Il tartufo del deserto sardo
Tuvara de arena, tartufo della sabbia. Così i sardi chiamano da sempre questo
prezioso fungo ipogeico, cugino del più blasonato tartufo. Il genere Terfezia, che cresce appunto esclusivamente in terreni sabbiosi e aree calde come Medio Oriente, Nord Africa e Italia insulare, è considerato
una ghiottoneria nel mondo arabo.
Crediti YASSER AL-ZAYYAT
Gli acquirenti della Penisola Araba sono normalmente disposti a pagarlo
40 euro al kilo. Nelle annate siccitose il prezzo supera facilmente i
100 euro al kilo. All’estero i cultori lo chiamano desert truffle, tartufo del deserto. In Siria lo appellano
kemeh,
fagga in Kuwait. C’è un mercato fiorente, con aste, mentre il colosso dell’ecommerce
Ali Baba lo commercializza in tutto il mondo.
Crediti Qatar Eating
Il tartufo del deserto in Sardegna si cucina come un fungo, dopo averlo mondato e pulito con delicatezza,
accompagnato da patate o carciofi, con la carne d’agnello, con il pesce, o come condimento per la pasta, insieme ad olio extravergine, saltato in padella con aglio e prezzemolo.
Crediti Your Middle East
In Sardegna esistono ormai pochi raccoglitori esperti, che sanno come e dove trovarlo,
nella zona di Oristano principalmente. La raccolta avviene in primavera in aperta campagna, nei terreni che i cercatori sanno essere adatti; si procede con un bastone con una punta in acciaio, che serve per tastare palmo a palmo il terreno e individuare il prezioso tubero.
Non esistono cani da tartufi in grado di condurre la ricerca:
ci si affida a chi sa come trovarlo, avendolo imparato dal padre o dal nonno. Una spia della presenza di questo fungo è la presenza di piante del genere
Helianthemum, con cui cresce in una sorta di simbiosi micorrizica. Bisogna riconoscere la pianta giusta, però. Allora
il cercatore affonda delicatamente la punta metallica del bastone e, secondo la resistenza e il “suono” che produce conficcandosi nel terreno, intuisce se lì si cela il prezioso tubero. Come i funghi
è un prodotto deperibile, che va conservato in luogo fresco ed asciutto e consumato in breve tempo.
Sodo come una patata, il suo sapore è delicato, con leggeri aromi di terra e muschio. Non si usa essiccare per conservarlo più a lungo, quindi
il consumo è rigorosamente stagionale. Attualmente si impiega nella cucina casalinga e solo qualche ristorante locale lo propone timidamente.
Foto di Alessandra Guigoni
Nelle fonti sarde lo troviamo citato sin dall’Ottocento. Nel Novecento la nota
Guida Gastronomica del Touring Club Italiano, pubblicata nel 1931, descrive questo tartufo come
una tipicità importante della Sardegna: “
Come tipica produzione sarda è da segnalare la tuvara de arenas, sorta di tartufo che vegeta sotto le sabbie marine, speciali mente sul littorale di Oristano, e che non appartiene alla famiglia dei veri tartufi bianchi e neri della Penisola ma al genere “Terfezia” (Terfezia Leonis). Crediti omayahcooks.com
Ha la forma globulare, il volume variante da una noce a una patata, la pelle ruvida e mascherata da uno straterello di sabbia che vi aderisce fortemente: la carne è di colore bianco-rossiccio, screziato, molle, di tenue colore quasi vinoso, di sapore neutro ma non sgradevole. Questa tuberacea ha ben poco di comune con i tartufi genuini, tuttavia è oggetto di largo consumo”. Dal Secondo Dopoguerra il consumo in Sardegna purtroppo è andato costantemente scemando, sino quasi a scomparire ai giorni nostri.
Si rischia di perdere un prodotto prezioso, particolare e identitario.
Crediti omayahcooks.com
In
Medio Oriente invece molti chef hanno stanno rivisitando le vecchie ricette tradizionali con il
desert truffle, come quella che lo vede accompagnato da
carne di montone, cipolle, riso, cotto nel ghee, il burro chiarificato. Lo troviamo nei menu dei ristoranti fine dining dell’Arabia Saudita visto che è versatile, regge bene la cottura e mediamente meno costoso del “vero” tartufo.
Piace anche a vegetariani e vegani, che lo usano al posto del tofu per i suoi tanti oligoelementi e vitamine. Un fungo sorprendente anche dal punto di vista nutrizionale, dunque, che andrebbe rivalutato e fatto tornare sulle tavole sarde con tutti gli onori.
Foto di copertina:
Crediti Alessandra Guigoni