La femminilità del ristorante Marconi è una questione di gioia e di viaggio. Un sentimento di sinuosa libertà estraneo alle rettilinee traiettorie maschili. Uno stato di grazia che non accenna a declinare, simile ad un quieto e lungo mezzogiorno.
La Storia
La storia di Aurora Mazzucchelli
Cucina femminile? Sì, no, chissà, probabilmente... Quasi mai quando si tira in ballo l’avanguardia, sport eminentemente maschile, dove il testosterone impenna la creatività nella corsa sudata verso il nuovo. A meno che ai blocchi di partenza non stia lei, Aurora Mazzucchelli, fra le poche grandes dames disobbedienti.


Autrice di una cucina personale, sorridente, eclettica. Tecnicamente puntuale senza mai indulgere alla pedanteria. Cosicché la risposta suona: Eccome! Ma di una femminilità dove balena “il riso della medusa”, sovversiva e vitalistica come voleva Hélène Cixous. “Basta guardare in faccia la medusa per vederla: e non dà morte. È bella e ride”. Indefinibile forse, spostata com’è fuori dai recinti della dominazione filosofica. “Essa si lascerà pensare solo dai soggetti che rompono gli automatismi, da coloro che percorrono bordi che nessuna autorità soggioga”.


La femminilità del ristorante Marconi è una questione di gioia e di viaggio. Un sentimento di sinuosa libertà estraneo alle rettilinee traiettorie maschili. Aurora lo sprigiona appieno in questo stato di grazia che non accenna a declinare, simile nella sua quieta fissità piuttosto a un lungo mezzogiorno.


Figlia di un cuoco e una sfoglina, fondatori del locale di Sasso Marconi, nella cintura bolognese, l’ha rilevato nel 2000 insieme al fratello Massimo, guida di sala e di cantina, partner nella messa a punto dei piatti e grande connaisseur di vini naturali.


Ma solo adesso sembra essersi scrostata di dosso la patina dorata dei maestri di rango, ai cui fornelli ha sgobbato nelle ferie, da Herbert Hintner a Gaetano Trovato, da Paolo Lopriore a Martin Berasategui. Mettendo a nudo il suo talento liquido, cristallino, figlio di nessuno.

Il gesto distintivo di ogni autrice è infatti: voler, ossia rubare (il fuoco sacro dei fornelli) e poi volare. “Non impadronirsi per interiorizzare o per manipolare, ma attraversare tutto in una volta, e volare… Del volo, tutte noi abbiamo imparato l’arte dalle molte tecniche, dopo secoli che abbiamo accesso all’avere solo ghermendo; che abbiamo vissuto in un furto, del rubare, trovando al desiderio passaggi stretti, nascosti, che trafiggono. Non è un caso se ‘volare’ si gioca fra due furti, godendo dell’uno e dell’altro e sviando infine il senso“.
I Piatti


Compiuto il furto del sapere nei santuari maschili, il momento è giunto per l’elevazione ad alta quota. Che in questo autunno 2013 tocca orizzonti disparati. Aurora caccia, venera, omaggia le sue materie prime, che si tratti della selvaggina da abbattimento selettivo della macelleria Zivieri, dell’anguilla di Comacchio o del pesce freschissimo di Goro. Su di essi non si abbatte la mannaia di tecniche invasive, ma la carezza di una riflessività evoluta: la cucina scrive con un “inchiostro bianco” come il latte, discreto ed elusivo, anche se il pennino è appuntito al punto giusto per graffiare.
