Chef

Eduardo Garcìa, titolare di 11 ristoranti “Non avevo soldi, lavoravo nei campi. Oggi il mio riscatto”

di:
Asia Torreggianti
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copertina Eduardo Garcia

Una testimonianza commovente e profonda, quella di Eduardo Garcìa, costretto da piccolo a trasferirsi dal Messico agli Stati Uniti per lavorare nei campi assieme alla famiglia. Dopo un periodo buio segnato dalla prigione, dalla morte del padre e dall’allontanamento dal figlio, oggi è imprenditore di successo nel settore della ristorazione, possiede 11 locali assieme a sua moglie Gaby e ai suoi soci, dipendenti fedelissimi e ligi al dovere.  

La  notizia 

Nato a Guanajuato, Eduardo Garcìa è un uomo provato, che porta sulle spalle l’eco di un passato intenso e travagliato. Nella vita ne ha passate tante, a 9 anni lascia la sua città d’origine, assieme a sua madre e suo fratello, per raggiungere la California, dove il padre, emigrato tempo prima, li attendeva. Cresciuto tra privazioni e sfide, sa bene cosa vuol dire sacrificarsi, abituato a sgomitare sin da bambino per affermarsi.

Eduardo Garcia 1 PS
 

Lavorava come una macchina da guerra nei campi degli Stati Uniti assieme alla famiglia; all’epoca si spostavano in continuazione sulla Route 85 alla ricerca di nuove opportunità. Motivo per cui era praticamente impossibile che riuscisse a concludere gli studi e ad arrivare al diploma. All’età di 16 anni trovò posto come lavapiatti ad Atalanta grazie all’aiuto di un cugino. Successivamente lo chef gli propose di preparare le insalate al bancone “Mi notò un cuoco portoricano che mi suggerì di presentarmi alla Brasserie Lecoz, di Eric Ripert, lo stesso di Le Berardin a NY dichiara Eduardo a El Pais.

Dish Maximo Bistrot PS
 

“Inizialmente non erano interessati, per loro sembravo troppo piccolo. Ma quando tornai con una carta d’identità falsa mi diedero una seconda chance, non avevo mai visto una cucina così! C’erano ragazzi vestiti di bianco, che raccontavano delle loro esperienze in giro per il mondo. Lì realizzavo terrine di coniglio, paté di maiale, torchon di foie gras, zuppe. Ero operativo dalle sette del mattino fino alle undici di sera, tutti i giorni, barcamenandomi fra due occupazioni per sopravvivere. Progredivo nello svolgere le mie mansioni, e ogni sei mesi avanzavo di livello. Tre anni stupendi finché non finii in prigione. E continua “Avevo quasi 19 anni e alcuni amici di quartiere mi chiesero di partecipare a una rapina, purtroppo la polizia identificò la mia Mustang, così ho trascorso quattro anni nella Smith State Prison, nello Stato della Georgia”.

Maximo Bistrot PS
 

Dopo il rilascio fu deportato in Messico, d’altronde era ancora un immigrato. Trascorsero sei mesi prima che trovasse il coraggio di riattraversare nuovamente il confine, mosso da una telefonata in cui veniva avvisato dello stato di salute di suo padre, malato di cancro. “La mia permanenza negli USA durò sette anni; ottenni una tessera di previdenza sociale (falsificata) e mi assunsero in un locale del gruppo Sedgwickr, guadagnavo 3500 dollari a settimana, spaccandomi la schiena dalle quattro del mattino. Nel frattempo, mio padre morì e nacque il mio primogenito, finché nel 2007, Jennifer Velásquez, la direttrice, accompagnata da tre agenti dell'ICE mi disse: ‘Eddie, sono qui per te’”.

Gaby Maximo Bistrot PS
 
Chef Eduardo Garcia PS
 

“Da quel momento il mio calvario, non ho più rivisto mio figlio una volta rientrato in patria. Mi dissero che se avessi riprovato a fare ritorno in America mi avrebbero condannato a 20 anni di prigione federale. In seguito ad altri buchi nell’acqua, cercai su Google chi fosse il migliore del paese nel settore, saltò fuori il nome di Enrique Olvera. Lo chiamai l’indomani, e dopo un breve colloquio a Città del Messico, mi confermò che avrei potuto far parte del team. In quel frangente conobbi Gaby, mia moglie, e nel 2011 decidemmo insieme di aprire Maximo, con soli 400 dollari in tasca. Ora possediamo 11 ristoranti, ciascuno con il rispettivo marchio. I soci con cui collaboriamo sono i nostri stessi dipendenti, non vogliamo arricchire chi ha già molto, ma chi ne ha davvero bisogno”.

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