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Arduino Bolgheri: il ristorante “a cm 0” fra i più etici della Toscana

di:
Marco Castaldi
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Quando il concetto di sostenibilità diventa uno stile di vita, non nell’accezione di “trend”, ma in quella più ampia e profonda dell’etica ambientale. Arduino è un podere, un’osteria ancestrale e un luogo di riconnessione con la natura, dove due ex atleti appassionati di gastronomia cucinano ciò che la terra offre loro ogni giorno.

Foto di Lido Vannucchi


La storia

La parola sostenibilità è senz’altro una delle più (ab)usate nell’enogastronomia degli ultimi quindici anni. Un termine che abbraccia tre ambiti: ambientale, sociale ed economico, ma che ognuno modula a piacimento, adattandolo al proprio contesto e dandogli una connotazione più analitica che sintetica. C’è invece chi della sostenibilità ha fatto uno stile di vita, un insieme di pratiche e di abitudini da cui non può prescindere poiché funzionali al proprio benessere e alla propria realizzazione personale: è il caso di Podere Arduino, in Toscana, a Bolgheri, nella zona di produzione del noto Sassicaia e non lontano da quei cipressi “alti e schietti” tanto cari a Carducci, “fedeli amici d’un tempo migliore”.

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È un terreno di circa dieci ettari da sempre coltivato a ortaggi e alberi da frutto, inframmezzati da olivi secolari, acquistato negli anni ’50 da Agostino Arduino Bartoli e rilevato, non più di dieci anni fa, da suo nipote Fabrizio Bartoli e dalla compagna Martina Morelli per dare forma alle loro idee e costruire il loro progetto di vita insieme. Fabrizio è un geologo, vanta un passato da triatleta professionista, importanti traguardi raggiunti e una serie di spedizioni alpinistiche e geologiche sull’Himalaya, prima di appassionarsi alla cucina, che studia e approfondisce da autodidatta viaggiando molto alla continua ricerca di spunti e ispirazioni.

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Martina si laurea in scienze motorie e insegna ginnastica artistica e posturale, prima di lasciare l’Italia e dedicarsi ad una serie di attività all’aria aperta in giro per il mondo, come lo yoga, il surf e la permacultura, che le permettono di incontrare Fabrizio e coronare il suo sogno di vivere in simbiosi con la natura.

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Per prima cosa implementano la produzione di olio, che oggi vendono anche all’estero, impiantando altre varietà Leccino, oltre alle già presenti Moraiolo e Frantoio e aggiungendo la Coratina:Avevamo bisogno di un olio più delicato, la Coratina in questa zona è più morbida rispetto a quella pugliese e si sposa perfettamente con i vegetali” dice Martina. Continuano convertendo il podere in biologico e coltivando circa 300 alberi da frutto: “In seguito abbiamo aggiunto anche noccioli e mandorli per cercare il più possibile di ampliare e diversificare le produzioni”, prosegue.

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Risale a tre anni fa il passaggio dal biologico all’“organico rigenerativo”, ovvero un insieme di pratiche e processi che mirano a nutrire il suolo e a rigenerarlo, travalicando i principi della biodinamica con l’obiettivo di perseguire nel lungo periodo la cosiddetta ”agricoltura del non fare”. Questo tipo di agricoltura, teorizzata dal microbiologo giapponese Masanobu Fukuoka, non prevede né lavorazioni del terreno da parte dell’uomo, né utilizzo di concimi o prodotti chimici, ma mira semplicemente ad assecondare il corso della natura per proteggere e implementare la ricchezza biologica del suolo, aumentare la biodiversità degli ecosistemi e creare ambienti ospitali per le specie viventi che contribuiscono al processo.

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Un meccanismo naturale, quindi, ma preciso e organizzato, perché “parte tutto da qui e da qui tutto si evolve”: gli animali presenti nel podere, come galline, capre e pecore, oltre a produrre uova e formaggi necessari a soddisfare il fabbisogno giornaliero, con il loro pascolo compiono il primo step del processo, poiché “lavorano” la terra in modo delicato e favoriscono il “sequestro del carbonio”, ossia l’assorbimento di anidride carbonica da parte del terreno che altrimenti, con il normale utilizzo dell’aratro, verrebbe rilasciata nell’atmosfera sotto forma di gas serra, tra i principali responsabili dei cambiamenti climatici.

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A seguire, il bosco di alberi ad alto fusto protegge le coltivazioni e crea l’habitat ideale per gli insetti impollinatori che svolgono l’azione dei pesticidi, favorendo la riuscita dei raccolti; il cerchio si chiude quando gli scarti del cibo e altri composti organici finiscono nel suolo per nutrirlo e rigenerarlo. Un sistema circolare e virtuoso che ha consentito nell’ultimo anno la coltivazione di altre piante da frutto, oltre al grano di varietà Gentil Rosso e Senatore Cappelli, da cui si ricavano farine per la produzione di pane e pasta secca, e al miglio, necessario al sostentamento degli animali.

