Un’osteria che anno dopo anno disegna un tracciato di storie, culture e sapori mediterranei. Un album personale di crescita in continua ascesa. Questa è l’Osteria di Marco Claroni e Gerarda Fine che non smette mai di stupire, a partire dall’aperitivo “stagionato”.
Osteria dell'Orologio
La Storia
Sarà una delle cene più divertenti della vostra vita. Per nulla ingessata, ma succosa e insolita al punto giusto. Dovrete addentrarvi in quella periferia iodata sempre più effervescente ed in fermento qual è Fiumicino. La Fiumicino non degli aerei e dei transfert, delle valigie e dei pranzi al volo, ma quella delle realtà gastronomiche più interessanti della provincia di Roma.
Dirigetevi nel centro storico e fermatevi all’ Osteria dell’Orologio, davanti all’edificio progettato dall’architetto Valadier, che dall’aprile del 2009 ospita i piatti dello chef & patron Marco Claroni, un romano classe ’84 che del pescato laziale ha fatto la sua religione.
Lui, dopo un corso di formazione F.I.C. presso la Regione Lazio, ed esperienze sul campo presso realtà storiche come il Ristorante Bastianelli di Fiumicino, raggiunge lo chef Antonio Chiappini al Tre Bicchieri di Ostia. Qui avviene il cambiamento: Marco osserva, impara e assimila, prendendo coscienza del ruolo primario che la materia prima e la salvaguardia del territorio hanno nel successo di un ristorante.
Ed è così che lui, giovanissimo, assieme alla compagna Gerarda Fine, rispettivamente in cucina ed in sala, iniziano a tirare su, mattone dopo mattone, le pareti di una grande insegna, ormai punto di riferimento, del mangiar bene sul litorale romano. Un’osteria che anno dopo anno disegna un tracciato di storie, culture e sapori mediterranei, locali, sempre più identitari, fermi e scevri da compromessi. Un album personale di crescita in continua ascesa. Un percorso, per così dire “stagionato”, che negli ultimi anni sta suscitando sempre più consenso e meraviglia sin dall’aperitivo.
Perché le intenzioni avanguardiste, ma concrete, non superbe e neppure modaiole e superficiali, di Marco e la sua squadra, che vede in prima linea il braccio destro, e sinistro, Alessandro Lambiase, si concentrano nel primo morso. In un tagliere di salumi ittici da spizzicare a inizio pranzo in purezza, su pani caldi, tra la tinta già acida di una giardiniera fatta in casa e una più dolce di un fico caramellato.
Prosciutti, lardi, speck, coppiette. Non di carne ma di pesce. Un gioco, complesso, elaborato, che non segue regole né grammature, ma istinto. Non c’è la matematica, ma l’esperienza a dettare i tempi di maturazione dei salumi dell’Osteria dell’Orologio, un ristorante sempre più completo e articolato, che aggiunge a tutto il resto anche la Norcineria.
Il ristorante
L’atmosfera dell’osteria di pesce anni Ottanta viene lavata, messa ad asciugare e appesa allo stendino. Il nome Osteria è nell’insegna ma non nel contenitore, riletto e rivisto a immagine e somiglianza della coppia e della loro personale idea di ristorazione. Un pensiero di accoglienza che vuole mettere a proprio agio, far rilassare, senza strizzare l’occhio alle mode del momento: una cena o pranzo divertente, economicamente modulabile, che parla a una clientela molto ampia.
I tavoli della piccola sala interna e del dehors sono spogli, in legno chiaro, animati dai piatti, le alzate in ardesia e i calici che via via vengono portati in sala a scandire i tempi dell’esperienza, fatta di pancia, di cervello, di emozione. Si può ordinare alla carta o attingere a uno dei due menù degustazione disponibili: Pochi ma buoni in sei portate più l’aperitivo e Libera - Mente, un viaggio attraverso la mente dello chef tra crudo e cotto, rispettivamente a 60 e 80 euro. A loro si aggiunge la possibilità di degustare la selezione di 7 stagionati, a 35 euro, e la degustazione completa dei 6 antipasti a 50 euro.
Insomma, un universo di combinazioni possibili. Potete ordinare e assaggiare tutto. In infinite maniere. Potete fermarvi e ripartire. Potete soddisfare ogni voglia e spegnere ogni curiosità. Ricordatevi però che ogni stagione il menù cambia, conservando comunque la capacità di suscitare stupore e godimento. Unica legge: solo pescato locale. E in abbinamento? Gerarda propone una carta dei vini altrettanto dinamica ed eterogenea, in continua evoluzione con referenze tanto italiane quanto internazionali, tra grandi nomi e piccoli vignaioli.
