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Il ristorante chiuso a causa del covid diventa una bottega di pasta fresca: l'idea vincente di Alessandro Bellingeri

di:
Marco Colognese
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Costretto a chiudere il suo ristorante Osteria de l’Acquarol a causa del covid, lo chef Alessandro Bellingeri non si è scoraggiato. Nasce così la sua bottega di pasta fresca che sta riscuotendo grande successo.

L'Osteria e la bottega

“A me è sempre piaciuto viaggiare, conoscere. Così, appena finita la scuola mi sono subito chiesto: dove vado?”. In movimento per natura, curioso, mai del tutto soddisfatto, Alessandro Bellingeri, in effetti, di strada ne ha fatta un bel po’. Classe 1983, nato a Cremona, dopo aver peregrinato tra cucine alte si è ritrovato con la moglie Perla Cardenas, messicana, in Alto Adige, a San Michele Appiano, nel cuore del mondo cantiniero altoatesino. 

Come ci sono arrivati? “Ho iniziato a mandare curriculum nelle città d’arte di cui ero e sono innamorato. Così sono approdato al Do Leoni del Londra Palace. Mi sarebbe poi piaciuto andare da Pinchiorri ma l’opportunità è sfumata; allora Stefano Mazzone (chef del Do Leoni) mi segnala a Riccardo Camanini che all’epoca era a Villa Fiordaliso: bella esperienza, dura, con molto rigore. Ricordo il suo secondo, un francese, terribile”


A Bellingeri non è poi mancata una tappa da Enrico Crippa ad Alba, con il ristorante aperto da un anno e ancora senza neppure la prima stella che sarebbe arrivata di lì a poco: “Ero in pasticceria, ma ho avuto modo di vedere tutte le partite. È stata una cosa fantastica, sono entrato in un regno di spinta e ambizione. Lì ho imparato il concetto di pulizia e un filo conduttore fondamentale come il confronto diretto con i produttori che fino ad allora non avevo visto in quei termini: una qualità altissima della materia prima e  lavorare una fatica ancora più dura. Ma Alessandro non si ferma, vuole alzare il tiro, è attirato da Perbellini ma i colloqui si risolvono in un nulla di fatto. 

Alla fine arriva alla corte di Massimo Bottura: “Avrò fatto trenta chiamate prima di beccarlo, alla fine ho mangiato da lui, i piatti mi hanno entusiasmato. Sono rimasto in cucina alla Francescana tre mesi, di Massimo ho un bellissimo ricordo: una persona in grado di motivare tantissimo il team. In fondo però ero molto sotto pressione, tanto che lo stesso Bottura mi consigliò di fare una pausa dal mondo delle stelle”.


Ed ecco che Alessandro fa tre stagioni estive a Capri, di nuovo con Mazzone, al Quisisana e l’inverno lo passa invece a Cavalese da Gilmozzi. Una svolta importante è l’esperienza da Martin Berasategui a San Sebastian. Qui conosce Perla, si innamora di lei e della formidabile organizzazione basca: “Sessanta persone in cucina, una sincronizzazione e una precisione mai viste”. Perla lo segue in Italia, di nuovo a Capri e ancora da Alessandro Gilmozzi. Ed è proprio il grande chef trentino che spinge entrambi ad accettare la gestione di un piccolo locale a Panchià in Val di Fiemme, dentro un piccolo albergo. 


“Il mio sogno era di aprire un ristorante in Piazza Duomo a Cremona, ma lassù sarebbero arrivati i mondiali di sci di fondo e sarebbe stata una grande occasione”. Così nasce Acquarol. Il termine indica un vinello allungato con l’acqua, quello che si dava ai contadini in campagna: suona uguale sia nel dialetto trentino sia in quello cremonese. “Siamo rimasti a Panchià cinque anni e poi abbiamo pensato che avremmo voluto superare il limite di un’apertura stagionale stando fermi quattro mesi all’anno. In più nulla ci legava a quel posto sebbene ci fossimo affezionati. Allora siamo arrivati qui, non lontani dalle montagne ma comunque vicini a una città importante come Bolzano”


