"Rispettiamo lo spirito del piatto, ma cerchiamo di migliorarne l'esecuzione”. Jean-François Piège dice la sua sul progresso in cucina.
L'opinione
La gastronomia non è fatta per restare congelata nel passato; può invece evolvere senza rinunciare alla propria identità, accogliendo con slancio nuove forme d'espressione. Questo il prezioso messaggio lanciato dal top chef Jean-François Piège al Sirha Food Forum, dove l'eterna faida fra patrimonio culturale e sviluppo tecnico ha aperto una terza via all'insegna della trasmissione dei saperi. Piège paragona la cucina al linguaggio, in una sorta di metafora contemporanea: entrambi necessitano di essere costantemente esercitati ed arricchiti di contenuti attuali. Il rischio dell'immobilismo? Che il lessico culinario non si aggiorni, generando una "lingua morta" e anacronistica.

"Una ricetta non è una prigione", afferma nelle dichiarazioni riportate da Food&Sens, anche perché "non esiste una verità assoluta ai fornelli, esistono storie di cibo e tentativi di tramandarle". Analogamente all'Italia e qualsiasi altro paese del mondo, la Francia vanta preparazioni regionali profondamente connesse con la geografia del luogo. Oltralpe, ad esempio, i ravioli di Royan cambiano textures, ripieno, involucro e condimento passando da un piccolo villaggio all'altro. Dunque, di fronte a tale diversità, occorre accettare l'assenza di regole fisse e tenersi pronti a rileggere con criterio quanto ereditato.

"Rispettiamo lo spirito del piatto, ma cerchiamo di migliorarne l'esecuzione". Come ha fatto Piège con la Tarte Tatin, dove la pasta e le mele vengono cotte separatamente per "spingere" il contrasto fra la pastosità della farcia e la tensione della sfoglia. Qui entra in gioco l'ultima opera del cuoco, un poderoso volume di 1800 piatti che restituiscono al lettore il sentimento popolare delle piccole comunità francesi e, al contempo, perfezionano il risultato finale amplificando le sensazioni all'assaggio. Ne deriva un'enciclopedia del gusto aggiornata, in cui figurano pure cibi sepolti dall'oblio e meritevoli di tutela -vedi lo stufato di patate delle Ardenne. "Questi evergreen modesti rappresentano un tesoro inesauribile. Offrono la testimonianza di un'epoca, di uno stile di vita, di un modo di mangiare".

Con 10 insegne all'attivo, Piège crede fortemente nella territorialità e l'ha resa un principio cardine della pianificazione del menu; post COVID ha persino incrementato il reperimento di materie prime legate alle aree meno note -sebbene ricche di risorse- del circondario contadino: "Perché cercare altrove ciò che abbiamo a casa nostra?" chiede al pubblico del congresso. Altro aspetto chiave, la libertà del team: "Un ristorante, alla fine, è un'estensione dello chef. Se non sei fisicamente presente, fai in modo che abbia il tuo DNA". Lui dà l'impronta, gli altri procedono in autonomia. Del resto, la ristorazione non va nemmeno (sempre) intesa come un discorso complesso. Anzi, "il nostro compito è compiacere gli altri. È semplicissimo", chiosa Piège con un sorriso.
