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La FuGa, come uno chef ingegnere appassionato di chimica e un albergatore illuminato fanno vera sostenibilità

di:
Marco Colognese
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La-FuGa acronimo di Laboratory For Future Gastronomy, si propone di spingere il concetto di sostenibilità oltre i suoi stessi confini. A questo proposito al Bad Schörgau in Alto Adige, ci sono due uomini, un albergatore eclettico e un cuoco ingegnere con un pensiero coincidente che nel suo fulcro ha il concetto di circolarità.

La Storia

Che cos’è la sostenibilità? Difficile non sentirne parlare in modo diffuso ovunque, mondo della ristorazione e dell’accoglienza incluso. Quel che però appare evidente, scavando sotto quella che spesso si rivela una patina di adeguamento ipocrita a una necessità di comunicazione, è un vuoto di contenuti, un effetto slogan che si lega a concetti tanto “alti” da finire nel paradosso di una reale indefinitezza. Quello che gli psicologi definirebbero uno scollamento tra dichiarato e agito: annunci roboanti e comportamenti minimi, quindi. Oppure una banale genericità di maniera, testimoniata anche dall’assegnazione vagamente randomizzata e decisamente eterogenea, per citare un caso noto ai più, delle stelle verdi da parte della guida Michelin, il cui elenco è vistosamente privo di moltissime realtà significative sotto questo profilo. In effetti sostenibilità, di per sé, dovrebbe essere qualcosa che più che dichiarata andrebbe praticata attraverso una costante quotidianità di comportamenti, di dettagli che la rendono effettiva. A questo proposito al Bad Schörgau in Alto Adige, a venti minuti da Bolzano, nel cuore di una valle incontaminata come la Val Sarentino, ci sono due uomini, un albergatore eclettico e un cuoco ingegnere, che si sono ritrovati con una linea di pensiero coincidente e nel suo fulcro ha il concetto di circolarità. Ed è qui che è nato qualcosa di sfaccettato e pregnante.


Si chiama La FuGa, per esteso è Laboratory For Future Gastronomy, ma non è semplicemente quello che può sembrare dall’estensione letterale dell’acronimo. Per spiegare che cosa sia La-FuGa è necessario conoscere sia Gregor Wenter che di Bad Schörgau è proprietario, sia Mattia Baroni che con lui anima l’iniziativa. Ed è proprio Baroni che ci spiega come Bad Schörgau sia “un’applicazione pratica di La-FuGa, perché questo è il nome che abbiamo dato al pensiero in continua evoluzione mio e di Gregor che negli anni ha fatto crescere e diventare questo luogo quel che è ora. L’hotel ha solo sviluppato una proposta golosa, salutare, sincera. Ma soprattutto che piace, molto più lineare e rotonda al tempo stesso. Ecco perché parlerei sempre al plurale, anche perché il mio pensiero è continuamente influenzato e interagisce con le evoluzioni di La-FuGa movement nella forma transdisciplinare in cui si è sviluppata e si sta muovendo e dove mondi quali medicina, sociologia, scienza, antropologia, trovano un linguaggio comune che passa attraverso la gastronomia, per creare un impatto che noi pensiamo abbia la possibilità di radicarsi addirittura nella società, nella spiritualità e nella politica. Sostenibilità è diventato un concetto di marketing, abusato. Così non vorremmo più usarlo, come il verbo fermentare.


Quello che La-FuGa si propone di fare è spingere il concetto di sostenibilità oltre i suoi stessi confini. Ovvero ciò che in una forma molto semplificata definiamo salute per noi e per il nostro pianeta. Per questo la necessità de La-FuGa di rappresentare anche un movimento internazionale di divulgazione e demistificazione da cui nascono attività di ogni genere, dalle proposte gastronomiche ai libri, alla ricerca, fino a prodotti realizzabili su larga scala e retreat internazionali come quello che abbiamo programmato per novembre 2021.”


