Top Chef

Tom Kerridge, anche i grandi piangono: “Ho 6 locali, ma con la ristorazione perdo soldi”

di:
Elisa Erriu
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“Ho sei locali: tre operano con un profitto molto basso, due quasi in pareggio e uno sta perdendo un sacco di soldi. È una continua lotta tra i piatti che girano e i soldi che si muovono per far andare avanti l'attività".

La notizia

Dietro le luci soffuse delle sale stellate e le impeccabili geometrie di piatti da alta cucina, si nasconde spesso un meccanismo traballante fatto di conti che non tornano, spese da giocoliere e margini che, più che dorati, sono ridotti all’osso. Lo sa bene Tom Kerridge, chef britannico amatissimo dalla TV e dalla Michelin, che ha deciso di raccontare senza filtri quanto possa essere difficile — persino per un nome del suo calibro — mandare avanti un gruppo di ristoranti nel panorama attuale della ristorazione.

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In una conversazione schietta con The Guardian, Kerridge, 51 anni e ormai volto familiare anche per il pubblico generalista grazie alle sue apparizioni in programmi come MasterChef, Saturday Kitchen e Food and Drink su BBC Two, ha confessato che almeno metà delle sue sei attività riescono a malapena a coprire i costi. “Tre ristoranti operano con un profitto davvero minimo, due sono appena in pari, e uno sta perdendo un sacco di soldi”, ha spiegato. “È una lotta continua, un gioco di equilibrismo tra piatti che girano e soldi che si spostano per tenere tutto in funzione.” Una dichiarazione che stona con l’immagine patinata del cuoco di successo, soprattutto se si pensa che The Hand & Flowers, il pub che gestisce con la moglie Beth dal 2005, è stato il primo pub in assoluto nel Regno Unito a ricevere due stelle Michelin. E che il suo secondo locale, The Coach, ha ricevuto a sua volta una stella. Ma dietro alle insegne premiate, il quotidiano è ben più spigoloso.

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Jamie May, capo chef proprio a The Hand & Flowers, ha rincarato la dose con un paragone eloquente: “Mi preparo ogni giorno come se andassi in guerra.” Una frase che dà la misura dell’instabilità quotidiana che vive una brigata di cucina anche in un ristorante di altissimo livello. Il pubblico arriva, certo, ma ciò non significa necessariamente che i conti si chiudano in positivo. E questa non è una realtà circoscritta al piccolo mondo di Kerridge. Anche Jeremy Clarkson, ex volto di Top Gear e oggi improbabile oste del Farmer’s Dog (pub aperto nel 2024), ha lamentato sulle pagine del Times che “trasformare le visite dei clienti in profitti è quasi impossibile”. Il punto è che oggi, la ristorazione — anche quella di lusso — è diventata un campo minato: costi alle stelle, inflazione, crisi del personale, e clienti sempre più esigenti, spesso poco disposti a comprendere cosa c’è davvero dietro il prezzo di un piatto. Kerridge ne sa qualcosa: le polemiche non sono mancate quando ha osato proporre fish and chips a 35 sterline nei locali di Harrods, oppure un taglio di entrecôte da 87 sterline nel suo pub a Buckinghamshire.

Hand and Flowers Fish and Chips
 

Ma lo chef ha imparato a incassare con grazia. “Ormai ho fatto il callo alle critiche”, ha raccontato alla Radio Times nel 2023. “Mi vedono come un uomo del popolo, quindi quando metto in menu fish and chips a 35 sterline, mi gridano contro per il prezzo. Ma chi mi critica non capisce cosa c’è dietro quel prezzo.” Dietro c’è, per esempio, la volontà di offrire ingredienti di altissima qualità, la ricerca continua, il lavoro di una squadra numerosa e competente. Ma anche la necessità di affrontare un mercato dove persino i ristoranti più acclamati si trovano a raschiare il fondo del barile per non affondare. Fish and chips, del resto, per Kerridge non è solo un piatto: è un simbolo. “Quel piatto era sempre considerato un cibo veloce ed economico. Lo capisco, perché è il contesto da cui provengo”, ha detto. Ma trasformarlo in un’esperienza gastronomica degna di Harrods significa ripensarlo da cima a fondo — e questo ha un costo. Il racconto di Kerridge, tra ammissioni pungenti e spunti di riflessione, è un invito a guardare oltre la superficie dorata dei ristoranti premiati, e ad accendere la luce sul backstage di un settore che oggi vive una crisi strutturale. Perché se perfino i grandi nomi devono fare i conti con bilanci risicati e strategie di sopravvivenza quotidiana, è evidente che il “modello ristorante” — così come l’abbiamo conosciuto fino a pochi anni fa — è oggi sotto pressione.

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Il racconto di Tom Kerridge è una boccata d’aria fresca in un mondo che spesso si limita a narrare solo il trionfo e mai l’inciampo. Un promemoria necessario per chi si avvicina al mondo della ristorazione con occhi sognanti, ma anche per chi si siede a tavola senza pensare a ciò che accade dietro quella porta a battente da cui escono piatti perfetti e chef stremati. In fin dei conti, anche i re della cucina, come Kerridge, sanno che il mestiere dell’oste oggi più che mai somiglia a un numero da circo: si cammina su un filo sottile, tenendo in equilibrio costi, sogni, margini e aspettative. Ma quando la luce si spegne sulla sala, resta soltanto il rumore sommesso delle proprie paure, seguito dal suono delle lavastoviglie.

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