L’annosa querelle sulla stella alle pizzerie si ripropone stancamente ogni anno. Ma questa volta c’è una novità: con la sua proposta incentrata su grano e lievitati, Aurora Mazzucchelli si è ripresa il suo storico macaron, aprendo una terza via.
Foto di copertina dekstop tratta dal sito-progetto di European Authentic Taste
Il premio
È curiosa la vicenda dei fratelli Aurora e Massimo Mazzucchelli, che nel Bolognese, dove da sempre l’alta ristorazione langue, hanno detenuto la stella Michelin ininterrottamente dal 2008 al 2021, con una proposta felice come poche. Poi è venuto il covid e con esso un cambiamento di format, che si è riassorbito del tutto solo ora. Con la restitutio ufficiale della distinzione persa.
Aurora, cosa è successo di preciso negli ultimi anni?
C’è stato un cambiamento, che come sempre accade deve essere elaborato. Noi stessi abbiamo preso più coscienza. Questa per me è la stella della consapevolezza: il nuovo progetto doveva essere capito, persino da noi, e nella guida ho riscontrato la pazienza e la voglia di venire a misurarsi con la novità. A seguito del covid era partita la pizzeria temporary nell’estate 2021, ma presto ci siamo resi conto che non volevamo diventare l’ennesima pizzeria gourmet.
Forse noi stessi abbiamo un po’ abusato della parte lievitati, alimentando la confusione. Con Massimo ci siamo chiesti quale progetto intendessimo portare avanti e abbiamo ripercorso le fasi della nostra cucina, constatando come fosse possibile abbinarla a grano e lievitati. Poi nell’ultimo periodo abbiamo messo le cose bene in chiaro. Diciamo che è stato un progetto in divenire e siccome non c’era un format da copiare, abbiamo fatto via via esperienza. La Michelin ha monitorato la situazione e alla fine ha capito che era ristorazione, non pizzeria. Abbiamo tenuto al corrente tutte le guide dei cambiamenti in atto, che il Marconi si sarebbe fermato e la proposta di Casa Mazzucchelli sarebbe stata diversa. Forse la coerenza e l’onestà hanno pagato.
Vi aspettavate questo riconoscimento?
Per niente, questa volta meno della precedente. Magari speravamo che gli ispettori passassero a esaminare il progetto, ma fino all’ultimo, quando hanno chiamato il mio nome, ho dubitato. Invece il cuore ha ripreso a battere.
Adesso il posto della pizza qual è?
Non la facciamo più da tempo. Ma accanto al mio storico piatto di anguilla con scalogno caramellato e salsa al tamarindo, adesso c’è una focaccia. Serviamo il borlengo con canocchie, limone in conserva e salsa di arachidi; i ravioli di pasta madre liquida farciti di ceci e guarniti con erbe di campo. Nei vari passaggi si è creata una certa confusione, soprattutto nelle aspettative. Per cui abbiamo iniziato a scindere le cose sempre più nettamente, lavorando più sul grano che sulla pizza in senso stretto.
La clientela come ha vissuto questi cambiamenti?
Siamo contenti, si sono mosse persone nuove e si è alimentata la curiosità. Poi ci sono clienti affezionati, che magari nel trambusto abbiamo perso di vista e ora speriamo di ritrovare. Sicuramente la stella ha aiutato molto, sono usciti tanti articoli e il telefono non ha smesso di squillare. Ma i nostri ospiti, quando esco a salutare, sono contenti oggi come lo erano in passato.
Progetti per il futuro?
Tenere duro e restare concentrati. Oggi il problema più urgente è trovare il personale, perché vogliamo aggiungere ancora altri particolari, dare costanza al lavoro e qualche coccola in più.
Dopo questa esperienza, secondo te è giusto che la guida Michelin non premi pizzerie?
Posso dire che il mondo della pizza si è evoluto e che tanti pizzaioli lavorano bene, facendo ricerca sul prodotto. Ci sono professionisti che meritano di essere premiati, a prescindere dalle singole guide.