Cinque anni per delineare una cucina personale, tanto instancabile nella ricerca, quanto affabile nel gusto: oggi Giuliano Baldessari sfrutta l’energia della materia viva quale propellente di esperienze nuove.
La Storia
Mulinelli, superfici specchianti, piccole cascate improvvise: in questi 5 anni il percorso di Aqua Crua non ha lesinato sorprese. C’era da aspettarselo, dato il curriculum di Giuliano Baldessari, uno che prima di passare dieci anni con Massimiliano Alajmo, era stato a imparare da Marc Veyrat, Aimo e Nadia e perfino Michel Bras. Oggi la sua cucina manifesta una giovane maturità che non è solo una promessa: adotta sì alcuni stilemi della sua generazione, come qualche sporadica muffa e fermentazione; ma lo fa all’interno di una visione gustativamente originale, democratica nell’inclusività sensoriale ed economica; soprattutto nella più completa intimità con la materia vivente. Così come originali sono i riferimenti del suo argomentare, dall’etologia al folklore, anziché alle scienze dure del food. Perché Giuliano Baldessari è un sognatore, o forse un visionario; soprattutto è un cuoco che si diverte.“La cosa fondamentale su cui stiamo lavorando adesso è l’energia, non solo nel senso del valore nutrizionale, ma anche come origine dell’alimento. Sogno di abolire i frigoriferi, nemici del sapore, ripristinando la ghiacciaia di Barbarano, dove un tempo si andava a prendere il ghiaccio prescritto dal dottore a scopi terapeutici, con la mediazione dello spazzino. A quei tempi tenevano d’occhio i tassi: se andavano in letargo in anticipo, ammucchiando provviste nella tana, l’inverno sarebbe stato rigido e non ci sarebbero stati problemi grazie alle acque dei ruscelli; altrimenti iniziavano a buttare dentro la neve e fino ad agosto erano a posto. Era costruita in modo particolare, sottoterra, orientata verso nord. Sogno di rimetterla in funzione, perché nessuno lavora più un prodotto vivo”.
“Poi c’è il mio lavoro sulle razze autoctone: adesso tutti gli animali sono clonati, per raggiungere il tal peso in tot tempo con tot mangime. Invece io ho cercato le razze antiche di piccione, il romano, il viaggiatore, e la vera gallina ovaiola, la ‘checchetta’, che le uova le nasconde per portare avanti la procreazione. Ci sono i cacciatori che mi portano le prede. Così, assaggiando, ho imparato a distinguere il ‘vitello’ di cervo, che farebbe ribaltare un vegetariano, dal fusone e dal cervo vecchio, dal sapore selvatico, che ti danno in giro. Sono animali che vanno in amore a novembre, la femmina tiene i semi inerti fino a gennaio, in modo che il piccolo nasca a maggio. Non è meraviglioso? Io sono curiosissimo, l’importante è farsi accompagnare dalla natura”.
“Stessa cosa per il vegetale: raccolgo erbe e funghi in montagna con l’aiuto di un botanico e ho il mio orto, con aromatiche da tutto il mondo, per tesaurizzare la massima potenza della pianta. Non credo nelle serre e nell’idrocoltura, sono capaci di nutrire col mangime perfino le piante. Adesso faccio anche il mio vino: il proprietario precedente di Aqua crua mi aveva lasciato il torchio, la gramola, le botti. Le ho ripulite e in questi giorni parto con la vendemmia nella vigna di mio padre in Trentino. C’è di tutto, un misto di schiava, clinton, isabella, pinot nero, rebo… Se riesco voglio fare anche la grappa con il mio sommelier, che deve infilare le mani nella materia prima. Poi c’è il pesce, tutto sardo e pescato all’amo, non morto nelle reti. Anche se con 30 coperti è una lotta quotidiana, usare solo certe materie. La potenza della natura è il mio eros. L’accostamento invece mi interessa poco”.
“Cerco di rispettare al massimo l’ambiente: quando pulisco i funghi, ributto gli scarti nel bosco, perché sono spore. Voglio ridurre al minimo il trasporto su gomma, tanto che sto addestrando i piccioni viaggiatori a tornare in volo dal Trentino con una piccola bisaccia di verdurine e foglie, mia mamma li libera e loro si dirigono dove sono nati, a Sossano. Sono volatili molto delicati, perché volano liberi, quindi possono essere duri e occorre fare attenzione in cottura. Mentre il romano è la mia passione: è poco produttivo, ma enorme, quasi come una faraona. Le uova le faccio covare da altri piccioni, di razza king o California, poi le rimetto sotto la mamma. Li nutro a mais e avanzi dell’orto e non sanno di mangime. E ancora le pavoncelle e i colombacci”.
