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Quando un ristorante racconta veramente un territorio attraverso la sua cucina: evoluzione Satricvm di Maximiliano Cotilli

di:
Sara Favilla
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Oggi vi parliamo di Maximiliano Cotilli e sua moglie Sonia Tomaselli, nel cuore della pianura dell’Agro Pontino, uno degli orti italiani più importanti. È qui che il loro ristorante Satricvm racconta davvero il territorio attraverso la cucina.

La Storia

Spesso ci si allontana da casa, si incontrano molte realtà diverse in giro per il mondo, ci si intride di culture altre che aprono la mente e che lasciano un segno nella nostra visione del mondo e nel percorso di vita. Accade però che poi arriva un momento in cui dopo tanto peregrinare si torni a casa, mossi dall’istinto di appartenenza, e accade che il luogo natio tutto a un tratto abbia una veste nuova, diversa. Si respira l’aria antica, si decide di restare e di mettere radici. Se quel luogo però è in una zona difficile, lontana dalle rotte mainstream, se per sentirsi connessi in una rete di rapporti e di visibilità bisogna impegnarsi il doppio e farsi complici pazienti del tempo, accade anche che all’istinto di appartenenza deve necessariamente fare seguito lo sforzo di far sentire la propria voce, a patto che non sia urlata o sgraziata.


Una premessa forse un po’ poetica ma certo realistica per introdurre la storia di Satricvm, il ristorante di Maximiliano Cotilli e sua moglie Sonia Tomaselli, nel cuore della pianura dell’Agro Pontino, uno degli orti italiani più importanti, ma certo fuori dalle rotte turistiche, lontano quanto basta dal mare e dalle vicine colline per essere alla periferia dei grandi centri di attrazione del basso Lazio. Eppure negli anni Max e Sonia hanno saputo fare della propria casa – sì, perché loro abitano proprio sopra il ristorante – un destination restaurant, ovvero una meta in cui il cibo è la summa, il fine in cui si esperisce un territorio. Ah, fare territorio, ma che significa? Tutti ne parlano, tutti lo vogliono, ma pochi spiegano in cosa consiste.

L’esempio di Satricvm ci corre in soccorso per cercare di dare un esempio pratico.


Max e Sonia hanno vissuto per una quindicina di anni all’estero, collezionando importanti esperienze professionali in Gran Bretagna e in India – Max ha lavorato dapprima con Giorgio Locatelli, poi nello stellato La Teca e all’Harry’s Bar di Penati, quindi all’Oranger di Gordon Ramsay e al bistellato The Square, e da ultimo un’esperienza di 4 anni a Mumbai, in India, mentre Sonia ha lavorato al La Teca e al bistellato Pied à terre, poi in un locale con la consulenza di Marchesi, quindi da Zafferano e infine nella City con Alberico Penati, e nel frattempo ha conseguito anche un Master of Wine, per cui a Mumbai ha contribuito a istituire il Wine and Spirit Education Trust di Bombay e di Londra, una scuola professionale molto incentrata sulla conoscenza e comunicazione del vino – e al loro ritorno si sono impossessati di una terra cercando di recuperare dapprima i prodotti migliori, quindi interpretandoli con il filtro cosmopolita che era ancora fresco nella loro visione. Normale quindi che nei primi anni di vita Satricvm fosse ancora una creatura ibrida, con lo sguardo rivolto alla ricerca della propria terra, ma le idee ancora intrise di una cucina spostata a oriente. Nel tempo però la bussola del gusto di Max si è spostata in modo sempre più inesorabile sull’Agro Pontino, non solo per ciò che concerne la rete di produttori, ma in tutto ciò che è cultura di un territorio. Ad esempio, poiché il passato insegna che nell’ultimo secolo questa terra è stata un meltin’ pot di culture regionali che sono confluite qui per la bonifica della palude, ci si è accorti che tale mescolanza si riverbera anche sulla cucina, sui gesti, sulle usanze del quotidiano. Sono progressivamente comparsi nei piatti vari riferimenti che come correlativi oggettivi, hanno trovato agganci alle usanze dei pastori, ai nuclei veneti e romagnoli, ma anche siciliani date le origini di Max.


Oggi la sua cucina narra dell’incontro tra la terra e l’acqua, tra il sale e il vegetale, con l’influsso salmastro e campestre come vuole la geografia del luogo, ma anche con una geografia sentimentale che Max ripercorre con ingredienti e sapori pescati tra i ricordi d’infanzia e nei tanti luoghi vissuti.

La materia prima locale è uno dei segni di riconoscimento di Satricvm, con il vegetale sempre presente, dal carciofo di Sezze, al topinambur di fosso, e il pesce da Anzio e Terracina, e la stagionalità detta il passo del Menu, che si divide tra i tre degustazione Acqua, Palude e Terra, e la carta in cui è possibile estrarre dei piatti a scelta dai degustazione.