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Il ristorante

Il Bolgheri Green risale al 2018 ed è stato il primo approccio di Fabrizio e Martina al concetto di ristorazione: include la rivendita agricola e lo shop, dove vengono vendute conserve, salse, creme, composte e marmellate prodotte con una parte del raccolto, utilizzate anche per comporre sfiziosi aperitivi, come la bruschetta con cipolla caramellata e caprino fresco, o quella con formaggio erborinato, mele e confettura di pesche, da abbinare a estratti di frutta e verdura o cocktail sempre diversi realizzati con prodotti locali. A pranzo è inoltre possibile mangiare una piccola selezione di piatti vegetariani espressi legati al raccolto giornaliero da consumare immersi nel verde della natura.

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 “Tuttavia non eravamo soddisfatti, volevamo valorizzare di più la cucina ed il servizio, per raccontare la nostra filosofia in modo più ampio e dettagliato e trasmettere pienamente agli ospiti la vera anima di Podere Arduino”, racconta Martina. Da qui il via al progetto di ampliamento e riqualificazione dell’area, che ha portato nel 2021 all’apertura di Osteria Ancestrale, un “farm to table experience” che consiste nel servire esclusivamente ciò che la terra offre in quel preciso momento, senza né sofisticazioni, né alcun apporto elettrico, ma con l’unico ausilio del fuoco, nelle sue molteplici forme e modalità di espressione: dalla fiamma alla brace, dalla plancha, una lastra in ghisa dove cuocere gli ortaggi senza disperderne succo e sapori, alla cenere, dove poter immergere le verdure e cuocerle sotto i carboni ardenti, come appreso da Fabrizio alla corte di Francis Mallman, nel ristorante Hartwood di Tulum, in Messico.

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È lo stesso Fabrizio quindi che, svestiti i panni del fattore, indossa la giacca da chef per proporre una “cucina di viaggio”, che evoca terre lontane come il Sud America e l’Asia, prende spunto dalle loro tecniche e tradizioni, come l’utilizzo delle fermentazioni, ma le rilegge in chiave personale, adattandole al territorio che lo circonda e alle proprie radici, traducendole in piatti esclusivamente vegetariani diretti e a volte sorprendenti, che non possono prescindere da marinature, affumicature, essiccazioni e dall’utilizzo di spezie ed erbe aromatiche che aggiungono profumi, aromi e sentori sempre diversi e originali: “Quella di proporre una cucina vegetariana è una scelta etica, in primo luogo, che rispecchia anche le abitudini alimentari mie e di Fabrizio”, spiega Martina.

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La sala può ospitare un massimo di 14 coperti ed è stata progettata per essere in armonia con lo spazio circostante: protagonista è sicuramente l’ulivo posto al centro, piantato da Agostino Arduino Bartoli e messo in risalto dalle linee geometriche ed essenziali dell’arredamento, incentrato su legno e toni chiari rilassanti, su pezzi unici in ferro battuto e su altri dettagli che evocano la natura nelle sue varie espressioni, come il mazzetto di lavanda posto sui tavoli e i vari barattoli contenenti ortaggi fermentati. Non è prevista una carta, ma due menu degustazione che variano in base alle disponibilità del giorno: Kipos, ovvero “dello spazio tra la terra e il piatto” di 4 portate a 60 euro (100 incluso l’abbinamento con vini naturali e cocktail) che ordina gli ingredienti in base alla loro distanza fisica rispetto alla tavola; Chronos, ovvero “del tempo tra la raccolta e il piatto” di 8 portate a 90 euro (150 con abbinamento vini naturali e cocktail), che invece tiene conto del tempo che intercorre tra la raccolta dell’ingrediente e la sua lavorazione per giungere al piatto.

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I piatti

Una cucina legata indissolubilmente alla natura e ai suoi tempi, incentrata sull’utilizzo di ingredienti reperiti all’interno del podere e lavorati con cura, affinché se ne possa apprezzare la genuinità. In questa filosofia si inquadra l’inizio di entrambi i percorsi di degustazione, una sorta di “iniziazione” ai sapori dell’orto: micro ortaggi, tra cui peperone, zucchina, pomodoro, rapa e carota, raccolti un attimo prima di essere portati in tavola, da gustare crudi o conditi con l’olio di produzione propria. In aggiunta qualche amuse bouche, tra cui la polentina di ceci fritta con pomodori confit, babaganoush e sumach, o il gombo, un frutto derivante da una pianta tipica dell’Africa centrale, cotto sulla plancha e accompagnato da susine fresche, kefir e salsa agrodolce.

