Una storia lunga tre generazioni che vale la pena raccontare, fatta di 130 anni di passione per la panetteria e la pasticceria.
La Notizia
“Non ci si crede”. È il primo pensiero che tende a venire in mente quando lo sguardo si posa sull’opera architettonica che si sono inventati gli Olivieri, pasticcieri (e non solo) artigiani con cuore e visione grandi, in tutti i sensi. Uno spazio vastissimo, luminoso, pieno di cose buone che catturano vista, olfatto e gola. Cucina, pizzeria, negozio, un totale di duecentoquaranta posti a sedere tra interno ed esterno che nel fine settimana si riempiono di gente anche in un periodo difficile come questo, una specie di agorà del buono.Con una storia davvero lunga e vissuta che vale la pena raccontare, tutto questo in una cittadina del vicentino con una caratteristica piuttosto curiosa: Arzignano produce da sola una percentuale dell’1,6% del prodotto interno lordo dell’Italia intera. Racconta Oliviero: “tutto ha inizio nel 1882, quando il mio bisnonno è arrivato ad Arzignano da Roncà, in una valle vicina, per fare il panificatore. E panificatori siamo rimasti per tre generazioni, perché il pane era un bene di prima necessità e ci si concentrava su quello. Fortuna vuole che mia nonna venisse da una famiglia ricca di qui. Questo ha permesso alla famiglia di sopravvivere alla guerra: su sette panifici soltanto due sono rimasti in piedi, anche perché poi è esploso il fenomeno delle concerie (ora il business principale ad Arzignano, n.d.r.).” Arrivano gli anni del boom economico e così padre e madre di Oliviero iniziano i primi timidi passi nella pasticceria da forno: “il negozio era di fronte a un ricovero e un signore anziano che era stato pasticciere in Piemonte ha insegnato a mamma i primi rudimenti per la preparazione di ciambelle, pasta frolla, crema.” Nel frattempo si era capito che nessuno in famiglia sembrava intenzionato a proseguire questa piccola attività, tanto che sia Oliviero sia i suoi fratelli prendono le loro strade: “Ho scelto di diventare odontotecnico, volevo fosse quella la mia strada, mentre papà voleva frequentassi la scuola alberghiera, non ci parlavamo più”. Allo stesso tempo è proprio Oliviero, pur avendo il mestiere già pronto “ero il più bravo della classe e il preside mi aveva già trovato un posto di lavoro”, quello che tutte le sere dopo la scuola andava ad aiutare i genitori.
Poi, era il 1978, un brutto incidente del padre fa cambiare percorso alla storia. Oliviero stava per aprire il suo studio, ma non se la sentiva di abbandonare la madre costringendola a trovarsi un lavoro da dipendente. “Uniche condizioni erano che rimanessimo solo io e lei, senza i miei fratelli e che mamma mi lasciasse fare quello che avrei voluto, incluso apprendere nuove tecniche.” Così dopo quattro mesi va ad Adria, dove si iniziavano a vedere le prime ciabatte in Italia. “Noi avevamo solo un’impastatrice a forcella. Torno a casa e prendo quella a spirale. Mamma faceva solo pasta dura, cioppe, mantovane e vedendo che ci mettevo il 75% di acqua, sbigottita mi chiedeva cosa avessi intenzione di fare: sarà mica pane, questa roba? Morale della favola al sabato avevamo la fila fuori e dopo sei mesi la macchina si era pagata e così anche mamma era contenta”.
Innovatore e con le idee chiare da sempre, Oliviero inizia a frequentare i corsi di Boscolo all’Etoile di Sottomarina dove incontra come studente anche Luca Montersino. Nel piccolo negozio di trentadue metri quadrati inizia a fare torte nel fine settimana e nel pieno del boom economico gli affari crescono. Nel 1983 Oliviero si sposa e letteralmente costringe la moglie ad andare a lavorare con lui: “Non si può capire com’è andata all’inizio con la mamma (ride n.d.r.), un vero conflitto!”. Dieci anni dopo è la volta di un ampliamento con qualche tavolino e poi ancora il trasferimento in uno stabile comprato dal padre tempo addietro. I metri quadri diventano centoventi, ma siamo ancora lontani da quel che gli Olivieri sono oggi. Oliviero si appassiona alla cioccolata e arriva a realizzare un’azienda di stampi, a pareggio già dal primo anno e poi venduta ai belgi che non la volevano come concorrente: “Mi sono reso conto che aver studiato da odontotecnico era per certi versi un vantaggio, come aver visto certe modellazioni della cera. Perché allora non gli stampi in silicone?”