I piatti
Si inizia con il passato, in un mix nostalgico e frizzante omaggio ai grandi classici degli anni passati riletti in chiave mordi e fuggi. C’è la bomba fritta ripiena di crema di scampi, lo spaghetto ai lupini in versione chips da sgranocchiare e l’impepata di cozze da finire in uno shot. E tra un assaggio di focaccia calda e moderatamente unta e una fetta di filone con noci e fichi secchi da annegare nell’olio extravergine d’oliva Quattrociocchi o da spalmare di burro montato con le alici, arrivano anche loro: gli stagionati.
Lardo di centrofolo, prosciutto di barracuda, prosciutto di ricciola, coppiette di alalunga per cominciare. Ma non finisce qui: ecco il tonno nelle sue diverse parti, dalla grassa ventresca, alla magra bresaola, passando per cuore e bottarga. Ognuno ha un proprio letargo, tempo di riposo nel sale e nelle spezie, diverso e ragionato. 12 mesi per il cuore di tonno, solo 14 giorni per le coppiette, piccanti e callose come le originali dei Castelli. E ancora un mese per il lardo di centrofolo e due per la bresaola.
Un condividere ludico, provocatorio ed evocativo, specchio della personalità di Marco, che si alimenta di pan brioche e cornetti da spalmare di burro alle alghe e arricchire di fichi secchi caramellati, zucca alla scapece, giardiniera, cipolle caramellate e, perché no, stracciatella di burrata. Il tutto per testare, in più vesti e sfumature, gli stagionati di mare.
E dall’aperitivo, se si ha ancora spazio, si passa alla cena. Una bellezza che non si fa parlare dietro e cela sostanza, sapore e struttura è quella del primo antipasto della batteria a base di crudo di gambero rosa locale con sedani e salsa di ostrica. Un gioco di rimbalzi tra due mari opposti, quello dolce e carnoso del gambero rosa e quello violento e vellutato dell’ostrica ridotta in emulsione. Tra di loro c’è una scala di croccantezza, dal sedano alla quinoa. Vulcanica e penetrante è la ricciola affumicata con rape, ghiacciata di melograno e latte di bufala. Un intreccio vincente tra grassezza e freschezza, acidità e iodio.
Tonno, porcini e alici è il prossimo piatto. Un antipasto essenziale negli elementi e nei cromatismi, ma non nel gusto: i moti marini della maionese di alici si circondano della terra dei funghi, erti e tenaci al morso. Ma è il tonno ad emergere su tutto, declinato in filetto scottato, salsa ristretta e saporita e scaglie dai toni affumicati.
Ancora quel polpo alla diavola magistralmente sbruciacchiato sottolinea la bravura di Marco nelle cotture del mollusco e nell’equilibrio delle spezie e dei contorni. Le lenticchie ed il radicchio esibiscono colori autunnali e profumi primordiali.
Non può mancare il baccalà, da sfaldare con il cucchiaio all’interno di una zuppetta di cannolicchi e carciofi. Un piatto sapido e avvolgente, dalla morbidezza rincuorante, che stimola il palato alla portata successiva.
E non si fa parlare dietro neppure la seppia, tra i piatti più sorprendenti della degustazione, in equilibrio spiazzante tra mandorle, jus di pollo e arancia. Ulteriore dimostrazione che la terra e il mare sono confini utopici, complementari, da far dialogare in cucina.
Assolutamente filologica e altrettanto indimenticabile è l’amatriciana. Mezzi paccheri, al dente, lucidi, dove il pomodoro è ristretto, scuro, quasi color mattone e il profumo di affumicato è penetrante. Una pasta alla romana, da veri pastori. Ma c’è un “ma” che rende poco carnivora e filologica l’amatriciana dell’Osteria dell’Orologio. Non c’è traccia di maiale nella ricetta: niente guanciale, niente pancetta o qualsiasi altro grasso animale possiate tentare di infilare nel sugo che cuoce. Al loro posto c’è il tonno, per l’esattezza il guanciale del tonno, stagionato a lungo e poi fatto sfrigolare in padella rovente.
Senza bisogno di sforzarmi, nel tentativo vano di trovare le parole giuste per raccontarla, scriverò semplicemente che la Coda di rospo alla Rossini con Madeira, tartufo e foie gras è il secondo di pesce più entusiasmante, curioso e riuscito che abbia mangiato nel passato 2021. Un piatto che dà soddisfazione, che esiste, e ha successo, grazie alla carne bianca e polposa della rana pescatrice. E si finisce soffici con il Danubio, rigorosamente fatto in casa, da spezzare e inzuppare nello zabaione al marsala e agrumi. Un dolce da condividere, come il resto della cena.
Indirizzo
Osteria dell'Orologio
Via di Torre Clementina 114- 00054 - Fiumicino (Rm)
Tel:+39 06 6505251- +39 347 5179051
Email: gerardafine@gmail.com/ osteriadellorologio@gmail.com
Orario
Pranzo: dalle 12:00 alle 15:00 dal giovedì alla domenica
Cena: dalle 19:00 alle 23:30 dal martedì alla domenica
Giorno di chiusura: lunedì
Sito Web