È una cucina romana evolutiva, quella che Luciano Monosilio serve a Villa Agrippina. Follie senza stravaganze, piuttosto il gusto diretto, la grinta implacabile e la riflessività fulminante dei classici territoriali, racchiusi fra le virgolette dell’interpretazione d’autore.
Ritratti di Albeto Blasetti- Foto dei piatti di Cultivar
Il ristorante
La cucina romana va di moda: i suoi gusti diretti, l’implacabile grinta e la riflessività fulminante, condensata in gesti conchiusi, centrano il bersaglio della contemporaneità. Ne sa qualcosa Luciano Monosilio, che conta fra i suoi interpreti affilati.
Nato ad Albano Laziale trentanove anni fa, dopo l’alberghiero a Capannelle è passato da Roscioli, Uliassi ed Enrico Crippa, prima di stringere uno storico sodalizio con Alessandro Pipero nel suo paese, poi nella capitale, al Rex e in Corso Vittorio Emanuele. Ma per due anni ha cucinato anche in Sudafrica, dove tuttora ha un pasta bar a Città del Capo.
Un matrimonio che si è chiuso nel 2018, quando ha aperto Luciano Cucina Italiana, scegliendo da patron un concept informale. “Ma non è più una trattoria, ormai è un ristorante vero e proprio. Sono rimasti tre piatti della tradizione: la carbonara, l’amatriciana e la cacio e pepe. Per il resto lavoriamo con tanti produttori del Lazio, rielaborando i sapori del territorio in un modo che definirei istintivo e intuitivo. Il focus è la riconoscibilità di ciò che si mangia, qualcosa di lineare e di pulito, che cambia continuamente”.
Nel 2022, poi, ha colto l’opportunità di dirigere il ristorante dell’hotel Villa Agrippina, splendido cinque stelle a due passi dal centro. “Volevo riavvicinarmi al fine dining, per capire se ancora mi piacesse. E mi è sembrata l’occasione giusta, perché ci rivolgiamo alla clientela dell’hotel, anche se vorremmo coinvolgere sempre più romani. Quindi ci sono rimandi alla tradizione capitolina e alla cucina italiana, ma anche alla Francia, nelle basi e nelle presentazioni”.
Con lui il direttore Mario Garofalo, il sommelier Marco Fantilli, che amministra una carta di 280 etichette, l’executive Andrea Zucchi e il suo secondo Fabio Ciarparella. Di fatto ai cinque servizi serali presenzia quasi sempre, mentre la mattina di solito si ferma da Luciano.
I piatti
Il menu degustazione si compone di 6 corse a 150 euro, da cui è possibile selezionarne 4 a 100. Ma c’è anche la carta con la celebre carbonara, signature dell’epoca piperiana che conquistò persino il New York Times.
Di fatto ogni piatto prende spunto da un accostamento della tradizione, che viene riletto in chiave personale. Cominciando dall’”Antipasto misto” degli appetizer: l’aspic di melanzane alla brace per i sottoli, la “ricotta” vegana di latte di mandorle cagliato per il formaggio, il prosciutto cotto affumicato della casa per i salumi. Nel cestino del pane taralli, grissini, pagnotta di grano tumminia, cialda ai semi di chia e più avanti focaccia. Monosilio ha sangue abruzzese. Per questo ha voluto richiudere un classico secondo laziale, l’agnello con i carciofi, dentro la crespella di un antipasto.
Un po’ come le greggi che nella transumanza vanno avanti e indietro fra le due regioni. Quindi l’agnello stufato e condito con carciofi saltati in padella, racchiuso nella crespella poi gratinata sotto la salamandra e rifinita da una spuma di pecorino bruciata al cannello. Perché le tostature spinte sono una firma dello chef. “L’amaro è fondamentale perché aiuta il pasto, attiva la digestione e il palato, ma va sempre messo in equilibrio”. Un’altra tendenza odierna è il vintage, se non addirittura il kitsch, qui rappresentato dal pennone ai ricci di mare con guanciale e vodka.
“Amo il colore rosa della pennetta alla vodka, ma volevo un sapore diverso, mari e monti. Quindi la salsa di burro acido chiarificato allo scalogno ed emulsionato ai ricci, che emula panna e pomodoro; per il prosciutto cotto il guanciale marinato alla vodka, che pulisce”. A propiziare la crasi con la zozzona è un fondo di ossa di maiale tostate, che insieme alla setosità della salsa ne riproduce il profilo sensoriale.
Guarda alla romanità lo gnocco di semolino trasportato al mare con scampi crudi, kefir, scorze di limone marinato, salsa simil cacciucco e foglie di spinaci. Come il petto di vitello alla fornara, grande classico approcciato con rispetto, dove la carne viene cotta al forno con sedano, carota, cipolla e vino bianco, pressata, tagliata a freddo e rigenerata al vapore. Sul piatto con tre salse (acciuga, carota e sedano) e un velo di brodo chiaro di vitello emulsionato al burro e limone, per una sensazione di blanquette. A fianco la polpetta di vitello lesso su cuore di uovo di quaglia e insalata.
Il polipiatto consente a Monosilio di centrare lo scarto zero, utilizzando l’ingrediente nella sua interezza. Succede anche nel rombo arrosto con patate, dove il filetto alla piastra con beurre blanc e uova di aringa affianca la mousse di pollo con tortino di patate e salsa allo zafferano, ottenuta risottando le ali del pesce. Dopo il marshmallow bruciato al pepe rosa e limone, chiude la cacio e pere, binomio della pastorizia riprodotto con panna cotta al Parmigiano e pecorino, sorbetto alle pere, cialda di noci tostate e miele. Nella piccola le lenticchie al cocco.
Indirizzo
Follie-Villa Agrippina Gran Melià
via del Gianicolo, 3 -Roma
Tel: 0692590830
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