Mattia Baroni in effetti va molto oltre il suo ruolo di cuoco, pur non dimenticando di essere tale. È uno sperimentatore nato, sarà che la sua formazione è quella di un ingegnere e i rudimenti della chimica per lui non sono complicati, ma in effetti è sempre al lavoro per perfezionare: “La-FuGa è una filosofia che ha però ha anche la necessità di rivelarsi tangibile. Quindi ci muoviamo con una ricerca applicata all’ideazione di prodotti, quali i garum, le shoyu, le kombucha e tantissimi altri, come i latto-fermentati. Tutti nascono dalla volontà di utilizzare gli avanzi di produzione: i garum nascono dalle teste e dalle lische dei salmerini oppure dalle carcasse dei polli, dai ritagli tendinei e di grasso delle carni; le shoyu invece derivano dalle barbe dei porcini o dalle foglie dei carciofi; ancora, le kombucha dai torsoli e dalle bucce di mele o pere, o da quella delle carote.”


Mattia alle kombucha tiene particolarmente e chi le ha assaggiate può darne conferma: “sono bevande dal gusto vero e unico e poi si possono usare come insaporitori al posto dei convenzionali aceti. Elementi probiotici e prebiotici che ci permettono di ridurre l’utilizzo medio di sale dell’80%, dando vita a piatti molto gustosi ma energetici e leggeri al tempo stesso.” C’è da dire che nel mondo della cucina italiana fermentazioni ed esperimenti sono parecchio di moda, soprattutto a causa di una pesante influenza nordeuropea che ha fatto scoprire ciò che in fondo esisteva già. Il nodo è legato alla sicurezza con cui queste pratiche avvengono. A questo proposito Baroni racconta: “grazie al movimento abbiamo la fortuna di poter collaborare con la dottoressa Lorenza Conterno, del centro di ricerca e sperimentazione Laimburg, con il Future Food Institute di Bologna, con Diego Prado che è il capo della ricerca e sviluppo all’Alchemist di Copenaghen, ancora con il Basque Culinary Center e diversi centri medici e università di tutta Europa. Con tutte queste strutture ci si è aperta la possibilità di presentare veri progetti di ricerca e sviluppo di prodotti innovativi, difficilmente replicabili in altri ristoranti. Ecco perché abbiamo pensato fosse utile renderli pubblici e di facile divulgazione attraverso un libro di imminente pubblicazione, curato da Allan Bay ed edito da Italian Gourmet.”


Ma le collaborazioni sono attive su più fronti, tanto da collegare ambiti solo in apparenza non connessi tra loro come ad esempio aspetti socio-antropologici e fermentazioni: “Siamo in un momento unico della storia, in cui si è consapevoli di quello che sta succedendo al nostro pianeta e abbiamo anche la conoscenza e la tecnologia per poter fare qualcosa a riguardo. Iñaki Martinez de Albeniz, sociologo e antropologo spagnolo membro fondatore de La-FuGa movement, sostiene che il periodo di pandemia ci sta aiutando a rendere visibile una rivoluzione, perché cambiano attenzione e consapevolezza della società: esse si portano su una scala microscopica, la stessa che impariamo a rispettare e valorizzare quando si fermenta. Ancora, l’attivista ed economista svedese Andreas Malm ci ricorda che la crisi da Covid19 segna il momento in cui la razza umana diventa consapevole del suo stato naturale, mettendo fine al suo dominio sulla natura.”


Ed è affascinante come all’universo delle fermentazioni possano corrispondere concetti “altri”: “In natura è comune il concetto di mutualità; si tratta di qualcosa che si impara ad apprezzare tra “fermentatori”. Non è altro infatti che una collaborazione tra diverse specie in cui ciascuna trae beneficio: lo vediamo nelle fermentazioni delle kombucha o dei garum, così come nelle attività vitali del nostro microbioma intestinale. Iñaki continua sostenendo che in un modello marxista di società la “fermentation” potrebbe essere vista come una classe in sé. Ecco allora che il gruppo di coloro che praticano la fermentazione (professionisti o meno), si configurano come una ferment(n)ation, classe di per sé quindi consapevole di essere tale. In questo caso non si tratterà più di un movimento di soli esseri umani, perché anche i microbi saranno rispettati e indispensabili concittadini. Il nostro compito sarà principalmente diplomatico, ovvero di fare in modo da mettere in condizione tutte le specie di svolgere il proprio compito al meglio, instaurando in questo modo un quid pro quo che ci permetterà di sviluppare, come specie, il nostro massimo potenziale.”


