Attualità enogastronomica

Sicurezza dei clienti nei ristoranti: quanto viene stravolta l’esperienza gastronomica?

di:
Luca Sessa
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tornare al ristorante dopo il coronavirus

Negli Stati Uniti sono ancora molti i timori legati al ritorno nei locali ma in altri paesi, Italia in primis, si registrano i primi segnali incoraggianti.

La Notizia

È tempo di riapertura dei ristoranti in molti angoli del mondo e anche negli Stati Uniti, per la precisione in oltre 30 stati, è stata consentita la ripresa delle attività per le aziende non indispensabili. Colpisce però la mancanza di uniformità delle linee guida, che vanno dalla riduzione degli spazi al chiuso (il 50% nel Texas) al semplice consiglio sulle misure di distanziamento sociale nella Carolina del Sud. Come devono quindi comportarsi i clienti in una situazione del genere? Diviene fondamentale seguire i consigli e le indicazioni degli esperti in materia, ma probabilmente anche guardare a cosa fanno, ed in che modo, gli altri.


"Sono una appassionata di cibo che ama uscire a mangiare con gli amici e la famiglia, e per quanto io sia impaziente di frequentare nuovamente i ristoranti, al momento non sappiamo abbastanza sulla trasmissione per poter stimare davvero il reale rischio di infezione", afferma Angela Rasmussen, virologa e ricercatrice associata presso la Columbia University. Dato che la "sicurezza a rischio zero" non è possibile e che le preoccupazioni per la salute devono essere bilanciate con le preoccupazioni economiche la domanda diventa: come possiamo mitigare i rischi durante questo periodo?

"Spero che, come paese, continueremo a pensare ai nostri vicini, ai membri della nostra comunità e a quelli di noi che sono a maggior rischio", afferma Michael Knight, assistente professore di medicina e responsabile della sicurezza dei pazienti presso il George Washington Università. "Come buon vicino e buon cittadino, che comportamento puoi assumere per migliorare le nostre condizioni economiche, ma anche per ridurre il rischio?" È evidente che con il ritorno delle persone nelle sale da pranzo, la distanza sociale sarà essenziale per i ristoranti di ogni dimensione.


Sebbene le linee guida sulla riapertura della fase 1 del CDC suggeriscano di limitare le riunioni a gruppi di non più di 10 persone, alcuni esperti avvertono che cenare in gruppi di quelle dimensioni è ancora rischioso. I commensali non possono socializzare a distanza seduti allo stesso tavolo del ristorante e non possono indossare maschere mentre mangiano, quindi c'è un chiaro rischio di trasmissione del virus. Avrebbe quindi senso uscire con persone con cui si è stati in quarantena e non presentarsi ad altre persone con cui non siamo stati in stretto contatto nelle ultime settimane.

Alle lecite preoccupazioni è giusto però affiancare il buon senso (quello vero, non quello invocato dal Governo nei momenti di confusione istituzionale), perché ai timori occorre contrapporre due cose: una corretta lettura dei dati che possa consentire di monitorare l’evoluzione o l’involuzione del virus, e la necessità di far fronte ad un quadro economico che registra le grandi difficoltà degli imprenditori del comparto ristorativo. Perché, pur dovendo tenere da parte un’altra anomalia e cioè quella relativa ad un errato comportamento “fiscale” di alcuni proprietari, ci sono tante realtà virtuose in grossa sofferenza per il micidiale connubio tra la perdurante chiusura forzata e l’assenza (o il colpevole ritardo) degli aiuti economici promessi dalle Istituzioni.


Nei paesi colpiti in prima battuta dalla diffusione del contagio, e che ora iniziano a vedere la luce in fondo al tunnel, si è quindi deciso di consentire a ristoranti e pizzerie di riaprire con una serie di necessarie disposizioni, la cui attuazione è fondamentale in ottica sicurezza di clienti e personale: misurazione della temperatura in entrata, presenza di disinfettanti, obbligo delle mascherine per il personale di sala e cucina, distanza misurata tra i vari tavoli. Questo scenario stravolge l’esperienza gastronomica? A nostro personale avviso solo in parte, perché la bontà dei piatti resta, la voglia di uscire e di “tornare a vivere” dopo la quarantena è forte, e perché la professionalità degli operatori del settore consente di superare l’iniziale imbarazzo che i clienti possono provare.


Giungono a tal proposito incoraggianti le parole di Luciano Monosilio, già chef del ristorante Pipero* di Roma, e ora anche nella veste di imprenditore con la trattoria “Luciano – Cucina Italiana” (oltre che di altri 9 locali): Ho aperto giovedì scorso (21 maggio) e le prime serate sono andate bene, con 52 coperti venerdì e 60 sabato sera. Non siamo ancora ai livelli pre quarantena, ma non possiamo lamentarci. Tra l’altro, con le nuove disposizioni e distanze, potendo contare anche su un bellissimo spazio all’aperto, il locale mi sembra più bello, armonioso, e ho deciso che anche quando torneremo alla normalità non cambierò nulla”. Una immagine in controtendenza con il diffuso pessimismo dell’ultimo periodo, la capacità di trasformare l’emergenza in opportunità grazie ad approfondite e studiate riflessioni, che hanno modificato il locale senza stravolgerne l’anima: “Se si ha voglia di lavorare lo si può fare, e bene, anche in questi giorni: rispettare le disposizioni rassicura i clienti, in cucina e sala c’è armonia, abbiamo rivisto la proposta gastronomica puntando ancor di più sul prodotto, portando in tavola sapori confortanti”.

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