Originario di Tarquinia, ventinove anni, Andrea ha maturato esperienze in alcune delle cucine più blasonate, diventando il primo chef italiano stellato della Norvegia dopo soli 7 mesi di apertura del Savage.
Foto dei piatti di Lorenzo Noccioli
Lo chef e il ristorante
A Oslo, in una limpida serata al calar del sole, è facile imbattersi in un tramonto dove il cielo si incendia delle stesse tonalità infuocate che Edvard Munch catturò nel suo Urlo, quasi a implicare che arte e natura in questo luogo si fondono meglio che in altri. Sebbene abbia mantenuto un profondo legame con la natura, che continua a essere parte integrante della vita cittadina anche nei gelidi inverni nordici, la capitale norvegese ha vissuto una trasformazione straordinaria dal punto di vista architettonico. Negli ultimi anni, la città è diventata una delle mete culturali più interessanti del Nord Europa.
E mentre percorriamo in auto il nuovo quartiere Bjorvika, accompagnati dallo chef Andrea Selvaggini del ristorante Savage, capiamo perché. L’estetica dei nuovi musei è ammaliante, il Munch, trasferito nel 2021 nella nuova sede, oltre a una delle quattro versioni dell’Urlo offre un panorama spettacolare. Di fronte, la splendida biblioteca pubblica iper futuristica che di domenica si affolla di famiglie con bambini per cui vengono organizzate attività ludiche e didattiche. Le passeggiate si fanno sul tetto dell’avveniristico Teatro dell’Opera, che incarna perfettamente il principio di accessibilità e interazione con l’opera, concepita proprio per camminarci sopra. Sotto lo straordinario tetto si trovano scenografie uniche, le sartorie visibili dalle enormi vetrate sulla strada.
“Abito qui da sette anni - ci racconta chef Selvaggini - prima con mia moglie lavoravamo insieme, ora lei si occupa di una grande maison di champagne… poco più di un anno fa è arrivata nostra figlia, il costo della vita a Oslo è indubbiamente alto, ma gli stipendi sono commisurati e la qualità della vita è notevole, credo comunque che prima o poi torneremo in Italia”. Originario di Tarquinia, ventinove anni, Andrea ha un eloquio scattante e ricco di conoscenza, ha maturato esperienze in alcune delle cucine più blasonate, dopo vari viaggi in Lussemburgo, in Spagna al Denia di Quique Dacosta, in Messico, torna per un periodo in Lazio da Pascucci al Porticciolo per poi volare in Norvegia. Dove inizia il suo percorso al tristellato Maaemo e successivamente al Kontrast, poi nel 2022 arriva al Revier Hotel, dove acquisisce una piccola quota del ristorante Savage, di proprietà di un immobiliarista di Oslo e a giugno 2023, dopo soli sette mesi arriva la stella Michelin.
“Quello che adoro delle capitali europee - racconta lo chef - è che la commistione di diverse culture gastronomiche è sempre riuscita e i vari ristoranti con diverse proposte internazionali, di qualsiasi livello, sono sempre buoni, mentre dell’Italia difficilmente si può dire lo stesso. La mescolanza di culture ha influenzato molto anche il mio tipo di cucina." Insomma Andrea è un autentico cittadino globale, con una forma mentis realmente cosmopolita, ci accompagna a Mathallen, il mercato coperto, dove in parte si rifornisce, che all’ora di pranzo richiama autoctoni e turisti nei ristorantini di varie nazionalità. “Ora vi porto da Annis, uno dei miei luoghi preferiti - ci dice Andrea - da lontano, dal design sembra una lussuosa gioielleria, poi dalle vetrine capirete di cosa si tratta”.
