Da molti definita come la miglior zuppa di pesce d’Italia, è il mitico cacciucco di Luciano Zazzeri, mancato quasi due anni fa. Ma la sua ricetta continua a vivere nelle mani dei figli Andrea e Daniele al ristorante La Pineta. Eccola in tutta la sua magnificenza.
La Notizia
C’è sempre stata, la zuppa di pesce, sui fornelli degli Zazzeri. Che a sorvegliarla fossero nonna Nella, mamma Anna, zia Serenella o Luciano Zazzeri, il grande chef portato via quasi due anni fa dal male oscuro dei cuochi nella più tragica delle mareggiate. È seguita la quiete di una nuova estate, nelle mani dei figli Andrea e Daniele, in sala e in cucina.Quando il nonno birocciaio perse la concessione per estrarre dal mare ghiaia e sabbia, utilizzate per tante strade della zona, come la Salaiola, fu d’uopo inventarsi qualcosa di nuovo con la moglie, cuoca provetta, adusa a viziare gli amici che invitava numerosi a casa quando trasportava vino o maiali. Gli ombrelloni dapprincipio furono appena 12, con una baracca di legno per semplici mangiari. Un anno dopo, nel 1965, ecco la prima barca, un gozzo di cinque metri per pescare la propria materia, gli uomini in mare, le donne a pulire le reti. E Luciano giovane bagnino, poi responsabile della pescata, lui che era anche cacciatore e coltivava l’orto. È dopo la devastante mareggiata del 1987 che prende in mano il ristorante, rifacendosi agli insegnamenti della madre, grande cuoca, e del padre, connaisseur dei tesori del mare. Mentre il successo si intreccia alla fortuna dei grandi vini della zona e il Marchese Incisa della Rocchetta diventa habitué insieme ad altri produttori. Dopo un’esperienza in solitario presso l’oasi faunistica di Bolgheri, nel 1997 si compie la metamorfosi in ristorante elegante: La Pineta di Luciano Zazzeri.
E sono altre da quelle del vecchio birocciaio, che pare uscito dalla narrazione di un macchiaiolo, le strade tracciate dallo chef autodidatta: strade d’acqua, liquide ma esatte, trasparenti come la discrezione con cui se ne è andato, lui che era sempre rimasto un passo indietro alla materia, col suo sorriso gentile.
“Il cacciucco è un piatto storicissimo, un simbolo della livornesità conosciuto in tutto il mondo. Ed è buffo sentire pronunciare le famose 5 C dalla nostra clientela, che è in gran parte internazionale”, racconta Andrea. “Si tratta di una classica zuppa nata sulle barche, che veniva confezionata con i pesci poveri, scorfani, trigliettine, pesci prete, più molluschi, seppie o polpo, quello che c’era, cozze o cicale, secondo il periodo. Prima anche il palombo o il gattuccio, poi l’Acquario di Livorno ne ha sconsigliato l’uso per ragioni di sostenibilità e noi ci siamo adeguati. Era una zuppa con il concentrato di pomodoro e tanto aglio, dove si cuoceva tutto insieme, così pesante che la gente la prendeva solo il venerdì come piatto unico. Mio padre l’ha trasformata in un secondo leggero ed elegante, dove ogni ingrediente preserva la sua riconoscibilità. Per noi è stata una grande vittoria, che la gente la ordinasse come un piatto quotidiano, senza che ci scapitasse il carattere”.
In pratica si tratta di una cottura non separata, ma al vapore della sua stessa salsa, dove ogni pesce riceve il giusto rispetto, secondo le parole sentimentali di Luciano. “La base è la ricetta della bisnonna e della nonna, che cucinavano secondo la tradizione livornese, usando pesci poco pregiati o ‘sugati’, cioè rovinati. La zuppa serviva proprio a coprire quei difetti”, puntualizza Daniele. “Seppie e polpo non potevano mancare, poi si univano i pesci da lisca che c’erano. A un certo punto la clientela ricercava lo stesso sapore, ma in versione alleggerita. Ed è stata l’operazione di mio padre, con cotture più brevi e bocconi deliscati. Ho imparato a fare il cacciucco da lui, affiancandolo dai 14 anni. E non riesco a ricordare una prima volta, perché c’è sempre stato. Posso dire che nel corso degli anni, lavorando con mio padre, ci sono stati clienti che riconoscevano di chi fosse la mano, se la sua o la mia. Perché amava mettere la salvia, ma in quantità tale da sentirsi e non sentirsi, e una goccia di nero di seppia, per colorare e spingere il sapore. Ma è una ricetta infinita, variabile, stagionale. Tanto che nel tempo abbiamo provato altre varianti, con i filettini in oliocottura o con un filo di zafferano per esaltare il balsamico. Abbiamo ancora la possibilità di usare il nostro pescato, che ci procura mio cugino Michele. Quando possibile cerchiamo sempre di non abbatterlo, ma di venderlo in giornata. E il cacciucco ci serve anche a questo, a valorizzare la variabilità del giorno”. In accompagnamento Andrea suggerisce di stappare un rosso del territorio, come un Bolgheri Superiore d’annata o perfino un Sassicaia, con qualche anno sulle spalle per il tannino levigato.
Cacciucco della Pineta
Ingredienti per 4 persone
2 kg di pesce misto (polpo novello, seppie, gallinelle, tracine, pescatrice, scorfani, cicale, cozze)
Concentrato di pomodoro
Pomodorini
Pane raffermo a fette
Salvia
Peperoncino
Aglio
Vino bianco secco
Olio extravergine di oliva
Sale e pepe
Procedimento
Mondare e lavare tutti i pesci, sfilettare quelli liscosi e ricavare piccoli pezzi tutti uguali. Conservare anche le interiora delle seppie e i fegati degli altri pesci, che possono essere aggiunti a fine cottura su richiesta del cliente.
Con i resti della sfilettatura (teste, lische eccetera) preparare un brodo leggero, aggiungendo solo acqua e vino bianco. Servirà per allungare il cacciucco durante la cottura.
In una teglia di alluminio o rame mettere 1/2 cucchiaio di aglio e peperoncino battuti insieme, mezzo cucchiaio di concentrato, un letto di pomodorini tagliati in 4 spicchi e alcune foglie di salvia.
Quando il tutto comincerà a soffriggere sfumare con il vino bianco e aggiungere del brodo, poi mettere polpi e seppie son poco nero, lasciare cuocere per almeno 20 minuti, in modo che restino croccanti.
Unire quindi i pezzi di pesce che non vanno mai girati né toccati, devono rimanere candidi cioè non inquinati dalla salsa, che deve restare sotto come un cuscinetto. Per finire incorporare cicale o gamberi e cozze. Gli ultimi 2 ingredienti non sono indispensabili, rappresentano più una guarnizione che altro. Ma è vero che quando nella rete rimaneva una mazzancolla senza la testa perché mangiata dai granchi, si metteva nel cacciucco.
Durante la cottura aggiustare di olio, sale e pepe e coprire con una teglia uguale a quella di cottura, in modo da formare un volume superiore di vapore che terrà il pesce più umido.
A fine cottura aggiungere fegati e interiora di seppia.
Disporre il pane precedentemente abbrustolito ma non bruciato sul fondo del piatto, adagiare sopra i pezzi di pesce, infine cozze e cicale, bagnare col resto della salsa rimasta nella teglia continuando a rispettare i pesci, in modo che la salsa rimanga sul fondo e chi mangia possa dosarla a piacimento.
Il piatto deve essere grande, fondo e caldo; si consiglia di usare il cucchiaio.