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7 tagli di carne, 7 frattaglie, 7 salse, 4 contorni, 1 tazza di brodo a 18 euro: il rito del Gran Bollito Piemontese all’Osteria del Borgo

di:
Alessandra Meldolesi
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iocucinoacasaconglichef 90

Poche esperienze gastronomiche, in Occidente, hanno la ritualità del bollito. Praticamente una liturgia, con i suoi gesti, i suoi simbolismi, i suoi passaggi ineludibili. L’antonomasia premia il Gran Bollito Misto Piemontese, o Grande Bollito Storico Risorgimentale, amatissimo da Cavour e fondato sulla regola del sette.

La Notizia

Poche esperienze gastronomiche, in Occidente, hanno la ritualità del bollito. Praticamente una liturgia, con i suoi gesti, i suoi simbolismi, i suoi passaggi ineludibili. Che non sono gli stessi, va detto, in giro per l’Italia: se la nostalgia corre sulle ruote del carrello, che torna a sfrecciare qua e là, trasformando il pasto in spettacolo, composizioni e accompagnamenti variano, e non di poco. In Lombardia per esempio non può mancare la mostarda cremonese; in Veneto la pearà, salsa di midollo e pane. Qui, come in Emilia e altrove, la composizione si concentra attorno a un numero ridotto di elementi, che assicurano comunque girandole di gusti e consistenze da capogiro.


L’antonomasia premia il Gran Bollito Misto Piemontese, o Grande Bollito Storico Risorgimentale, amatissimo da Cavour e fondato sulla regola del sette, come gli strati della lasagna. È il numero dell’infinito e della completezza, che in questo caso significa sette tagli di carne (tenerone, scaramella, muscolo di coscia, muscoletto o stinco, spalla, fiocco di punta, cappello del prete), sette ammennicoli cotti separatamente (lingua, testina, coda, zampino, gallina, cotechino, rollata) e sette salse (bagnetto verde rustico e ricco, rosso, cren, mostarda, cognà, salsa al miele), più quattro contorni (patate lesse, spinaci al burro, funghi trifolati, cipolle in agrodolce). Il tutto accompagnato da una tazza di brodo fumante e inframezzato da un richiamo a metà servizio, magari una lonza arrostita.


La sua capitale è Carrù, centro del mercato del bestiame su cui da sempre ruotano i comuni limitrofi, oggi teatro della Fiera del Bue Grasso, che attira un cospicuo pellegrinaggio di affamati. Qui l’Osteria del Borgo è nata nel 1997, ai fornelli Giuseppina, già fruttivendola, coadiuvata da papà Giovanni, ex ferroviere; oggi in sala i figli Daniele e Paolo. “Ma siamo come soprammobili: dove ci mettiamo, stiamo”, scherza Daniele.


All’Osteria del Borgo il bollito non conosce stagioni: è in carta 365 giorni l’anno alla cifra ridicola di 18 euro per quasi 4 etti di carne, in modo da accontentare ricchi, poveri e turisti. Ed è sempre servito al carrello, non quello riscaldato però, quello in legno, per ragioni di sicurezza alimentare e perché la vista vuole la sua parte. In questo modo l’ospite ha modo di vedere bene i vari tagli e scegliere il pezzo che desidera, col grassetto che gli aggrada. Il taglio verrà eseguito sotto ai suoi occhi da Giovanni o da Daniele.

“Non serviamo mai più di un paio di tavoli alla volta: rientriamo, riscaldiamo i pezzi nel brodo e ripartiamo alla volta di altri ospiti. Come un pit stop. Ed è uno spettacolo uscire con il mucchio di carne, in mezzo alla gente che si ferma a fare le foto. Si usa così a Carrù”.

Le carni sono tutte di razza piemontese da allevamenti vicini. Ogni anno si macella un bue di 48 mesi, più pregiato perché l’età conferisce insieme al colore acceso più gusto e un maggiore equilibrio fra grasso e magro; al resto sopperiscono manzi sui 30 mesi. I tagli sono i canonici sette, da un repertorio più vasto (testina e lingua sono le più richieste, poi pancia, punta di petto, biancocostato, scaramella, tenerone, garretto o stinco e coda). A seconda delle disponibilità, i pezzi simili si alternano. Per ammennicoli il cotechino e la gallina; più due contorni, il purè di patate e una verdura di stagione. Per quanto riguarda il quinto quarto, finisce nella finanziera. E chi lo desidera riceve una tazza di brodo.


Capitolo salse, sono le canoniche sette: bagnetto verde, rosso piccante, rafano, cognà di frutta autunnale, mostarda senapata fatta in casa, composta di cipolle, salsa leggera di verdure sottaceto. Presentate su un portasalse di legno con i bicchierini, sono a disposizione dell’ospite. L’ideale è passare dalla salsa verde a quelle piccanti, per finire in dolcezza.

Pranzo o cena, ogni servizio riparte da zero. Sottovuoto? “Sarebbe inconcepibile. La carne ha bisogno del brodo, che la mantiene umida con il suo grasso. La buttiamo nell’acqua bollente, poi ogni taglio ha il suo tempo di cottura e viene estratto al momento giusto. Verrà rituffato prima del servizio, senza essersi mai raffreddato del tutto”. E siccome proprio fuori Carrù iniziano le prime vigne di Dolcetto, basta allungare la mano per il calice giusto: un rosso di buona struttura e acidità, comunque giovane su un piatto povero. Con l’alternativa di una Barbera vivace del Monferrato o dell’infallibile Lambrusco.

 

La ricetta del Gran Bollito Misto dell’Osteria del Borgo di Carrù


La ricetta per cucinare un buon bollito (per 6 persone) 


300 g di scaramella

300 g di punta di petto

300 g di muscolo

300 g di testina

1 lingua (a questo aggiungere ancora il sottile e la coda)

2 gambi di sedano

1 rametto di rosmarino e alloro

1 porro

1 carota

Procedimento


Si preparano i sapori in un pentolone con acqua salata a piacere, riscaldando il tutto per bene (l’acqua deve essere calda per garantire un piatto saporito, mentre se si vuole fare un buon brodo l’acqua deve essere fredda). Poi si inserisce il pezzo forte del piatto, il bollito. Il tutto va fatto cuocere per almeno due ore, dopodiché si tolgono in sequenza i pezzi più morbidi, fino ad arrivare alla testina che ha un tempo di cottura maggiore.

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