Quel che si trova nei piatti di Feria è notevole, con sapori spesso inconsueti ma di un’immediatezza che dà vero godimento. La cucina? Decisamente molto fedele all’Indonesia, fatta eccezione per un uso più mitigato dei gradi di piccantezza.
La storia
Ne ha viste passare tante di cose buone questo posto, prima di diventare Feria. Rispetto al centro della deliziosa città Treviso, il locale è defilato: questo implica una caratteristica non scontata che è il parcheggio senza stress, anche se non è certo un tema, quando ci si ritrova a mangiare (benissimo, va detto da subito) in un ambiente molto moderno, cosmopolita, elegante e luminoso. C’è un saté bar - meno impegnativo - e poi, nella sala più grande con la cucina a vista, il fine dining che abbiamo visitato più volte con estrema soddisfazione.
Qui non si parla di tradizione locale, troppo spesso, ahinoi, mortificata da queste parti, perché Marco Feltrin ha voluto portare a Treviso la sua esperienza asiatica che fa perno sull’Indonesia. Accanto a lui la moglie End Sriyanti e un asso della sala come Regis Ramos Freitas, già tra queste pareti come maître ai tempi di Undicesimo Vineria, affiancato dal giovanissimo ma molto preparato Juan Carlos Bojacá Herrera: ecco un altro motivo per farci un salto, dato che, oltre al cibo, anche le bevande, con un’attenzione al mondo dei vini naturali intelligenti, sono un vero punto di vanto.
La storia di Feltrin, classe 1983, è quella di un ragazzo appena diplomato con le idee non ancora a fuoco e tanta curiosità nei confronti del mondo: “Terminato il liceo scientifico ero un po’ confuso e ho deciso di fare un anno in pizzeria per capire cosa fare nel mio futuro. La passione è arrivata tardi, perché questo è stato il mio primo approccio al mondo del cibo, dato che a casa non sapevo farmi neanche un panino.” Ci rimane un anno: “Era una tipica pizzeria veneta di campagna, quindi non vedevo tanta attenzione per la ricerca (ride, n.d.r.)”. Si iscrive quindi a lingue e letterature straniere, arrivando quasi in fondo al percorso: “Mi è servito tanto per allargare la mia cultura personale, ne ho approfittato per leggere a più non posso, ma non ho portato a termine gli studi perché mi sono chiesto cosa sarei andato a fare; e una carriera in quell’ambito, magari da insegnante, non era tanto nelle mie corde”.
Così Marco ritorna al mondo del cibo e proprio nello stesso immobile di Feria, da aiutante di un cuoco vecchio stampo: “Si chiamava Vineria e allora andava molto forte, si faceva cucina veneta semplice, con prodotti Slow Food”. Una breve esperienza in un altro locale della stessa compagnia da chef -“mi hanno mandato a gestirlo, mi è servito, ma in quella fase io avevo più bisogno di un maestro che di essere abbandonato solo”. La vera svolta avviene quando, in vacanza a Londra, fa un colloquio all’Harry’s Bar a Mayfair: “Lì sono entrato in una cucina un po’ più seria, impostata con una brigata e le partite. Pensavo la mia esperienza potesse essere un buon punto per partire, invece era un’illusione e ho pigliato un bel po’ di mazzate. Londra però è una trappola per gli italiani: stai in appartamento insieme, lavori in un ristorante italiano e ti chiudi in una bolla”. Altri cambiamenti, quindi, con Heinz Beck a Hyde Park Corner, poi al bistellato Hibiscus con il francese Claude Bosi e ancora da Nobu: “La tappa più importante per me, la prima volta che ho visto una cucina diversa.”