I Piatti

Il menu di Satricvum esordisce a ogni stagione con gli snack che rappresentano sempre la narrazione in gusto di un preciso momento dello chef: così se in passato con 4 bocconi si è tratteggiata la giornata di lavoro di un pastore, o la raffigurazione naturalistica dell’estate campestre, oggi il benvenuto è una piccola credenza di legno che arriva in tavola con tanti cassettini da aprire. C’è una dimensione ludica e fanciullesca nell’iconografia, ma sui sapori non si scherza: si ripercorre la storia di questa terra in un percorso che spazia dalla giardiniera in sfera di burro di cacao, al tonno sottolio, ai saccottini fritti ripieni di borragine selvatica, le salsicce di Monte San Biagio con senape, le madeleine salate con worchester sauce e alici, i taralli, ossia le ciambelline di Carpineto Romano con sugna e pepe da abbinare ai fegatelli di piccione, e la palamita sottolio con marmellata di cipolle.


La Storia ufficiale si arricchisce di tante piccole storie, piluccando ora dalla memoria personale di casa, ora dagli aneddoti locali tramandati nel tempo, che Max coniuga con piglio intelligente accostandovi qualche eco esotica, a dare contemporaneità e intento sprovincializzante.


Tra gli antipasti si inizia sovente con un’insalata, che in questo inverno si propone con Gambero rosso, karkadè, burrata, radicchio di Castelfranco, con il vegetale osmotizzato nel karkadè, la burrata a fare da complemento al gambero e la polvere di carapace. Ottimo l’amaro dato anche dal crescione selvatico che cresce nei fossi, insieme al radicchio veneto, a dare dignità all’insalata con cui si usa aprire il pasto nel nord, ma che in Agro Pontino è ancora piuttosto bistrattata.

Tra le Dune è la raffigurazione in gusto della geografia delle erbe salmastre, che qui appaiono in forma di finocchietto marino, porcellana di mare, cappero selvatico messi sottaceto e in clorofilla che va a insaporire la maionese. Il calamaro si annida sotto la salsa, insieme al kimchi di verdure sotto sale (cavolo, carota, daikon, cavolo cinese, salsa di pesce, aglio, peperoncino e sesamo, contraltare orientale della giardiniera nostrana, perfetto nella nota piccante che non anestetizza il sapore, ma che contribuisce a dare eleganza e aromaticità al piatto.


La Velletrana è l’omaggio a una zuppa locale, nota sin dall’Ottocento e molto in voga fino agli anni 60, a base di cavolo e baccalà, qui interpretata in forma asciutta, con verdure a foglia, carciofi, spigola arrosto (o rana pescatrice, a seconda del mercato), broccoletti (che qui significano cimette di rapa), in cui la nota vegetale domina a dare sentore di terra nonostante la carne marina che qui è volta al morso.


Ancora reminiscenza del passato con la Minestra dimenticata, la minestra di broccoli e arzilla che la nonna di Max cucinava in grandi quantità e che veniva consumata per 2 giorni, di modo che il secondo giorno, a causa della fermentazione del vegetale, acquisiva quella nota acidula che oggi viene riproposta, grazie alla fermentazione delle verdure, per 4 giorni, accanto a vegetali freschi, frascatelli – pasta fresca tipicamente laziale a base di acqua e farina – per un piatto dal gusto intenso e ricco di contrasti gradevoli.


Tra i secondi, la Cintarella Bastianese, uovo nero, tartufo e trombette echeggia la classicità francese per equilibrio e armonia. L’uovo finto è realizzato con aglio nero e tuorlo condito con senape e worchester, servito con lardo di cintarella locale, trombette della morte e tartufo nero, rifinito dal bianchetto, una salsa a base di brodo legato di pollo e tartufo, davvero elegante e gustoso.


Si prosegue con la Faraona in casseruola, mirtillo di palude e radicchio trevigiano. Carne strepitosa resa croccante dalla cottura in ghisa, radicchio cotto in ratafià a esaltare i contrasti amaro dolce, e le mortelle, ovvero il mirto, conferisce una nota balsamica molto gradevole.


Bellissima la rievocazione della Pere Belle Hélène, in cui la storica ricetta di Escoffier viene riletta cuocendo la pera nel passito di Pantelleria, e quindi accompagnata da una base e frolla, crema pasticcera e una copertura di cacao, burro e zucchero. Un finale goloso per un’esperienza che non si potrebbe definire tale senza il contributo di Sonia, ottima sommelier che si diverte a proporre abbinamenti di vini territoriali da piccole aziende sia laziali che trentine – viste le sue origini, con approfondimenti sui vini naturali, che vanno a comporre una cantina di circa 200 etichette, ma anche cocktail e spirits, sidri e birre barriccate, coccolando gli ospiti con sorrisi e calore.

Foto di Lido Vannucchi

Indirizzo

Satricvm

Str. Nettunense, 1227 - 04100 Le Ferriere (LT)

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