E gli anni passano e arriva il turno del figlio Nicola. “Era il 2007, l’ho chiamato in disparte, lontano da sua madre perché non ascoltasse e gli ho detto: te ne devi andare, ma non qui vicino, in Inghilterra, devi partire per l’Australia e imparare a far qualcosa. E lui mi guardava esterrefatto, esclamando: ma sono tuo figlio! E io: è proprio per questo, ti do i soldi per il viaggio e se vuoi lì ti trovo un posto in pasticceria tramite un nostro conoscente.” Naturalmente Nicola di pasticceria non ne vuole sentir parlare, così dopo qualche tempo di riso in bianco e zucchine lessate trova da fare…in una pasticceria poco fuori Melbourne, un po’ più grande ma con una struttura simile a quella di famiglia. Racconta Nicola: “per una settimana non mi hanno fatto toccare nulla, lasciandomi fuori a schiacciare i rifiuti nei container. Era una prova, perché di solito, ovviamente, scappavano tutti. Il titolare mi disse: hai carattere, possiamo iniziare a lavorare”. L’esperienza fa riflettere il giovane Nicola: “ho capito che anche a casa c’era qualcosa da costruire, per me era tutto scontato, vedevo mio padre e mia nonna lavorare e non mi pareva di avere una vocazione particolare. È stato allora che ho pensato potesse essere la mia strada.” In quel periodo gli Olivieri aprono anche una catena di gelaterie biologiche che però avrà vita breve a causa di vedute divergenti con i soci. Nicola non vede opportunità di sviluppo e si scoraggia: “Continuavo a tornare in Australia, ero un’anima in pena, non mi davo pace perché non riuscivo a trovare l’opportunità di sviluppo giusta qui. Doveva trattarsi di qualcosa che sentissi mia.”
E finalmente Oliviero trova il modo di chiudere l’affare che tempo prima non era andato in porto e si avvia l’avventura nel magnifico spazio attuale, così Oliviero e Nicola iniziano a lavorare insieme. Ricorda Oliviero: “Non è stato facile, né per me né per lui. Io avevo 52 anni, lui 25 di meno, quindi non poteva esistere che mi potessi far da parte. Voleva sapere tutto dall’inizio alla fine. Poi finalmente tra i nostri consulenti è arrivata Francesca Morandin e il corso sui lievitati l’ha tenuto a Nicola. Lei è riuscita a capirlo, anche a livello psicologico. Così abbiamo finalmente iniziato a parlarci e abbiamo un rapporto bellissimo, mettiamo sul tavolo le questioni e le analizziamo trovando le soluzioni insieme.” C’è anche un fratello, Andrea, bocconiano, che per un po’ ha partecipato al percorso e non è escluso rientri dopo un’esperienza esterna in una multinazionale. È sempre Oliviero a raccontare: “All’inizio navigavo a vista, ma da bottega dobbiamo pensare con una mentalità industriale mantenendo fermo il punto sulla produzione che deve restare a tutti i costi artigianale e di altissima qualità. La convinzione di potercela fare mi è venuta ascoltando gli Alajmo: hanno fatto un centro di produzione imponente mantenendo le stelle. Bisogna standardizzare, ma verso l’alto.”
E la chiacchierata con queste due persone da conoscere termina con una dichiarazione emblematica di Nicola “abbiamo sempre voglia di migliorarci e se pensiamo di essere arrivati siamo già in discesa, io non sono mai contento, la vivo male.” E Oliviero, a chiudere: “Quando non siamo qui o siamo dai nostri competitors a vedere cosa fanno oppure siamo all’estero, c’è sempre da imparare. Perché questo per noi non è un lavoro, è la nostra passione.”