un lungo lavoro fatto interamente a mano. Prima si toglie la parte più superficiale della buccia e la polpa, con un coltellino. Ciò che rimane, l’albedo, viene prima sbollentato poi cotto a lungo nel miele sino ad essere confettato.
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A questo punto la preparazione si divide in due. La scorza caramellata diventa “pompìa intrea”, se mantenuta intera e messa sotto miele in barattoli di vetro così da essere serbata per momenti speciali. Oppure, la pompìa così ottenuta viene tagliata a pezzetti e unita a mandorle a scagliette, composta a forma romboidale, posta in pirottini (una volta si usavano le foglie aromatiche di un limone o arancio) diventando così “aranzada”, aromatico dolce delle feste di antichissima schiatta.
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S’aranzada deriva chiaramente da un dolce medievale, un tempo diffuso in tutta Italia, la “ranciata” da arancia, che consisteva appunto nel caramellare la scorza d’arancia nel miele e utilizzarla come dessert insieme a confetti e altre piccole sfiziosità dolci a fine pasto. La forma romboidale dell’aranzada, poi, è prezioso indizio dell’appartenenza di questo dolce alle feste sarde più sacre, nascite, fidanzamenti, matrimoni, essendo la losanga simbolo supremo della femminilità, simbolo beneaugurale di prosperità, fecondità e lunga vita.
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La pompìa viene citata sin dal Settecento in un trattato agronomico sassarese, viene menzionata nell’Ottocento come prodotto pregiato da regalare in occasioni speciali e da mandare in dono anche nella penisola; poi viene ampiamente nominata dalla scrittrice sarda Premio Nobel per la letteratura Grazia Deledda, che non manca di descriverla e inserirla nella cucina delle feste nei propri romanzi e racconti, definendola efficacemente così: «Famosa è la “pompia” nuorese, cioè il pomo di Adamo cucinato col miele».
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Al giorno d’oggi, sebbene originariamente questo agrume avesse una diffusione maggiore, l’albero della pompìa cresce solo nell’agro di Siniscola (NU) e paesi limitrofi, nella subregione storica della Baronia. Qui è diventato presidio Slow Food e prodotto agroalimentare tradizionale (PAT) della Sardegna, qui si produce anche un liquore dal medesimo frutto e alimenti funzionali, come l’olio essenziale, che sfruttano le sorprendenti proprietà nutraceutiche del prodotto, ricco di vitamine e sali minerali, toccasana per la salute delle vie aeree e dell’intestino, che consentono di classificarlo come super food naturale.