In effetti sembra una specie di Tiffany, poi avvicinandosi si vede che la vetrina è la cella di maturazione di quarti bovino di una splendida macelleria, nel salotto della città. Luogo di culto per appassionati buongustai, pregno di specialità gastronomiche da tutto il mondo, compresa l’Italia, con prezzi che si avvicinano oggettivamente più al mondo della gemmologia che a quello delle carni. Dirigendoci al Rivier, l’albergo che ospita il Savage, costeggiamo il fiordo, con le sue saune pubbliche, fra relax, cultura, eventi musicali da alternare ai bagni nordici. L’hotel è a pochi passi dal National Museum-Architecture e dalla fortezza di Akershus, con il suo parco con vista stupenda sul porto. L’atmosfera esprime quell’eleganza essenziale che solo lo stile scandinavo riesce a fare così bene, l’uso di materiali naturali, il verde delle numerose piante, alle pareti le tele pop di Constance Tenvik, in mostra anche al Museo Munch.
“Abbiamo pensato a una situazione dinamica per le cena - ci illustra chef Selvaggini - quindi l’aperitivo lo serviamo a un grande tavolo unico nella nostra Green Lounge che inizialmente era stata pensata per essere una fioreria annessa al ristorante, ma non abbiamo trovato nessuno che volesse vendere fiori di sera, nell’orario di apertura. Quindi l’abbiamo comunque riempita di piante, ma per circondare i nostri ospiti di verde mentre sorseggiano un calice di champagne Louis Roederer Collection 244”.
I piatti
L’unico fiore che arriva al tavolo è commestibile, il Sunflower, una tuile croccante di patate a forma di petali che compongono un girasole, un gel di champagne, una emulsione di ostriche e caviale Oscietra a simulare il disco centrale. Ricodifica della catalana, la tartelletta di aragosta, sedano, carote e salsa aioli, precede un’ottima tartare di renna inserita tra due dischi di patate dolci al nero di seppia e capperi d’aglio. Il quarto assaggio chiude la prima parte del menu con un donut al formaggio wrångebäck, di latte vaccino, tipico svedese, con aglio nero, maionese al tartufo e lamelle di tartufo che arriva ogni settimana dall'Umbria.
Molto in scioltezza, si viene accompagnati in sala, dove si può scegliere, in alternativa al tavolo, di sedersi al bancone per il meu corto e un maggior tasso di informalità, sebbene tutta la sala emani convivialità e disinvoltura nel servizio, lo chef e parte della brigata esce spesso dalla cucina per presentare i piatti. Un menu di ventuno corse, suddiviso in quattro sezioni, che di fatto racchiudono un connubio strepitoso di sapore ed estetica in un boccone. Un racconto di quattro ecosistemi che parte dalle profondità dell'oceano per arrivare in città passando dalla costa fino a spingersi nell'entroterra e trasformarsi in un tributo alla natura più selvaggia. Il calamaro viene da Skagerrak, a metà tra Norvegia e Danimarca , servito su un foglio di kombu bianca, accompagnato da una insalatina rinfrescante di cetriolo, limone salato, basilico thai, il tutto appoggiato sopra una frolla del nero del calamaro e con limone salato.
Uno dei cinque tonni che passano ogni anno dal Mare di Norvegia, come da statistiche, è finito nella favolosa tartelletta che ne contiene l’otoro, quindi la pancia, condita nello stile giapponese classico, con salsa di soia invecchiata, wasabi fresco, myoga e caviale Oscietra. Piatto firma di Selvaggini, un sandwich di scampi a forma di chela, ripieno di una insalata di chele, servito con una salsa a tre strati. Alla base, un gel preservato di abete, al centro Rømme una tipica panna acida condita con erbe fresche e un'emulsione di funghi porcini. “Quello che vi chiediamo - ci dice lo chef - è di pensare come uno scampo, prendere la chela con le mani e scavare nella sabbia, che qui è la salsa, e mangiare le chips di granchietti”.
