Ritmi serrati e numeri da record nei locali americani dello chef Philippe Guardione: “Qui i ristoranti sono aziende vere e proprie con turni di 8 ore, ma manca il personale”. Ecco il suo racconto.
Piccola Cucina
Il Covid? Una matassa di sfide e di opportunità da sbrogliare con cura. Quando è scoppiato a New York, lo chef patron Philip Guardione, alla testa di vari ristoranti con spin-off in Montana e a Ibizia, non si è perso d’animo. “La mia prima preoccupazione è stata quella di non licenziare”, racconta.
A questo gli è servito il delivery, che tuttora perdura con una media di 80 pasti consegnati ogni giorno. “In generale ci siamo presi tempo per conoscerci, studiare nuovi piatti, tecniche, fare formazione. Abbiamo testato nuove stoviglie e modalità di servizio al tavolo, che da queste parti sono molto rare. Poi ci siamo focalizzati sul prodotto, aumentandone la qualità. Perché sono i momenti in cui conta migliorarsi”.

Il risultato per la sua Piccola Cucina, attualmente attiva in tre location a Manhattan e a Ibiza, aperta per la prima volta tutto l’anno (ma potrebbe essere anche il caso del Montana), è stato un anno da record. I coperti sono al massimo 60 e girano vorticosamente, fino a sforare il migliaio di ospiti al giorno. L’occupazione delle sale è del resto già tornata al 100%, previa presentazione del Green Pass, obbligatorio anche per i lavoratori dell’accoglienza.

“Per un po’ abbiamo avuto qualche cancellazione, perché magari nei gruppi restava qualcuno senza vaccino. Ma oggi non succede più. In termini di fatturato siamo cresciuti del 40% rispetto al 2019, anche grazie agli spazi esterni straordinari, che praticamente raddoppiano la capienza e a New York non si erano mai visti. Neppure il lunch, puntando sulla qualità piuttosto che sulle pause pranzo, ha sofferto. Qui la gente mangia a tutte le ore, dalle 11 e mezzo di mattina fino alle 23 o alle 24, nel fine settimana. I primi a passare sono gli asiatici, seguono gli americani e chiudono gli europei, soprattutto italiani e spagnoli”. La riapertura delle frontiere a novembre potrebbe esercitare un ulteriore effetto booster, richiamando i clienti extracontinentali finora impossibilitati a viaggiare.

Sono numeri da capogiro, tanto che la sfida diventa coprirli. Per riuscirci il lavoro di cucina è ininterrotto, con 3 turni che si succedono durante il giorno: dalle 10 e 30 alle 16 e 30, dalle 16 alle 23,30 e dalle 23 alle 7, con una breve sovrapposizione per il passaggio di consegne. Lo spazio nella Grande Mela è oro, troppo prezioso per stoccare merce e lavorazioni.

Anche negli Stati Uniti, tuttavia, la mancanza di manodopera rappresenta un’emergenza nell’emergenza. “In questo periodo trovare personale qualificato è quasi impossibile. Manhattan ha un costo della vita elevatissimo, quindi molti professionisti hanno trovato impieghi alternativi, fuori città o fuori dalla ristorazione”.

È vero che nelle cucine erano attivi molti sudamericani, che magari non avevano posizioni regolari, ma tanti altri hanno beneficiato di misure di welfare straordinarie, come l’unemployment. In pratica oltre alla disoccupazione, hanno intascato prima 600, poi 300 dollari a settimana. Una misura che si è recentemente esaurita, cosicché qualcosa inizia a muoversi su un mercato del lavoro che vale fra 18 e 25 dollari l’ora.


“Ed è per mancanza di manodopera che il nostro ristorante in Zona Soho è rimasto chiuso per un anno, dopo la ristrutturazione. Apriremo il 26 di ottobre. Ma in generale questo è un mondo che deve cambiare. In Italia i cuochi lavorano per passione, dalla mattina alla sera; qui sono aziende vere e proprie, con turni di 8 ore. Attualmente siamo alla ricerca di 8-9 figure, dalla cucina alla sala, agli uffici, dove molti continuano a chiedere di operare da casa. Anche perché chi lavora a New York di solito abita fuori e per spostarsi spende un paio d’ore al giorno. Qualcuno si è licenziato perché gli abbiamo chiesto di rientrare, ma questa è una città in cui si corre, tutto è last minute, di fatto è impossibile programmare”.


L’altro macigno sulla strada della ripresa è il costo delle materie prime: se la manodopera è cresciuta del 20%, anche per la guerra al rialzo fra competitor, il prodotto ha sforato il 30% ed è sempre più difficile da reperire. “Al momento non abbiamo ancora alzato i prezzi, ma fra un paio di settimane, al cambio di menu, saremo costretti a ritoccarli verso l’alto”. Di sicuro, invece, non soffre il comparto beverage, ovvero vino e cocktail. “Sarà lo stress, ma bevono tutti più di prima. Se la regola un tempo era il bicchiere, adesso è la bottiglia. E i prezzi di cantina restano al momento stabili. Cosa cercando i clienti? L’emozione, l’esperienza, il momento da ricordare. Per esempio, un tiramisù preparato davanti al cliente, con la moka e il mascarpone al tavolo, o il nostro carciofo alla giudia, che esce avvolto nelle volute di fumo”.
Foto per gentile concessione di Piccola Cucina
Indirizzo
Piccola Cucina
Thompson Street 75, New York City, NY 10012. USA
Tel. +1 (646) 781-9183
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