Ezio Santin parla poco e poco fa parlare di sé, eppure è stato il secondo chef a strappare le tre stelle in Italia dopo Gualtiero Marchesi, per la precisione nel 1990.
La Storia
Schivo, antidimostrativo, asciutto come la sua cucina. Ezio Santin parla poco e poco fa parlare di sé, eppure è stato il secondo chef a strappare le tre stelle in Italia dopo Gualtiero Marchesi, per la precisione nel 1990. A un osservatore superficiale, poteva sfuggire la grandezza di quei gamberi con cipollotto al caviale o dell’uovo in camicia con salsa di foie gras al tartufo, nel momento in cui il grande lombardo sfoderava le sue sofisticate algebre estetiche e concettuali. Eppure in quel raggio mediterraneo, che schiariva una cucina agli albori e ne delineava con nettezza i contorni, c’era un messaggio prezioso di pulizia, semplicità e sapore, che preannunciava un lungo mezzogiorno.La spontaneità è anche questione di biografia. “Sono nato torrefattore, professione che ho esercitato fino all’età di 36 anni e ho dovuto abbandonare per ragioni di salute. Cuocevo periodicamente il caffè, quindi già avevo a che fare col calore e col fuoco, come ai fornelli. Il mio passaggio alla cucina è avvenuto in un periodo in cui la passione per il caffè stava svanendo e cominciavano a mancare gli stimoli. Anche se l’età non era proprio l’ideale per iniziare una nuova attività così impegnativa. Mi sono formato da autodidatta: frequentando ristoranti cercavamo di apprendere il meglio, scartando gli eventuali errori che riconoscevamo come clienti. Parlo al plurale, perché ero sempre accompagnato da mia moglie Renata, che poi ha preso la guida della sala, senza la quale non avrei mai raggiunto traguardi importanti. Il Moulin de Mougins di Roger Vergé è stato il primo grande ristorante che abbiamo visitato e del quale abbiamo avuto un ottimo riscontro: cucina mediterranea, grandi vini e un servizio professionale senza ingessature, come succede spesso nei tristellati. Molto mi ha aiutato inizialmente anche lo studio di libri di ricette, su tutti Cucina da Re di Nino Bergese, che prima del San Domenico e della Santa era stato cuoco a Torino presso i Savoia e la casa dei cotonieri Wild”.
Erano gli anni in cui la cucina italiana andava emancipandosi da quella francese: gli anni della leggendaria Linea Italia, movimento fondato da Franco Colombani, patron del Sole di Maleo. “È stato lui il primo che mi ha fatto innamorare della cucina e mi ha insegnato a distinguere le migliori materie prime. Riconosco in Lui un grande Maestro, un uomo che aveva letto i più antichi testi di cucina, ma aveva anche un grande palato e naso per i vini, una persona con un carisma eccezionale e una cultura gastronomica invidiabile. Poi c’era Gualtiero Marchesi, un collega-amico che mi manca moltissimo. Mi mancano le nostre discussioni gastronomiche, i nostri incontri a pranzo al Marchesino. Io avevo da poco lasciato il ristorante e lui aveva allentato il lavoro. Ricordo che un giorno mi disse: ‘Noi dobbiamo fare l’ultima birichinata creando un ristorante assieme’. Peccato non esserci riusciti. Sono sempre stato molto curioso di mangiare dagli altri. Ferran Adrià, per esempio, è stato il più grande innovatore, ma la cucina che scaturiva dalla sua mente non era di facile esecuzione, quindi in qualche caso ha creato confusione in alcuni cuochi. Io e Renata andiamo ancora spesso al ristorante; naturalmente mentre prima ci spostavamo anche parecchio per scoprire nuove realtà, ora preferiamo restare a Milano. Città che del resto ormai offre una varietà di ristorazione pari alle grandi metropoli del mondo”.
“Sono molto felice quando un allievo riesce a dimostrare il suo valore. In particolare mi inorgogliscono tre nomi, ma ce ne sono altri bravi che faranno parlare di sé in futuro. Bombana ha avuto coraggio in un paese difficile, aprendo un grande ristorante di Cucina Italiana e conquistando le tre stelle nella guida Michelin, cosa mai accaduta prima.
Taglienti è per me l’astro nascente, ha raggiunto una maturità professionale che gli permette l’esecuzione di piatti attraenti e di gusto. Barbaglini infine si è un po’ perso, ma ha senz’altro un grande valore”.
Un pezzo di futuro dell’Antica Osteria del Ponte, attualmente custodita da una coppia di giovani di belle speranze, cammina poi sulle gambe del figlio Maurizio, “Ma il nostro non è mai stato un ristorante famigliare: avevamo oltre 20 dipendenti. Maurizio vi ha portato esperienze maturate con vari stage nei grandi ristoranti e ha dato un ottimo contributo al proseguo dell’attività. Soprattutto mi ha permesso di avere una Pasticceria di prim’ordine, creando anche un dolce che è stato poi ripetuto in parecchi ristoranti: Il flan caldo di cioccolato in salsa al cioccolato bianco. Ricordo che fu gustato dal critico Edoardo Raspelli in una delle sue visite e dopo non molto tempo, ospite al Maurizio Costanzo Show, alla domanda su quale piatto lo avesse impressionato di recente, citò proprio quello”.
L’attualità, infine. “Certamente il momento è tremendo, ma io penso che noi abbiamo una moltitudine di imprenditori nella ristorazione che sapranno riprendersi al più presto. Personalmente non mi sento di dare consigli, se non di continuare la propria attività come la si è sempre svolta. Troverei inutile compiere cambiamenti radicali, che sconvolgerebbero il panorama gastronomico Italiano. Un patrimonio di tutti”.