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Insieme agli assaggi iniziali, arriva sia il pane cotto nel forno a legna, prodotto in casa con lievito madre e grano di varietà Gentil Rosso e Senatore Cappelli, che il “camping bread”, un pane azzimo di origine australiana che si cuoceva facilmente nei campi e rappresentava una fonte di cibo immediata ed economica, condito con olio, spezie e semi, laccato con una gustosa salsa barbecue a base di frutta. Il primo ingrediente servito è il peperone, marinato in olio al finocchietto, cotto anch’esso sulla plancha e servito con ricotta affumicata con legno di ulivo, pane alle erbe e limone, ketchup e polvere di peperone: i vari gusti sono ben bilanciati e le diverse consistenze rendono ottimo il piatto nel suo complesso. A seguire due assaggi fuori programma che omaggiano i tanti viaggi che Fabrizio e Martina intraprendono ogni anno a fine stagione, solitamente tra novembre e marzo, periodo di chiusura dell’attività: la patata, tagliata finemente a strati e cotta sulla brace, laccata con salsa barbecue e il tacos con fagioli bianchi fermentati, lattuga, cipolle in agrodolce, maionese alla paprika e peperoncino, da gustare appieno utilizzando le mani, in linea con la filosofia di Arduino. Si tratta di un gesto primordiale spesso dimenticato e considerato poco elegante, che tuttavia eleva il rapporto sensoriale con il cibo e apporta benefici notevoli, poiché stimola la convivialità e consente di mangiare più lentamente in modo da facilitare la digestione.

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Si prosegue con un classico estivo di Osteria Ancestrale, i pici al pomodoro, ultimati al tavolo dallo stesso chef: “La pasta è prodotta da noi con acqua e farina di grano Senatore Cappelli” – spiega – “cuoce un minuto nel bollitore, poi sulla griglia con sotto legna di olivo e quercia per circa 4 minuti, in modo da rilasciare note affumicate e consentire al picio di disidratarsi e assorbire maggiormente la salsa di pomodoro, preparata con circa 15 varietà diverse, frullate a freddo e filtrate più volte per renderla liscia e omogenea”. In mantecatura si aggiunge acqua di pomodoro latto-fermentata che dona decise note casearie dando l’illusione della presenza di formaggio, infine il piatto viene completato con un aceto balsamico invecchiato 50 anni: “Spingiamo molto sull’acidità, perché l’idea è quella di ricreare nell’ospite la sensazione provocata dal morso del pomodoro crudo”, chiosa chef Bartoli.

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A seguire un sorbetto al pomodoro per rinfrescare il palato, con acqua di pomodoro e olio al basilico, prima dell’ultimo ingrediente salato, ovvero la zucca, di diverse varietà: crema di zucca Trombetta cotta sotto la cenere per tre ore e crema di fagioli fermentati all’aglio nero servite all’interno della zucca stessa, poi zucca Delica fritta avvolta da una pastella fatta con la polvere dei suoi stessi semi e infine carota baby cotta sotto la cenere, laccata con chutney di susine e nespole. Piacevole la degustazione di formaggi di differenti stagionature che precede il dessert, tutti prodotti all’interno del podere in quantità limitata utilizzando solo latte di capra e pecora: dalla ricotta fresca alla crosta lavata.

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L’ultimo ingrediente del percorso sono le rose, declinate in versione dolce con una delle tante ricette della torta di rose, un dolce goloso e conviviale servito dopo un rapido passaggio sulla brace, con una farcitura di marmellata di arance e crème fraîche in accompagnamento.  A dirigere un servizio appassionato e consapevole è Martina Morelli, compagna dello chef e general manager di Arduino, che sa trasmettere con naturalezza la filosofia del progetto, trasformandola in una narrazione spontanea di loro stessi, delle loro idee e passioni, senza la necessità di aggiungere alcunché. È a lei che si deve anche una carta dei vini ben fatta, non particolarmente ampia, ma coerente con la proposta: grande spazio ai vini naturali, perlopiù toscani, con qualche referenza dal resto d’Italia e d’Europa e qualche proposta di cocktail molto interessante, sempre a tema vegetale.

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Un progetto ancora non ultimato ma che si fa apprezzare per l’estrema coerenza dell’offerta e per la totale sovrapposizione con uno stile di vita devoto alla natura e vocato alla sostenibilità: “Siamo ancora un po’ scarsi con alcune produzioni che reperiamo da aziende locali, ma se tutto va bene fra tre anni saremo completamente autosufficienti e avremo raggiunto tutti i nostri obiettivi” - dice Martina incrociando le dita - “C'è ancora molto da fare, ma siamo sulla strada giusta”.

Indirizzo

Arduino Bolgheri

Loc. magazzino n 210, 57022 Castagneto Carducci LI,

Tel: +39 3249031810

Sito Web

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