Concetti forse complessi ma pregnanti che sfociano in una sorta di “rivoluzione culinaria”, come la definisce Mattia Baroni, che “prenderà piede quando capiremo che la gastronomia è una critical zone come l’ha definita Bruno Latour. Una zona di interesse rilevante, molto più di quanto una leggiadra e superficiale visione possa far trasparire. Allora dovrà essere messa in collegamento con altre critical zones, cominciando dal micro-mondo delle fermentazioni per poi arrivare a generare un impatto sull’area cruciale che è il macro-mondo del cambiamento climatico.” Chiedendo a Baroni in che cosa la ferment(n)ation de La-fuGa sia peculiare, lui risponde: “Per La-FuGa questo concetto esprime la metodologia con la quale operiamo: pensiamo che sia la più grande espressione di pensiero sostenibile dal quale traiamo le nostre sostenibili applicazioni pratiche.”


Ma La-FuGa, tra le tante altre sue sfaccettature, è anche un’esperienza gastronomica rilevante: “intesa come ristorante e come esperienza non è altro che la rappresentazione dei dialoghi (da qui il nome del menù 2021 “food is a conversation”) che avvengono all’interno del movimento e che vuole esprimere uno stile di vita da praticare qui da noi e da portarsi a casa a fine permanenza. È per questo che abbiamo voluto evitare attentamente alcune espressioni da campagna di marketing che potrebbero far fraintendere le nostre vere intenzioni. Noi vogliamo dare vita ad un’esperienza unica, nella quale la sostenibilità non è vista come un limite all’approvvigionamento e al tipo di materie prime utilizzate. Il loro utilizzo dev’essere gustoso e divertente, entusiasta di quello che l’unicità del territorio può offrirci. Per questo motivo anche la nostra offerta gastronomica deve essere comprensibile, deliziosa, unica e per tutti.”


A questo proposito, ricorda Baroni, “Peter Klosse, fondatore del T.A.S.T.E. (The Academy of Scientific Taste Evaluation) e membro del movimento, afferma che dobbiamo fare in modo che il consumatore sia felice con la scelta del cibo che sta comprando in quel momento, e che se vogliamo dare una possibilità ad alternative sostenibili anche esse devono essere Convenient, Affordable and Tasty (ovvero disponibili, a prezzo abbordabile e gustose)”.


Ecco il motivo per cui a Bad Schörgau non c’è solo un’esperienza gastronomica con il percorso specificamente legato a La-FuGa, ma esiste lo spazio di Alpes, dove, sostiene Mattia: “si vogliono riprendere i connotati di quello che è un ristorante nel suo più profondo significato, dal francese restaurer: ristorare. Piatti di facile comprensione, quindi, pensati certamente per risultare squisiti ma al tempo stesso in linea con filosofia de La-FuGa. Pertanto leggeri, identitari e vivi (probiotici e prebiotici).


Un ristorante che potremmo definire “gourmet”, ma con 15 tavoli per più di 40 coperti, pensato per dare emozioni attraverso la riscoperta tanto di un cibo comprensibile, sincero, salutare e unico del suo genere quanto di bevande, a partire dal vino, che corrispondano a questo pensiero.” In effetti una definizione come gourmet, di solito esclusiva sia per offerta sia per il costo, non si potrebbe definire sostenibile se non fosse sia accessibile sia comprensibile.


Chi avrà letto fino a questo punto avrà anche capito che il nucleo fondante di questo universo gastronomico non siano soltanto i piatti, dei quali infatti abbiamo evitato di parlare. Gli stessi, infatti, codificati in un menu, cambiano in funzione di quello che offrono le stagioni. Le immagini, però, quelle ci sono. E siamo certi che la voglia di andare a conoscere Gregor Wenter e Mattia Baroni vi verrà.

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