I primi tempi non sono facili per due forestieri come Alessandro e Perla in un paese dove si parla davvero poco italiano, tanto che Alessandro confessa: “Abbiamo fatto più fatica nel 2019 appena arrivati che nel 2020 con la pandemia, ma poi la gente ha iniziato a volerci bene”


Il Covid rende tutto complicato, ma Perla ha un’idea che all’inizio Alessandro non condivide: “Le ho detto subito: tu sei fuori di testa!”. E invece si convince e inizia a fare pasta fresca e ripiena (davvero buona, tra l’altro) che riscuote subito un grande successo: “Il delivery? lo sto odiando con tutto il cuore, mi limito a fare lo chef a domicilio per i clienti più affezionati. L’anno scorso è stato devastante ma lo è ancor più adesso, così l’idea di mettere in campo la mia competenza per realizzare prodotti di qualità in effetti è stata vincente. 


Fonte: Il Golosario 



Del resto, dietro di me, ho un’azienda che deve stare in piedi e andare avanti. Si possono fare ricerca e ottimi prodotti anche in questo modo. Siamo partiti con la macchinetta di mia nonna e, arrivati a 25 chili di pasta, non ce la facevamo più e abbiamo preso una macchina elettrica. Da lì, la selezione di farina e uova come si deve, una grande ricotta che ci arriva da un’azienda agricola familiare di Lodi; utilizziamo solo verdure fresche. Adesso facciamo pasta ripiena e secca, canederli, gnocchi, passatelli e spätzleInoltre, ci sono i lievitati come panettoni e colombe, salse sughi e conserve. Abbiamo anche la Giardiniera di Pascal sott’olio o aceto di mele".


Pascal è il loro cagnolino e, dalla vendita della Giardiniera, arriva una raccolta fondi per le onlus dedicate ai cani. La linea si chiama A Mano, nome che gioca sul verbo amare e naturalmente sul fatto a mano. L’idea è anche quella di non farsi sfuggire i clienti, di fargli compagnia in qualche modo e di ricordare loro che ci saranno tempi più felici. Tempi nei quali rimarrà il piccolo punto vendita all’interno di Osteria de l’Acquarol

Fonte: Il Golosario



Ora sul sito si legge “l’osteria si trasforma in bottega”, ma naturalmente Alessandro è tanto convinto di mantenere viva questa iniziativa quanto di poter riprendere al più presto a fare anche la sua cucina. Che di fatto è notevolmente interessante: “Ho un carattere facilmente infiammabile, ma allo stesso tempo so essere riflessivo. Questo si riflette nei miei piatti e spesso mi sorprendo anch’io, perché alcuni sono scoppiettanti, spinti, frizzanti e con un carattere forte e complesso. In altri invece si ritrovano note tranquille e delicate. Non si va mai in una direzione unica, se non quella di spingere sul prodotto con ingredienti riconoscibili e di altissima qualità, perché un piatto non dev’essere ultracomplicato e non va approcciato col traduttore. Seguo il mio sentimento e quello che nel tempo ho imparato”


Così, Alessandro ci confessa che non vede l’ora di partire di nuovo, ma “non in punta di piedi come l’anno scorso, perché voglio fare quello che piace a me e farlo bene”. Animelle di vitello, cacio e pepe, menta e pistacchio, cottura perfetta e buonissime per chi ama il genere. Carnaroli al cavolo nero, lumache, limone bruciato e olio al pino: sapori terragni, acidità bilanciata e note balsamiche in un concentrato di eleganza. Notevoli anche i tagliolini alle ortiche con il sugo d’arrosto, di una semplicità solo apparente. E poi la freschezza del branzino di acqua dolce, uva spina, cetrioli alla brace e ristretto alle olive.


Il capitolo dessert non è da meno, con lo squisito cardo caramellato con cachi, gelato alle noci e meringa alle olive. Per finire, un omaggio alla terra di Perla, “Il mais messicano”, splendida variazione con gelato al mais bianco, atole, tortilla di mais al cioccolato antico, tamal di mais azzurro e macaron al mai giallo. 

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