La ricciola viene pescata a Fredrikstad, a un’ora e mezza d’auto da Oslo e trattata con la tecnica Ikejime. Leggermente salata, dopo un invecchiamento di quattro giorni viene servita con un riso di Hokkaido, dalla consistenza soffice e leggermente dolce, a cui si aggiunge alga nori e chili crunch affumicato fatto in casa. Il pesce è condito con finger lime, uva spina acerba, dashi di cozze e l'olio del del chili crunch. A rappresentare la costa, la capasanta, precisamente di Steigen, sulla costa nord ovest. Servita cruda, tagliata a forma di stella, perché è un mollusco di cui sono ghiotte le stelle marine. Condita con cuore di renna affumicato dalla Lapponia, ribes nero acerbo, burro nocciola con curry di alghe e Löjrom, uova di coregoni che si trovano solo a Kalix in Svezia. Di solito servite ai banchetti della cerimonia del Premio Nobel.
Il Fenalår, è una coscia d’agnello tradizionale norvegese che viene lavorata come un prosciutto, a volte è anche affumicato, Selvaggini ne fa un ragù, a cui aggiunge aglio orsino, zucca e tartufo, con cui condisce degli gnocchi di zucca, che arriva peraltro dalla stessa fattoria dell’ovino. Un mostarda di zucca home made e un brodo di ossa del fenelår e cipolla caramellata aggiungono intensità di sapore alla texture eterea della pasta.
Rappresentare la capitale norvegese in un piatto non è l’impresa più facile, ma lo chef ci riesce con arguzia rileggendo lo Skagen, tradizionalmente una fetta di pane che sorregge una insalatina di gamberi. A Savage diventa una meringa di mela, leggermente scavata che contiene king crab lappone, panna acida con erbe e caviale. L’anguilla affumicata del lago Mjøsa, fri i più grandi in Norvegia, è appoggiata a una brandade che ne rinfranca l’umami, accostata a un cavolo rapa, da una fattoria biodinamica, marinato in olio di koji e ajo blanco che ne argina il coté grasso.
Hurum Mølle è il mulino che rifornisce Savage di tutte le farine che produce, grano, segale, farro e come è d’uopo fuori dall’Italia, il pane viene proposto, insieme al burro, come portata. La virata nell'entroterra la fanno i superlativi tagliolini di grano arso, mantecati al grasso di pollo arrosto e conditi con finferli e trombette dei morti, a cui si aggiungono castagne crude e tartufo d’Alba.
Il cervo matura per due settimane, “la prima settimana - racconta Selvaggini - nella cella di Annis, la macelleria dove vi ho portato stamattina e la seconda settimana qui al ristorante. Puliamo la carne, con le ossa facciamo la salsa e il grasso lo usiamo per spennellare in cottura. Viene affumicato al ginepro raccolto da noi e poi finito alla brace. Con cinque o sei intervalli fra griglia e riposo in modo che non presenti nessun bordo grigio nella carne.” E infatti è di una scioglievolezza incredibile, viene servito con visciole, un purè con miso di pane e segale, vellutata di topinambur e fiori di sambuco e il suo jus con diversi tipi di pepe.
Provvido il sorbetto di olivello spinoso che combina alla base una crema pasticcera Earl Grey, gelée di tè, polvere di matcha, parfait di yogurt e miele proveniente da apicoltori appena fuori la città di Oslo. Completano mandorle caramellate e una salsa di miele fermentato.
Poi biscotto danese farcito con una namelaca di asperula e ribes nero, toffee di rami di ribes nero, conserva di ribes nero. Risolatte al camemoro, frutto raro, conosciuto anche come lampone artico. Sandwich di sugar kelp, un’alga dolce, caramellata, ripieno di ganache di kombu arrosto, toffee di alga dulse. Gelato sandwich al tartufo e pecan. Foglie di yuzu, sudachi, bergamotto, ganache di miso al sake, crema dei tre agrumi.
Il pairing intervalla ai vini piacevolissime infusioni di frutti nel tè con l’aggiunta di varie spezie, come quello di uva spina biologica con infuso di curcuma e un infuso di foglie di alloro, o il succo di ribes bianco infuso con camomilla fermentata.
Contatti
Savage
Nedre Slottsgate 2, 0153 Oslo, Norvegia
Telefono: +47 90 48 84 40