Finito il periodo londinese, Feltrin va in Australia: “Un ex collega ha aperto lì, mi la chiesto una mano per 6 mesi che sono diventati 3 anni: c’era una qualità della vita eccezionale e una cucina che nel fine dining era ancora fuori dai riflettori ma fatta da gente in gamba e con un bel budget a disposizione”. Nel frattempo Marco conosce a Singapore quella che sarebbe diventata sua moglie: “Dovevo capire se era meglio che andassi io in Indonesia o lei venisse in Australia. Alla fine sono andato a Giakarta e ci sono rimasto 3 anni; ero chef di un ristorante italiano all’interno di un super-hotel e lì dovevi accontentare tutti, anche se in una piccola parte del menu mi potevo sbizzarrire. Inoltre, tutto il mio team di venti persone era indonesiano, così sono riuscito a carpire un bel po’ di segreti”. La coppia torna in Italia nel periodo della pandemia e Feria apre a gennaio del 2023.
Il ristorante e i piatti
La cucina è decisamente molto fedele all’Indonesia, fatta eccezione forse per un uso più mitigato dei gradi di piccantezza: “Non cerco mai una sintesi tra Indonesia e Italia; il punto di partenza dei piatti sono in genere una salsa o una spezia, di certo non faccio ‘la mia versione’ di un piatto tipico, perché non la trovo interessante. Mi piace anche la cucina thai, un po’ più complessa rispetto a quella indonesiana. La cosa interessante è che da quest’anno ho iniziato a collaborare con l’ambasciata d’Indonesia, hanno iniziato a supportarci e ci portano spezie introvabili sul mercato italiano, perché non c’è nessuno che le importa”.
In termini di gusto e di livello tecnico, quel che si trova nei piatti di Feria è notevole, con sapori spesso inconsueti ma di un’immediatezza che dà vero godimento. Vale la pena citare la sequenza di snack di benvenuto, un inizio scoppiettante: ecco quindi le croccanti Krupuk, chips di noodles di riso e wafer di okra. Segue il Larb gai, un morbido taco di tapioca accompagnato da un’emulsione di una tipica insalata tailandese a base di pollo, menta, lime e peperoncino. Mangga bakar richiama un cibo di strada in cui il mango verde viene accompagnato dal peperoncino: mango acerbo alla griglia, condito con polvere di gamberi fermentati e sommacco. Jimbarang (una località balinese nota per le cotture al barbecue) è invece uno scrigno di venere affumicato e condito con ketchup di soia e sambal.
Il percorso di degustazione inizia con Gohu, una sontuosa ventresca di tonno di Gaudenzi frollata una settimana, con leche de tigre alla guava, uova di trota e crumble di soia. Gado è invece una saporita rapa bianca glassata al miso con crema di arachidi con tuorlo d’uovo marinato, emulsione di tamarindo, curry di shitake e cardoncelli. Hati è un altro piccolo capolavoro di gusto e consistenze: animella cotta al barbecue accompagnata da curry di vongole al cumino e rawon, un curry indonesiano realizzato con il kluwak, una tipica noce che viene fermentata e tostata per eliminarne la parte tossica che contiene cianuro.
Mie Kecombrang sono i golosi noodles di pasta fresca con emulsione di calamari, fiore di zenzero (kecombrang) e sambal. Il piatto viene completato con calamari cacciaroli marinati, shiso e brodo di maiale allo zenzero. Elegante Ikan, l’anguilla cotta al barbecue cui si abbina una salsa teriyaki fatta con i succhi della fermentazione dell’ananas e cavolo pak choi arrosto.
Per Bebek Betutu Feltrin usa l’anatra di Scudellaro cotta in carcassa al barbecue, con betutu (un tipico curry balinese di lime e curcuma, in questo caso preparato con le prugne gialle al posto del lime), crema di mais fermentato, fondo dello stesso volatile al pepe lungo di Java e basilico thai. Le cosce vengono cotte confit e accompagnate da sambal durian, una salsa di peperoncino e durian. Anche con la parte dolce non si scende di tono: l’ispirazione per Kretek nasce da una sigaretta indonesiana che porta lo stesso nome, aromatizzata ai chiodi di garofano.
Viene servita con gelato di fichi e tè affumicato lapsang souchong, crumble di cacao ai chiodi di garofano, fichi freschi, ganache al cioccolato, caramello di koji tostato e biscotto gelato. Una cucina eccellente, in tutte le sue sfumature.
Contatti
Feria
Via della Quercia, 8, 31100 Treviso TV
Telefono: 0422 174 8017