L’energia della materia diventa il propellente per lo sviluppo di nuovi sapori e nuove idee: la ricerca è tanto instancabile quanto imprevedibile, perché 5 anni di conti col segno più hanno regalato fiducia e libertà. “Per esempio stiamo lavorando sul corno letame della biodinamica: abbiamo pensato a un dado nostro, di fagioli, prezzemolo e carota, abbiamo riempito un corno, lo abbiamo chiuso con la cera d’api e sotterrato ad alta quota prima del covid. Quando lo abbiamo dissotterrato, il gusto ci ha sorpreso: un umami vegetale che è un concentrato di minestrone, grazie alla macerazione ‘assistita’ dagli alberi. Sto ultimando i test batteriologici per studiarne l’utilizzo”.
“Poi stiamo lavorando sulla macerazione della carne negli aghi di pino: l’idea mi è venuta perché volevo preparare il compost perfetto con la nostra materia organica e ho scoperto che non bisogna metterli, perché il loro PH basico ostacola l’azione dei batteri. Se ci fai caso nei boschi sotto i pini non cresce nulla. Allora ho pensato di lasciare macerare carne e pesce fra gli aghi, sono lì da 3-4 mesi ma non ho ancora assaggiato”. Dove il focus ancora una volta è su trasformazioni lentissime, che complessificano il sapore, come avveniva (seppur diversamente) nella cucina regionale. Vedi anche l’uovo dei cent’anni e l’ormai celebre carne muffata, tertium fra salume e formaggio, servita al naturale, senza elementi di contrasto.
Gli esotismi infine, retaggio delle esperienze di viaggio. Le larve del casu marzu, inoculate in altri prodotti, come le corna di cervo, procacciate da un amico in Cina: devono essere quelle costosissime, complete di pelo, per regalare a fettine sottili un brodo impareggiabile.
I Piatti
Sperimentazioni estremamente avanzate, gustativamente interne a una piacevolezza evoluta, cui Baldassari mette a disposizione alternative più comfort: i menu sono 3, a diversi gradi di “provocazione”, per un prezzo oscillante fra 95 e 135 euro; ma c’è anche la carta. In cantina l’ottimo sommelier Paolo Recanati scova correlativi liquidi curiosi, rari, perlopiù naturali.C’è il topinambur, sottoposto a blackening a bassissima temperatura in una sorta di risiera: la reazione di Maillard e l’ossidazione ne estraggono note cioccolatose e una dolcezza, contrastata dal bitter di levistico; più una cascata di chucho al gusto di big babol e una grattatina di limone. Per un esito quasi di bonet.
Poi c’è l’ironico Omaggio a Tinto Brass, nato in Messico. “Avevo fatto una scorpacciata di grilli fritti e siccome non sono abituato, mi sono sentito male. Mi trovavo nella casa di una signora e ho chiesto una tisana. Lei è arrivata con questa barba di mais in infusione, spiegandomi che per loro aveva un effetto curativo. Poi un giorno correndo ho visto qui in zona delle piante di mais con la barba verde e le ho assaggiate. Erano dolcissime. Ho poi scoperto che sono l’organo riproduttivo dei chicchi e ho provato a scurirle con nero di seppia, masala, lievito di birra in polvere, zenzero e pochissimo Parmigiano. Sembrava un ciuffo di capelli nella doccia e ho pensato a Tinto Brass”.
È poi strepitosa la pasta alla pasta, elevazione a potenza dell’ingrediente più familiare e identitario, sdoppiato in un umami endogeno, che fa le veci di ragù o formaggio. La tecnica è quella del miso: il koji dell’orzo viene innestato sulla pasta stracotta, che trasforma profondamente nell’arco di 8-10 mesi. “L’eros è servire la pasta con una pasta dal gusto imprevedibile”. Più una spolverata di “caffè d’alga”, lattuga di mare tostata e polverizzata, per l’amaro brûlé, e rinfrescante kefir lime, una delle 50 erbe piantate fuori nell’aiuola.
Il calamaro appena scottato è servito semplicemente con una spolverata di cordyceps, spezia medicamentosa cinese ricavata da un funga parassita degli insetti, che ne prolunga visivamente e gustativamente la tostatura.
Ma non si può mancare, quando c’è, il piccione, dove la materia, anzi la sua energia, è protagonista e il cuoco fa un passo indietro. La cottura è classica: una volta spennato, viene rosolato in padella e passato in forno a 140 °C per un tempo variabile secondo le dimensioni, prima del riposo di 20 minuti. Sul piatto con capperi di tarassaco, scoperti anch’essi correndo, e una salsa delicatissima di kombucha di latte, che è quasi una panna acida.
Chiude il dessert di crema di ricotta, mango, olio al fumo e maggiorana.
Indirizzo
Aqua CruaPiazza Calcalusso, 11 – Barbarano Vicentino (VI)
Tel. +39 0444 776096
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